In apertura foto ©Giampiero De Robertis

Covid-19 non ferma il Festival delle Idee, all’M9 - Museo del ‘900 di Venezia Mestre fino al 18 ottobre. Anzi suggerisce il tema di questa seconda edizione, la Rinascita, approfondito da personaggi del mondo della cultura e della scienza che riflettono sul modo in cui tornare a vivere dopo una pandemia che ha bloccato e continua a tenere fermo il mondo intero. A chiudere la rassegna, con lo spettacolo L’ultimo dandy, domenica alle 21:45, il cantautore Morgan che omaggia lo storico dell’arte Philippe Daverio, recentemente scomparso. I due si erano ritrovati casualmente sullo stesso palco in occasione proprio del Festival delle Idee lo scorso anno, in un’emozionante e ironico siparietto che aveva ricevuto grandi apprezzamenti da parte del pubblico presente. È lo stesso Morgan a raccontare a FSNews il suo legame con un uomo che ha avuto il grande merito di rendere l’arte più appetibile per un pubblico poco avvezzo a valorizzarla.

 

Morgan, tu hai avuto modo di apprezzare in prima persona Philippe Daverio. Che idea hai di lui?

Philippe Daverio è uno degli elementi cardine della nostra società perché divulgava la cultura e dedicava la sua vita all’insegnamento e anche all’intrattenimento, perché era davvero una persona molto godibile. Prima di conoscerlo personalmente ho sempre avuto molto piacere nel vedere quello che faceva in televisione. Per sapere poi che è stato anche assessore e si è messo dunque a disposizione della società. La vita di questo personaggio merita un applauso, bisogna ricordarlo, tramandare la sua eredità. Io ho avuto l’onore di conoscerlo e i momenti che abbiamo condiviso sono stati di altissimo livello culturale. Altissimo. Una gioia per i sensi e per la mente, lui era l’espressione dell’intelligenza, della voglia di stare al mondo. Ed è desolante che persone così se ne vadano via così in fretta, mi viene il nodo alla gola.

Come mai avete scelto il titolo L’ultimo dandy?

Per quanto riguarda il dandismo è chiaro che un essere umano così intelligente, di così vaste vedute, avesse qualcosa da dire in merito al costruire un’opera d’arte anche su di sé e non soltanto sulla conoscenza delle opere altrui. Quando tu conosci un’opera d’arte te la metti addosso. Philippe Daverio era un’opera d’arte, era ciò che per uno scultore dell’antica Grecia era la bellezza e la bontà, kalòs kai agathòs. Il suo papillon, quello che lui chiamava cravatta giustamente perché era un grande conoscitore delle parole, era la punta di un iceberg. Era la rappresentazione di tutto ciò che c’era sotto, l’amore e la passione per la cultura, per l’arte, per la creatività. E pochissime persone sanno annodare un papillon, oggi è un atto culturale.

 

Come è andata quella serata in cui vi siete trovati sullo stesso palco? Non era in programma.

Non me lo aspettavo proprio, è stata un’epifania per me. È stato bello vedere con che sensibilità lui interagiva con uno spettacolo che non era il suo e dentro al quale era stato gettato. Lì vedi la grandezza di un artista, contrariamente a quanto è andato in scena a Sanremo, nel mio caso, dove si è vista la piccolezza di qualcuno che non è in grado di stare su un palco. Philippe Daverio ci sapeva stare benissimo su un palco. Avrei voluto che ci fosse stato lui al posto di Bugo.

 

Che ricordo porti con te di quella serata con Daverio?

La cena che è seguita allo spettacolo, piena di risate. È stata un delle più belle serate che io abbia mai vissuto negli ultimi anni. C’è una foto in cui fingiamo di essere due vampiri. In quell’occasione, quindi, ho avuto modo di conoscerlo nel suo lato più leggero, più disteso. Dire solo che era davvero una bella persona non rende l’idea. Provo tanta malinconia nel ricordarlo.

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L'M9 - Museo del '900 è a soli 15 minuti dalla stazione di Venezia Mestre