Non poteva che essere Venezia, regina incontrastata di creatività e innovazione, la pioniera di una grande sfida. Mentre l’intero pianeta sembra ripartire a passi timidi e incerti, la Serenissima apre le porte della Mostra internazionale di Architettura, dal titolo sorprendente - scelto prima dello scoppio della pandemia - How will we live together?. Organizzata dalla Biennale di Venezia, sotto l’egida del presidente Roberto Cicutto e del curatore Hashim Sarkis, è in programma fino al 21 novembre tra i Giardini, l’Arsenale e Forte Marghera. In esposizione le installazioni di 112 artisti in concorso – con un'ampia presenza di donne – provenienti da 46 Paesi, e una forte rappresentanza di Africa, Asia e America Latina. Sono 61 le partecipazioni nazionali che animano gli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, con tre nazioni presenti per la prima volta alla Biennale Architettura: Grenada, Iraq e Uzbekistan. Cinque le “scale”, o aree tematiche in cui è articolata la Mostra, tre allestite al padiglione centrale ai Giardini e due all’Arsenale, con progetti che spaziano tra l’analitico e il concettuale, i lavori sperimentali e quelli consolidati. Si indagano tutte le potenzialità dell’abitare, dalla ricerca di nuovi modi in cui le comunità possono organizzare lo spazio all’impegno dei designer per la salvaguardia del patrimonio naturale in via di estinzione, da nuove forme di attrezzature sociali come parchi, scuole e ospedali, alla presentazione di soluzioni per far fronte al degrado ambientale, con uno sguardo accurato sui cambiamenti climatici e tutto ciò che ne può derivare.

«Una mappa geopolitica del mondo, che mette assieme le realtà più diverse dal punto di vista sociale, economico e umano, tessuta da tutti i partecipanti, provenienti anche da luoghi lontani, che si incontrano a Venezia. L’architettura è senza dubbio la disciplina che più direttamente può incidere su quella mappa, rilevandone le criticità e cogliendone gli aspetti positivi», confessa Cicutto, che in poco più di un anno di presidenza alla Biennale ha dovuto gestire una situazione estremamente complicata. Molte le partecipazioni fuori concorso, dalla mostra nella mostra Future Assembly nel padiglione centrale dei Giardini all’evento speciale della Vuslat Foundation, che propone all’Arsenale un’installazione di Giuseppe Penone, esponente dell'arte povera.

Studio Other Spaces per la mostra Future Assembly

Nel padiglione delle arti applicate trova spazio il progetto speciale Three British Mosques, in collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra, con lo scopo di celebrare e documentare l’evoluzione delle moschee in Gran Bretagna. Da spazi adattati in cinema dismessi, vecchie case, ristoranti e pub, nati dall’iniziativa popolare ed esemplificativa di riuso creativo, diventano costruzioni di nuova generazione, simbolo di un dialogo interreligioso off-limits. Fitto il programma di conferenze, incontri ed eventi collaterali, che durerà fino a novembre e si intreccerà con i festival di teatro, danza contemporanea, arte cinematografica e musica contemporanea. Di particolare importanza il Leone d’oro, riconoscimento che La Biennale tributa ogni anno a personalità che si sono distinte nel mondo della cultura contemporanea. Per il 2021, il premio speciale alla memoria è dedicato a Lina Bo Bardi, architetta italiana naturalizzata brasiliana, grande e visionaria interprete di un’architettura destinata alla socialità, la cui opera più che mai appare come forma d’arte di estrema modernità. Il Museo di San Paolo da lei progettato è un esempio di spazio pubblico sinonimo di inclusione. Il Leone d’oro alla carriera viene invece conferito a Rafael Moneo, teorico dell’architettura e critico spagnolo, che a Venezia ha dato un contributo di fondamentale importanza nella progettazione dell’area abitativa della Giudecca, vincitore anche del con concorso per il nuovo palazzo del Cinema al Lido.

«Gli architetti sono chiamati a suggerire nuove organizzazioni sociali e soprattutto a proporre alternative», spiega il curatore Sarkis, architetto libanese e preside della Scuola di architettura del Massachussetts Institute of Technology di Boston (MIT). Intorno a questa affermazione si snoda il fil rouge della Mostra internazionale, tutta incentrata su come l’umanità possa trovare risposte alla convivenza futura. «L’architettura è una disciplina ottimista, abituata a cercare soluzioni da offrire alla società», dichiara Sarkis. «Trovare la giusta armonia tra uomini e natura, nel rispetto di entrambi, non può che essere il primo obiettivo di questa nuova era».

Importanti i contributi delle istituzioni: ai Giardini, il padiglione Venezia ospita un progetto sperimentale e interattivo fortemente voluto dal sindaco Luigi Brugnaro. Ampio spazio anche al settore Educational con laboratori didattici che coinvolgono in modo attivo i visitatori più giovani. Dopo quasi due millenni di storia, Venezia rappresenta ancora un incubatore di novità spettacolari, miscellanea di cultura capace di proporre una visione comune, con l’intento di realizzarla trasformando i problemi in opportunità. E continua a ruggire come il Leone alato di San Marco, perché di Venezia ce n’è stata e ce ne sarà sempre una sola.

 

Articolo tratto da La Freccia di giugno 2021