Chi viene a Roma e passeggia per le sue vie si ritrova ad attraversare la storia. Ogni angolo ne contiene dei frammenti. Su alcuni ci si cammina addirittura sopra, come sui cardi o sui sampietrini.

 

Ci sono un luogo e un monumento capitolini, meno noti di molti altri, che tuttavia racchiudono un pezzo di storia fondamentale per l’Italia: di fronte Porta Pia, che si apre nelle mura aureliane nel quartiere Salario, si protende bersagliere in bronzo di quattro metri.  È la statua che celebra la Presa di Roma, evento clou dell’epopea risorgimentale che segnò la fine del potere temporale del papa e la realizzazione del sogno di Roma Capitale d’Italia.

Oggi si festeggiano 150 anni da quell’impresa, con una commemorazione curata dallo Stato Maggiore dell’Esercito e dall’Associazione Nazionale Bersaglieri. In programma la deposizione di una corona al monumento della Breccia e la mostra di una collezione di cartoline d’epoca a tema presso il Museo dei Bersaglieri. Si potrà ammirare anche la nuova illuminazione artistica di Porta Pia.

 

Un’impresa cruciale, in cui anche le ferrovie giocarono un ruolo rilevante. E già nel luogo fisico della Breccia esiste un legame con esse: le truppe pontificie erano asserragliate a Villa Patrizi, villa nobiliare che poi verrà ceduta e dove sorgeranno il ministero dei Trasporti e la sede di Ferrovie dello Stato.

Stefano Maggi, professore ordinario di Storia contemporanea Università degli studi di Siena, nelle righe che seguono, ricorda come la storia dell'Italia corra spesso lungo i binari.

 

 

20 settembre 1870, le truppe italiane entrano a Roma dalla breccia di Porta Pia, presso Villa Patrizi, tuttora sede delle Ferrovie dello Stato Italiane e delle società controllate. In quel momento in tutta la penisola italiana erano in esercizio 6.630 Km di “strade ferrate”, come erano all’epoca definite.

Negli anni del Risorgimento, cioè il processo che portò all’unificazione nazionale, furono legati alle ferrovie alcuni luoghi simbolici, che segnarono il passaggio dagli Stati preunitari all’Italia unita.

 

Tra questi, il ponte di Boffalora sul Ticino che nel 1859 mise in comunicazione Piemonte e Lombardia fino allora divise fra Regno di Sardegna e Regno Lombardo-Veneto; la ferrovia «Porrettana» che nel 1864 valicò per la prima volta l’Appennino centrale tra Bologna e Pistoia; le gallerie del Fréjus (1871) e del Gottardo (1882), che collegarono l’Italia con i paesi europei.

 

La Porrettana (linea ferroviaria Bologna-Pistoia) © Archivio Fondazione FS Italiane

Negli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento, i governi del nuovo Regno d’Italia concentrarono i loro sforzi negli investimenti ferroviari, finalizzati a collegare il nord e il sud del paese, mentre il treno era celebrato da poeti, scrittori e pittori, che nella sbuffante locomotiva a vapore vedevano l’emblema più importante del progresso.

 

La gestione delle ferrovie costituì un nodo fondamentale della storia amministrativa italiana. Nel 1865 la legge dei “grandi gruppi” riordinò le compagnie private a livello pluriregionale, assegnando loro la proprietà e l’esercizio ferroviario. Il sistema non funzionò, alcune compagnie fallirono e nel 1885 i treni furono affidati a tre società private, che gestivano la Rete Adriatica nella parte orientale, la Rete Mediterranea nella parte occidentale e la Rete Sicula nell’isola. Infine, nel 1905 si ebbe la “nazionalizzazione” con la creazione dell’azienda Ferrovie dello Stato.

La stazione Termini di Roma © Archivio Fondazione FS Italiane

L’epopea del treno continuò con la Grande Guerra, durante la quale la ferrovia costituì il principale apparato logistico per muovere soldati, merci, armamenti.

 

Negli anni ’20 e ’30 la rete ferroviaria superò i 21.000 km e il treno continuò a rappresentare un’immagine di progresso, con l’inaugurazione delle ferrovie “direttissime”, con i treni elettrici, con le “littorine”. Durante la Seconda Guerra Mondiale i binari furono così importanti per gli spostamenti che le mine e le bombe colpirono soprattutto le stazioni, i depositi, i ponti e le gallerie, considerati obiettivi sensibili dagli eserciti che si fronteggiavano. 

Dopo la guerra, arrivò il “miracolo economico”, con il quale si diffuse l’auto per tutti, che fece passare il trasporto dominante da pubblico a privato. Ciò nonostante, la ferrovia rimase un elemento fondamentale per portare i pendolari a lavoro nelle fabbriche e consentire le grandi migrazioni dal sud al nord e verso l’estero. In questo periodo, si ebbe la triste chiusura di molti rami secchi, ma dagli anni ’90 è cominciato un vero e proprio “Rinascimento ferroviario”, caratterizzato da importanti investimenti sulle rotaie nelle città e soprattutto su ferrovie e treni ad “alta velocità”, che hanno portato riduzioni dei tempi di percorrenza così importanti da cambiare la geografia dell’Italia: Roma-Milano in 3 ore, anziché 6 significa poter viaggiare nell’asse principale a basse emissioni in treno, più veloce di automobili e aerei.