I simboli delle città, tendenzialmente, sono sempre stati il municipio, la chiesa, la biblioteca, il cinema e la stazione. Se alcuni di questi stanno vivendo una crisi reduce dalle restrizioni sanitarie o, più in generale, causata da una minore attrattività, altri come il municipio e la chiesa, hanno sempre lo stesso ruolo all’interno del tessuto sociale cittadino: strutture che possono essere sinonimo di noiose ed estenuanti trafile burocratiche o capaci di rappresentare luoghi di culto e fede (per chi ne ha). Sembrerebbe che solo la stazione abbia mutato il proprio aspetto e valore. Un tempo, infatti, in stazione ci si andava per prendere o scendere da un treno. Al massimo, nella più fortunata delle ipotesi, poteva essere scelta come punto di incontro per un appuntamento. «Ci vediamo sotto l’orologio della stazione alle 16», sarebbe potuto essere l’ideale invito di un adolescente italiano, rivolto alla ragazza di turno. Adesso, invece, qualcosa è cambiato.
Le interviste ai Sindaci
La stazione ha mutato il suo valore, in alcuni casi addirittura la sua struttura architettonica, e sicuramente ha modificato il suo stare nel bel mezzo di una città. Temi come intermodalità, innovazione, socialità e accessibilità vanno, infatti, a braccetto con quello di stazione o hub ferroviario. Ogni smart city, degna di questo nome, sta sviluppando nel suo rinnovato tessuto urbano (o nei casi più fortunati ha già sviluppato) una nuova veste per la stazione. Una parola che etimologicamente vuol dire stare fermo, ma che al giorno d’oggi sembra in completo movimento. La stazione come punto di partenza, come alleato di tutto ciò che è urbano e inserita totalmente all’interno del costante mutamento cittadino. Concetti, questi, sempre più presenti in ogni latitudine dello Stivale e confermati dalle videointerviste esclusive ai Sindaci di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Firenze, Rimini (in questo caso non un primo cittadino, ma l’assessore alla mobilità), Parma e Palermo.