Chiesa di Sant'Anna di Stazzema (LU) © Federico Neri/AdobeStock
La Resistenza all’oppressione nazifascista fu un fenomeno complesso che, dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, oltre ai gruppi partigiani coinvolse larghe fasce di società civile.
Donne e uomini, spesso giovanissimi, si impegnarono per la liberazione del nostro Paese. E la popolazione pagò un prezzo altissimo in termini di brutalità, violenze ed esecuzioni subite durante la ritirata dell’esercito tedesco. Secondo l'analisi riportata nell'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, a cura dell’Anpi e dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, le vittime furono oltre 23mila e circa 5.550 gli episodi di violenza, tra il ‘43 e ‘45, mappati su una gran parte del territorio nazionale, soprattutto tra il Lazio, la Toscana, l’Emilia-Romagna e il nord Italia.
Alle Fosse Ardeatine, le cave estrattive lungo l’omonima via di Roma, furono trucidate 335 persone tra civili, militari, ebrei, detenuti. Una strage esemplare per dissuadere il popolo da intenti ribelli a sostegno della Resistenza. Era un giorno di inizio prima- vera, il 24 marzo ‘44.
Salendo lungo la Toscana, Sant’Anna di Stazzema (LU) si ricorda per una delle carneficine più raccapriccianti, il 12 agosto dello stesso anno: quella dei bambini. I civili fucilati e carbonizzati furono 560, soprattutto minori.
Scavallando l’Appennino tosco-emiliano c’è Marzabotto (BO), adagiato ai piedi di Monte Sole, dove si è consumato uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione durante la Seconda guerra mondiale. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre ‘44 oltre 800 abitanti di quella provincia bolognese furono giustiziati.
Questo “solo” per citare le stragi più importanti. Ma in ogni paese, città o sentiero nel bosco c’è una lapide, un cippo, un monumento che ricorda quei giorni di atrocità e impegno. I ragazzi e le ragazze del ‘43-‘45 sono sempre meno, ecco per- ché è importante raccogliere e diffondere testimonianze vive come quella della partigiana Teresa Vergalli.
La memoria funge da monito e rende visibile ciò che non lo è più e, come sostiene la senatrice Liliana Segre, «coltivarla è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta in un mondo così pieno di ingiustizie».