In cover, photo © H_Ko/Adobestock
Ci accoglie nella sede storica del Bambino Gesù al Gianicolo, nella Capitale, come se fosse casa sua. D’altronde, lei è la “mamma” dell’Ospedale pediatrico che da oltre 150 anni è il fiore all’occhiello della medicina in Italia e nel mondo.
La presidente Mariella Enoc si batte ogni giorno per la ricerca, la formazione e la cura dei bambini. Costruire «un contenitore dove il dolore possa essere gestito con empatia e partecipazione» lo considera un suo compito, che verrà tradotto in realtà con l’apertura, a gennaio 2022, del Centro di cure palliative di Passoscuro, sul litorale romano.
La struttura accoglierà i bambini che non possono guarire e le loro famiglie, accompagnando entrambi nel percorso di cura in ospedale e a casa. Dieci posti letto saranno destinati ai pazienti della Regione Lazio e altrettanti a quelli delle regioni limitrofe.
Come è nato il progetto?
A settembre abbiamo iniziato un percorso velocissimo, acquistando l’immobile da una congregazione di suore e realizzando un’importante opera di trasformazione interna. È un ambiente umanamente bello dove è facile gestire le emergenze grazie alla vicinanza con Palidoro, uno dei cinque poli ospedalieri del Bambino Gesù. E poi intorno c’è un bellissimo parco con accesso diretto al mare.
Cosa si intende per cura palliativa?
Il pallium era il mantello, nato per proteggere. Non si tratta di una cura vera e propria perché non può portare alla guarigione, ma è un sostegno per vivere meglio e togliere il dolore per quanto possibile. È un percorso di assistenza e partecipazione, richiede un rapporto di empatia con le famiglie che vivono quotidianamente un grande dramma.
Come le supportate?
Grazie all’aiuto di psicologi, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e volontari, oltre ovviamente a medici preparati in maniera specifica per le cure palliative. Insomma, con tutto quello che può comprendere un servizio che non è più ospedaliero ma di cura.
Una stanza del Centro cure palliative a Passoscuro (RM) © Archivio Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Il centro è stato realizzato grazie alla campagna "Mi prendo cura di te" della Fondazione Bambino Gesù. La raccolta fondi è ancora aperta: che riscontro state avendo?
Abbiamo deciso di non far pesare il progetto sui bilanci dell’ospedale finanziandolo con il fundraising e, in pochi mesi, siamo arrivati quasi a metà del budget necessario. Sono positivamente colpita: l’idea è stata capita, le persone ci stanno sostenendo e ci auguriamo di ricevere altre donazioni entro la fine dell’anno. Sono grata anche al Gruppo FS che sta contribuendo all’iniziativa e a tutti quelli che fanno qualcosa per il nostro ospedale, anche solo raccontandolo.
Parlare delle malattie infantili, però, è ancora un tabù…
In qualche misura sì. Quando viene diagnosticata una malattia a un bambino la reazione è quella di una tragedia che incombe. Ma, per esempio, oggi dalla leucemia si guarisce nell’85% dei casi. La comunicazione è fondamentale: dobbiamo far capire che le cure ci sono, così alcune parole terribili nell’immaginario comune possono essere assorbite meglio. Anche Dottori in corsia, la docu-serie girata all’interno dell’ospedale in collaborazione con Rai Fiction, è stata utile perché racconta storie di speranza: presto verrà realizzata anche la quinta serie.
E lei che rapporto ha con il dolore?
Il dolore è di tutti, bambini, adulti e anziani. Il nostro compito è renderlo meno faticoso, più di vicinanza e condivisione: non basta mettere il mantello sulla persona che soffre, sotto ci dobbiamo essere tutti noi.
Un padiglione della sede del Bambino Gesù al Gianicolo, Roma © Archivio Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Siete il primo centro di ricerca pediatrico in Europa e il secondo nel mondo, con numeri che parlano da soli: 62mila accessi al Pronto soccorso nel 2020, 26mila ricoveri, quattromila famiglie assistite. Su cosa volete puntare ora?
Sulla ricerca, il nostro cuore pulsante: qui vanno cercati gli strumenti per guarire. Quando mi chiedono di vedere l’ospedale porto tutti nei laboratori, dove abbiamo un’officina farmaceutica di 1.400 metri quadrati per la generazione di prodotti di terapia cellulare. E poi investiamo sulla formazione, anche in Paesi complessi come la Libia, dove stiamo organizzando corsi online per 160 infermieri di sei ospedali.
Lei è un medico di formazione e una manager per scelta. Come concilia l’aspetto umano con l’esigenza di dover far quadrare i conti?
È sempre difficile, anche se faccio questo lavoro da quasi 50 anni. Soprattutto perché il Bambino Gesù non porta avanti attività nel privato e ha bisogno di moltissime risorse: le cure sono a carico nostro e totalmente gratuite per i pazienti. Diamo anche tanto spazio alla relazione e questo ha un costo. Qui non si fanno esami ogni 20 minuti, se una visita deve durare un’ora si fa lo stesso. È un modello un po’ più complicato, ma con il grande rigore dei costi e i tagli alle spese inutili l’ospedale oggi sta in equilibrio.
Articolo tratto da La Freccia