In cover, Francesca Moraci © Giangabriele Fiorentino

È forse un peccato essere ambiziosi e determinati nel realizzare i propri sogni professionali? Assolutamente no. E lo dimostra, con una magistrale lezione di vita, Francesca Moraci, architetta e professoressa ordinaria di urbanistica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria nonché componente del Consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Italiane. Siciliana doc, messinese per la precisione, dotata di un’acuta intelligenza e di una grande forza d’animo, negli anni si è occupata – oltre che di ricerca scientifica – di donne e Sud. Affrontando continue battaglie per l’equità.

La consegna del premio Donne che ce l’hanno fatta 2015, a Milano

È stata protagonista del live talk 100 donne che stanno cambiando l’Italia e insignita due volte del premio Donne che ce l’hanno fatta, iniziative promosse dagli Stati generali delle donne. Ce ne parla?

Ho incontrato questo gruppo, che svolge un’attività a tutto tondo per il gender gap, nel 2015. Allora, ero nel Cda di Anas e la motivazione del riconoscimento riguardava la tenacia nello sfondare il tetto di cristallo e la capacità di mettere insieme ruoli manageriali e accademici, visto anche il mio incarico all’università. Oggi faccio parte del Comitato scientifico di questo movimento di donne, assieme a figure di grande eccellenza del Paese come Isa Maggi, instancabile e ammirevole coordinatrice. Quest’anno, abbiamo promosso l’iniziativa Alleanza delle donne, che mette in rete più associazioni per dare maggiormente voce al movimento e interloquire con il Governo su questioni di genere e occupazione femminile. Ho contribuito in modo articolato al tema del talento, perché si capisca che promuovere e valorizzare le donne, in una società paritaria e uguale, non è filantropia ma un vero e proprio business. Il secondo riconoscimento riguarda soprattutto il mio impegno per l’innovazione culturale in nome del futuro, un presente continuo che costruiamo giorno per giorno.

 

Quali sono le maggiori criticità che le donne riscontrano?

La situazione, non soltanto nel nostro Paese ma anche a livello mondiale, è veramente difficile: la disoccupazione femminile, le violenze notevolmente aumentate nei mesi di lockdown, la mancata assistenza alle madri lavoratrici all’interno delle famiglie hanno portato a un decremento demografico fortissimo. E le attuali politiche non bastano a colmare il profondo gap strutturale che si è acuito in questi ultimi anni. Servono importanti misure, altrimenti è difficile uscirne. In un momento in cui l’Italia è chiamata a ricostruire il proprio futuro post Covid-19, le donne possono contribuire, al pari degli uomini, con un elevato grado di competenza, visione e strategia politica in tutti i campi e in tutti i servizi intellettuali di management, progettazione e capacità organizzativa. Questo tetto di cristallo va sfondato, non solo una volta ma migliaia di volte e in particolar modo al Sud.

Una panoramica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Come si è sviluppato il suo percorso professionale?

Mi sono laureata in Architettura e ho preso un dottorato di ricerca, tra Italia e Stati Uniti, in pianificazione territoriale presso la Northeaster University (NU) di Boston, dove ho anche conseguito il master in Economic Policy and Planning e ho vinto una borsa Fulbright sempre nello stesso dipartimento di Economia. Era il 1980, un periodo di fermento e visioni, di vero cambiamento. In questo mixité di saperi, vinse il Nobel Franco Modigliani e ci si cominciò ad approcciare alle politiche di sviluppo in un modo del tutto nuovo. Nonostante abbia portato a termine un percorso accademico complesso, ho rifiutato sia di rimanere negli Usa che di lavorare in Europa. Non so se è stato giusto oppure no, ma ho fatto la mia scelta: all’epoca avevo la certezza di poter cambiare il mondo e desideravo insegnare nella mia università. Amo da sempre la mia terra.

 

A conti fatti, è soddisfatta della decisione?

Ho avuto tutti i ruoli dentro l’università: direttore di dipartimento, membro del consiglio di amministrazione, presidente del corso di laurea. Ho anche scritto lo statuto dell’ateneo assieme ai colleghi di giurisprudenza. Insomma, non mi sono mai tirata indietro. Il mio unico insuccesso è stata la candidatura a rettrice nel 2010. Oggi Sapienza, la più grande università di Roma, ha eletto alla guida dell’ateneo Antonella Polimeni (leggi l’intervista) e io non posso che gioire. Citando la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris: «Sono la prima, ma non sarò l’ultima».

L’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Fa parte del Consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Italiane. Che politiche di inclusione mette in atto il Gruppo?

Le policy di FS hanno sempre dato molto rilievo alle donne. C’è stato un incremento della partecipazione femminile nei ruoli apicali, dirigenziali e tra i componenti dei consigli di amministrazione. Il Gruppo fa anche parte della piattaforma Women in Transport istituita nel 2017. Inoltre, si sta portando avanti un percorso sull’inclusione che coniuga il benessere lavorativo in azienda al raggiungimento di importanti risultati economici e d’immagine. Ferrovie dello Stato supporta sia la crescita dei talenti che quella delle competenze, in un percorso paritario all’interno delle società. Questo è uno dei motivi per cui l’amministratore delegato Gianfranco Battisti è stato nominato Ambasciatore europeo per la diversità nel 2019 e, non a caso, FS è tra le 200 aziende più attrattive del nostro Paese, offrendo grandi opportunità al mondo femminile. Oltre a farne parte con orgoglio, è indubbiamente una delle esperienze più importanti della mia carriera.

 

Quand’era bambina che cosa sognava di diventare?

In occasione del premio Donne che ce l’hanno fatta 2020, ho ricevuto un messaggio da un mio vecchio compagno di scuola che diceva: «Si capiva già dalla seconda media» (ride, ndr). La scelta della facoltà è stato un atto di protesta perché la mia famiglia si aspettava che facessi altro. Ho intrapreso un cammino che nell’immaginario collettivo era “da uomo”. Ma io sono sempre stata ribelle, una ribelle istituzionale, che ha cercato di costruire all’interno del Paese un cambiamento. Un percorso che ha attraversato la mia vita in modo forte, con grandi sacrifici anche da parte degli affetti più cari che ancora oggi mi sono accanto. Questo era il mio progetto ma non l’ho capito subito, l’ho costruito pezzo dopo pezzo come un puzzle e solo adesso mi è tutto più chiaro. Certo, non mi fermo qui.

Articolo tratto da La Freccia