Presidente giuria letteraria Premio Internazionale Elba-Brignetti

C’era una volta un bambino dotato per il nuoto. La famiglia a cinque anni glielo impose. In realtà amava il pallone e arrivato a dieci anni disse, tutto serio, alla madre: «Da oggi andrò solo a calcio». Trent’anni dopo, da manager affermato, continua a giocare nelle squadre di seconda categoria. E, in una vita ricca di incontri ai massimi livelli, non può certo fare a meno di passare le sue domeniche nella squadra del Radicondoli. Del resto, Bernard Shaw diceva, grosso modo, che il calcio racchiude in 90 minuti l’intero universo e il Balzac di questo epico sport, Gianni Brera, aveva per primo colto nel campionato di calcio una metafora della vita. Ma su questo torneremo.

 

Con il suo bel libro Stefano Massini ci regala un’autentica ballata. L’architettura linguistica e teatrale racchiude i capitoli in una cornice ideale che parte dalla squadra e finisce a Stamford Bridge. Il risultato scenico e acustico è a dir poco spettacolare: nel leggere i numeri delle maglie e i nomi sembra di sentire gli altoparlanti dello stadio e, per dirla come il grande Mourinho, «il rumore dei nemici».

 

Ma veniamo alla storia. È il 6 aprile 1917. Gli Usa entrano in guerra, il bollettino dei morti si allunga ogni giorno e Lenin sta preparando la rivoluzione russa. Nel cortile di una fabbrica di munizioni di Sheffield, durante la pausa pranzo, un gruppo di operaie prende a calci una palla, un prototipo innocuo di bomba, abbandonato là. È il calcio d’inizio di questa storia, il primo sfogo di rabbia di queste donne: mariti, padri e figli sono in guerra, mentre loro combattono contro la solitudine e lo schifo. Undici donne, 11 storie, 11 guerriere che vogliono fare la loro parte. Massini disegna ciascuna, c’è chi legge Marx, chi vuole essere invisibile oppure diventare suora. Penelope parla in un modo tutto suo e vede le cose come stanno, Rosalyn, enorme, difende la porta come se ne andasse della sua stessa vita. Queste povere anime vengono ricamate con lo stesso filo e poi sollevate in alto tutte insieme. E si fondono in una sola meravigliosa entità: le Ladies Football Club. Hanno insegnato loro a essere pazienti e compassionevoli crocerossine. E invece diventeranno una squadra, la prima in assoluto, che osa sovvertire le regole di un gioco allora solo maschile. Indosseranno pesanti divise nere e si sentiranno vive insieme, sul campo. Con l’entusiasmo di prendere a calci una palla e infilarla in rete (non importa quale!).

Desiree van Lunteren, Nazionale olandese, e Alia Guagni, Nazionale italiana, durante la Coppa del Mondo femminile (2019) © Rico Brouwer/Soccrates/Getty Images

Saranno, insomma, le nostre eroine. A volte perdono, ma quando Rosalyn Taylor scappa via stringendo un pallone, forse tutto lo stadio di Stamford Bridge sarebbe voluto fuggire con lei. Beppe Severgnini sarebbe d’accordo. Il campionato di calcio è una metafora perfetta della vita e del campionato del potere con quattro regole ferree:

1. quantità (intesa come allenamento e dedizione), è solo un prerequisito;

2. qualità, estro, fantasia intelligente;

3. dèi benevoli, perché dai gravi infortuni non sempre si riesce a risollevarsi;

4. fisico bestiale, per sopportare le avversità, i veleni, le cattiverie e le ingiustizie.

 

Sapendo che alla retorica domanda «ma ne valeva la pena?» si possa rispondere senza incertezze (le ragazze inglesi e tutti noi) «sì, ne vale la pena».