Pompei è un luogo unico al mondo. E non solo per lo stato di conservazione straordinario delle sue rovine, ma in quanto palinsesto di molteplici vite urbane che si chiudono nel 79 d.C. per ricominciare all’improvviso nel secolo dei Lumi, con l’inizio degli scavi ufficiali nel 1748. Da allora a oggi si contano 270 anni di nuova vita, un percorso storico fatto di gente impegnata negli scavi, nei restauri, nella riflessione sulla gestione di un incredibile patrimonio, e di visitatori ammirati, ogni anno di più (oggi circa quattro milioni).
E ancora, tra quei due momenti emblematici della distruzione e della riscoperta – 79 e 1748 – un’altra lunga esistenza, più misteriosa, sotterranea: mentre sopra la coltre di cenere e lapilli si ricreava una ferace campagna coltivata, al di sotto si tornava ripetutamente a rovistare tra i muri delle stanze e nelle strade sepolte. Una caccia al tesoro plurisecolare che ha spinto gente comune che viveva, coltivava e lavorava sopra alla città scomparsa a realizzare fosse, gallerie, cunicoli per cercare oggetti preziosi. A Pompei si è sempre scavato, lecitamente e illecitamente.
Chi cammina oggi tra le strade della città antica, chi entra nelle sue case ad ammirare pitture e mosaici, difficilmente riesce a cogliere questa stratificazione temporale, mentre è portato a pensare che quello che vede – spazi, architetture, decorazioni – costituisca un fermo immagine di una realtà bloccata una volta per sempre dall’eruzione del Vesuvio ed estratta dal fluire incessante del tempo.
La città continua a restituire emozioni e riflessioni, a ispirare mode e forme d’arte, mentre agli addetti ai lavori richiama soprattutto l’impegno incessante (per la sottrazione di lapilli, i restauri, le ricostruzioni) e anche i danni che gli uomini le hanno inferto nel tempo (incuria, interventi sbagliati, scavi clandestini, a volte più spietati della natura).
Qual è la Pompei attuale, la nostra Pompei contemporanea? Possiamo dire che la Pompei di oggi è quella che vive una nuova vita, un’esperienza di riscatto che fa seguito agli anni bui di scandali e crolli (tra cui quello più eclatante della Schola armaturarum del 2010). Allora, la mancanza prolungata di controlli sistematici e di manutenzione costante aveva determinato situazioni di degrado talmente avanzate da non poter essere gestite solo con interventi ordinari. Pompei aveva bisogno del Grande Progetto, un sistema di interventi che affrontasse in maniera pervasiva ed estensiva – a scala finalmente urbana – tutte le criticità.
Intrapreso nel 2012, ma entrato nel vivo delle attività tra il 2014 e il 2019, grazie a una nuova legge (il decreto Valore cultura) e all’impegno di due ministri, Massimo Bray e Dario Franceschini, il Grande Progetto Pompei ha portato a un cambio di governance (il generale dei Carabinieri Giovanni Nistri in qualità di direttore generale del GPP, oggi sostituito dal generale Mauro Cipolletta, e chi scrive, come Soprintendente speciale e ora Direttore generale del Parco Archeologico), mettendo in campo forze e competenze qualificate, animate da un obiettivo comune, quello di fare bene e fare presto.
Si sono intrapresi, così, interventi e attività fondamentali per la conservazione e la salvaguardia di Pompei, risolvendo molti dei problemi mai affrontati in passato, mettendo in sicurezza tutta l’area archeologica, restaurando e riaprendo intere zone, edifici e strade negate al pubblico da troppo tempo. Restituendo 32 ettari dei 44 scavati e nuovi percorsi, tra cui uno per persone con abilità diverse, mentre un’attenzione particolare è stata data alla fruizione, all’archeologia pubblica, definendo sistemi di comunicazione e divulgazione che trasmettono ora un’immagine del tutto nuova di Pompei.
Con il Grande Progetto si è tornati infine a scavare, come non si faceva dagli anni ‘60 del secolo scorso. I lavori di messa in sicurezza dei fronti di scavo, un progetto che prevedeva la risagomatura e stabilizzazione delle scarpate lasciate dagli scavi del passato, le quali spesso si elevavano per quattro, cinque metri, hanno reso necessario intraprendere nuovi scavi, spesso portando a termine opere lasciate incompiute nel passato.
Come si poteva immaginare, trattandosi di Pompei, molte sono state le scoperte e altrettante le sorprese. Lungo via di Vesuvio, il cardo di Pompei che taglia la città in due da nord a sud, incrociando ad angolo retto prima via di Nola e poi via dell’Abbondanza (il decumanus), sono venute alla luce parti di nuove case, come quella che ha restituito l’affresco di Leda, uno dei quadretti mitologici più belli e sensuali che la città vesuviana ha restituito: la bellissima regina spartana è colta nel momento dell’amplesso con Zeus trasformato in cigno.
Nella Regio V gli scavi hanno inoltre portato alla luce un’intera strada, con le botteghe, i ristoranti e le case, che si allineavano ai due lati, come quella decorata dai bellissimi mosaici ispirati dalla mitologia di Orione. Sui due pavimenti della casa è rappresentato il bellissimo e gigantesco cacciatore del mito greco mentre cattura animali di ogni genere e viene trasformato nell’omonima costellazione; o ancora la Casa col giardino, con i suoi affreschi e il tesoretto di amuleti che rimanda forse alle attività domestiche di una maga.
In attesa di poter riaprire al pubblico questi ambienti, si restituisce alla fruizione una grande area di Pompei, buona parte della Regio I e II, l’ultima parte della città messa interamente in sicurezza.
Si riaprono così nuovi assi stradali e soprattutto opere di grande bellezza, come la Casa del Frutteto, su via dell’Abbondanza, con le sue straordinarie stanze dalle pareti decorate da lussureggianti giardini, e la Casa degli Amanti, unico esempio che si è conservato fino a oggi di peristilio con due piani e due ordini di colonne. Chiusa al pubblico dopo il terremoto del 1980, deve il suo nome alla scoperta di un graffito che riporta una delle frasi amorose più celebri: amantes ut apes vita mellita exigunt (gli amanti fanno, come le api, una vita dolcissima). Qui al motteggio sentimentale della prima mano, una seconda, più scettica, ha aggiunto un simpatico commento: velle (mi piacerebbe).
Le scritte occasionali sui muri, le parole che hanno attraversato i secoli, sono l’aspetto che più di ogni altra cosa ci avvicina agli antichi, restituendoci frammenti unici di quella vita quotidiana, travolta dell’eruzione ma non cancellata dal tempo.