In apertura una madre e la sua bambina guardano una costruzione distrutta di Mariupol © Rasstock/GettyImages
Questo mese non andremo a conoscere luoghi incontaminati della nostra Penisola, posti carichi di spiritualità. Stavolta varchiamo i confini e andiamo verso l’Ucraina, dove da oltre tre mesi si sta perpetrando un «massacro insensato», come in più occasioni lo ha definito papa Francesco.
Nei giorni che hanno preceduto la partenza, insieme alla cooperativa sociale Auxilium e all’associazione Croce di Sant’Andrea di Amalfi, abbiamo lavorato moltissimo per raccogliere aiuti umanitari: medicinali, coperte ma anche telefoni cellulari, fondamentali per mantenere i contatti tra le persone. L’ultima offerta ricevuta proviene da una signora che mi ha consegnato una busta, con questa raccomandazione: «Sono i risparmi della nostra famiglia». Il tir che ci accompagna, insomma, è carico di umanità.
Per sostenere i frati in Ucraina e la popolazione che soffre, si può donare chiamando o inviando un sms al 45515
Un papà ucraino, con i suoi bambini in un rifugio antiaereo, guarda le ultime notizie sull’invasione russa © Mariia Symchych-Navrotska/EyeEm/GettyImages
Il 30 aprile la missione umanitaria a cui ho preso parte è partita verso la capitale Kiev. Insieme a me, il fondatore della cooperativa Auxilium Angelo Chiorazzo, la direttrice del Tg3 Simona Sala, la giornalista Lucia Annunziata e la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, che ha guidato la delegazione. Poco prima, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Piero Parolin, mi ha detto: «Portate la vicinanza e l’incoraggiamento del Papa al popolo che soffre, vi accompagnerò con la preghiera».
Diretti verso Leopoli, varchiamo i confini dell’Ucraina. I controlli sono serrati, la tensione palpabile. Il viaggio dura tutta la notte, attraversiamo la Slovenia e l’Ungheria, costeggiando Budapest. E anche se le prime luci del giorno ci accolgono, so che la notte è soltanto iniziata. Nel varcare il confine, bacio questa terra, questo corpo martoriato.
A Leopoli, il primo incontro è con frate Nicolas. In Ucraina ci sono circa 200 francescani e una rete di solidarietà silenziosa. «Le chiese sono diventate rifugi, suore e preti fanno da tassisti per spostare, portare e proteggere i civili». Ci racconta i drammi, le ferite, la catastrofe di un popolo. E l’incubo delle sirene: quando suonano, c’è chi trova riparo negli scantinati e chi sceglie di rimanere nei rifugi. Juri, responsabile della comunità di Sant’Egidio in Ucraina, ci mostra un ristorante storico di Leopoli diventato un centro di smistamento di aiuti e pratiche utili per cercare parenti e amici di cui non si hanno più notizie.
Un soccorritore si prende cura del cane di una donna ucraina in fuga, dopo il superamento del confine verso Siret, in Romania © Bloomberg/GettyImages
Partigiani ucraini si rendono disponibili ad accompagnarci nella seconda parte del viaggio. Mentre Alexey, 36enne di Kiev, mi dice che il peggio deve ancora arrivare. Le prossime tappe saranno Terebovlja e Ternopil’, città a poche ore dalla capitale ormai diventate campi profughi. Affidiamo ai frati una prima parte degli aiuti umanitari, mentre ci prepariamo a ripartire. Il viaggio al termine della notte è soltanto iniziato.
Riusciamo a raggiungere Kiev. A svegliarci è il suono delle sirene: alle 2 la prima, alle 5 la seconda. Trascorro la giornata con alcuni volontari nei centri di accoglienza profughi. Uno di questi prima era una vecchia scuola e ora ospita circa 250 persone in condizioni igieniche al limite del sopportabile. Ci sono camere con un frigo, un tavolino, piccoli fornelli e un letto di fortuna dove dormono in quattro in compagnia di cani e gatti. Ad accoglierci i sopravvissuti di Kiev: il sorriso dei bambini, la dignità delle madri, l’indignazione dei padri.
Bambini che stavano iniziando a incontrare il Dio della vita e che, invece, hanno trovato la violenza e la morte: il nunzio apostolico a Kiev ci mostra una Bibbia recuperata nella stanza dei ragazzi di una casa devastata a Irpin’, insieme a un’altra copia annerita dalle bombe, oggetti che dicono tanto di questa guerra assurda e lasciano storditi. «Dei piccoli non c’è più nessuna traccia», racconta monsignor Visvaldas Kulbokas. Durante l’incontro con la nostra missione umanitaria il nunzio spiega di aver ricevuto quegli oggetti da un colonnello dell’esercito ucraino, che li ha consegnati dicendo: «Meno male che i preti non possono arruolarsi, altrimenti anche loro avrebbero imbracciato il fucile davanti a tanta violenza».
Bibbie ritrovate nelle case bruciate dai soldati russi a Bucha, ora custodite nella Nunziatura di Kiev © Padre Enzo Fortunato
Le strade sono presidiate da continui check point con soldati muniti di kalashnikov. Ci fermano, i controlli sono severi e intimoriscono. Purtroppo, l’appello di papa Francesco a deporre le armi è rimasto inascoltato. Una madre, Alexia, ci chiede di non abbandonarli, soprattutto quando la guerra sarà finita. Un uomo di trentasei anni, Nikolaj, promette di combattere a ogni costo, senza un segno di incertezza.
Alle storie di chi ha perso tutto a causa del conflitto, si affiancano quelle degli ultimi, i poveri tra i poveri. Vagabondi e clochard, uomini e donne senza nome che vengono accuditi, vestiti e portati in luoghi sicuri. La giornalista Annunziata mi ha incalzato più volte durante il viaggio: «Possono bastare le invocazioni alla pace o è tempo di agire?». Anche qui, lacerato dentro, non ho saputo dare risposta. Faccio fatica a rintracciare l’umanità sotto le mimetiche dei soldati russi che si sono macchiati di tante stragi.
Anche il ritorno in Italia è nel cuore della notte. Il camion ora è vuoto, ma la mente è piena di domande. Perché la guerra e non la pace? Per un lembo di terra, per il potere? Varchiamo i confini quando ci arriva la notizia dei bombardamenti nella regione di Leopoli. Il pensiero va ai frati di Sant’Antonio, alle famiglie incontrate. Forse hanno ragione i frati: questo conflitto sarà ancora lungo. Nella tarda mattinata, arrivo ad Assisi: dalla città delle bombe alla città della pace. È necessario imparare tutto nuovamente, abbiamo dimenticato l’umanità. Dobbiamo riscrivere un dizionario contro la guerra, le cui parole saranno: inclusività, sostenibilità energetica e umana, transizione ecologica, equità e giustizia, integrazione, costruzione e ricostruzione delle infrastrutture e del tessuto sociale.
Articolo tratto da La Freccia