Foto in apertura: Claudio Onorati/Ansa

Correvano veloci lungo le gallerie” comincia così Passaggi a livello. Era l’ottobre del 1980 quando uscì l’album Patriots.

 

Un tiepido successo commerciale lo definì qualcuno. Dimentico che in quello stesso album c’era anche Prospettiva Nevski una canzone che ha fatto il giro del mondo, destinata a far sciogliere “i cumuli di neve”, a scaldare i cuori di giovani e vecchi. 

Un manicheo, così diceva di se stesso. Uno che ha impiegato del tempo a preferire “la luce al buio” e “a trovare l’alba dentro all’imbrunire”. Questo è Franco Battiato. Ci ha lasciato in silenzio il 18 maggio, dopo una lunga malattia. Aveva 76 anni, era a casa sua, a Milo. Una cittadina vicino a Catania, da dove si vede spesso l’Etna fumare. 

Forse è salito su uno degli ultimi Treni per Tozeur. Franco Battiato artista, genio della musica, cantante, poeta. Giocava anche a calcio da ragazzo, ruolo: ovviamente libero. Lo ha raccontato qualche anno fa lui stesso a Gianni Minà in un’intervista Rai.

E a una domanda di Vincenzo Mollica, in uno dei loro tanti incontri, che faceva più meno così “Cosa ti piacerebbe rimanesse di te in questo transito terrestre”, Battiato rispose: “Mi trovi completamente impreparato – ma poi aggiunse – il mio suono. Il suono è una vibrazione di quello che sono”.

Per Battiato oggi inizia un nuovo viaggio. Sarebbe bello chiedergli cosa si è portato con sé. A noi lascia una speranza, un bagliore che se inseguito può diventare vera luce.