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In questo periodo, vissuto tra quattro mura per l'emergenza Coronavirus, molti genitori guardano i propri figli e si chiedono: «Staranno bene?». Ogni bambino, o ragazzo, è diverso, ma per non sottovalutare piccoli campanelli d’allarme né inciampare in momenti di sconforto la psicologa e psicoterapeuta post-razionalista Silvia Scorza dellIstituto Psicologico Europeo di Roma ci aiuta a dare valore a questo tempo “diverso”.

La psicologa Silvia Scorza

Quali sono le difficoltà emotive del bambino in isolamento?

Le reazioni dei piccoli sono eterogenee e per gli adulti non è facile comprenderle. Il bambino, prima di tutto, non è in grado di capire cosa sta provando né poi di esprimerlo. Pertanto un disagio può essere dedotto da diversi comportamenti: maggiore irritabilità, capricci, richiesta eccessiva di attenzione, repentini cambi d’umore, problemi a prendere sonno o frequenti risvegli notturni. Tra gli aspetti a cui dare maggior attenzione c’è la svogliatezza durante giochi o attività che prima gli interessavano, perché potrebbe nascondere un malessere psicologico. I genitori devono aiutare i piccoli a condividere le proprie emozioni, accogliere la paura senza sminuirla ed essere al contempo protettivi e rassicuranti, usando un linguaggio semplice e comprensibile in base all’età. Al contempo è importante dare dei limiti, perché i bambini con regole definite si sentono sicuri e protetti. Bisogna far sì che siano simili a quelle che avevano nella normale quotidianità, altrimenti si confondono.

 

Una routine utile per i più piccoli?

Non esiste una formula predefinita, ogni famiglia però deve organizzare la giornata in maniera regolare e costante, perché la routine svolge un ruolo ansiolitico. Si sentono rassicurati quando hanno modo di sapere cosa avviene durante il giorno, un po’ come a scuola, dove c’è il momento della merenda, del gioco libero o strutturato. Hanno bisogno che il tempo sia distribuito in modo più o meno regolare, per alternare attività cognitive, artistiche e altro. Molti adulti si fanno prendere dall’ansia di non riuscire a intrattenere i propri figli, quando invece lasciare spazio al gioco libero è fondamentale: assolve una funzione psicologica molto importante e gli permette di reinventare la realtà creando un mondo che riflette i suoi desideri, le sue emozioni o paure. Un altro aspetto importante è riuscire a far scaricare ai bambini tutta l’energia che hanno attraverso attività motorie. Su Internet ci sono diversi tutorial come, per esempio, quelli per realizzare piccoli percorsi da fare in casa con materiali di riciclo.

 

A proposito del web, com’è cambiato l’approccio con la tecnologia, soprattutto per gli adolescenti?

Lavorando con i più giovani, mi sto rendendo conto di quanto stiano adottando un atteggiamento diverso verso la comunicazione digitale: la stanno rigettando. Mentre prima era l’unica modalità per rimanere in contatto, adesso mi capita di sentire che i ragazzi non hanno voglia di coltivare le amicizie su WhatsApp, ma aspettano di rincontrarsi. Hanno nostalgia di un abbraccio e il virtuale ha perso quel fascino perché sono costretti a utilizzarlo. Mi auguro che, tornati alla normalità, si ricordino di quanto hanno provato in questo periodo.

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Come stanno reagendo gli adolescenti al periodo di libertà limitata?

Non si sono resi immediatamente conto di quello che stava accadendo. Inizialmente erano felici, perché potevano rimanere a casa: niente scuola, interrogazioni, compiti in classe e corsi extrascolastici. Con il passare del tempo, però, hanno cominciato a raccontarmi di oscillazioni dell’umore, di momenti di frustrazione e rabbia e di grande apatia. Il suggerimento è quello di affrontare un giorno alla volta, prestando attenzione alla cura di sé. Ci sono persone che restano in pigiama tutto il giorno, io lo eviterei. E, ancora, va organizzata la giornata in tempi precisi includendo l’attività fisica, che permette di allentare la tensione emotiva. Suggerisco di non vivere questo periodo non come fosse un tempo “sospeso”, bensì “diverso”, un tempo in cui ci si può dedicare ad attività che avevamo lasciato in disparte.

 

Finito il lockdown dovremo preoccuparci di conseguenze traumatiche?

Non esistono studi che possano sostenere gli effetti di situazioni analoghe a questa. Le conseguenze dipendono dal nucleo familiare in cui ci si trova. Ci sono diversi aspetti da considerare: una famiglia che ha subito lutti e ha vissuto nelle zone rosse del Nord Italia non è paragonabile a una che non li ha avuti e che vive in un’area poco colpita. È difficile generalizzare, ma mi auguro che questa esperienza possa diventare un’occasione di crescita sia per l'individuo che per la famiglia.