Giulia è un film curato e attento ai particolari, come è nello stile del regista. Ciro De Caro ha presentato l’8 settembre alla mostra del cinema di Venezia una storia malinconica e ironica, che regala qualche risata di gusto. In un contesto sociale ed emotivo di incertezze, amplificate dal periodo della pandemia, la protagonista, però e nonostante le sue nevrosi e la precarietà in cui vive, sceglie la libertà. 

 

Il personaggio di Giulia è molto espressivo. L’interprete è l'attrice Rosa Palasciano che firma con te la sceneggiatura. Com’è stata la vostra collaborazione?

Il film è basato su un personaggio femminile forte e non potevo affrontarlo da solo. L’idea, anzi, è partita da Rosa. Noi due ci conosciamo da tempo, andiamo spesso al cinema insieme, passeggiamo ed esploriamo nel mondo reale. Rosa studiava questo personaggio già prima di scriverne. La vedevo rubare una banana dal fruttivendolo e non capivo perché, ma sperimentava delle scene, delle situazioni. Ha potuto dare così un’impronta e uno sguardo ai personaggi anche con particolari che io ritenevo meno importanti.

Scena del film "Gulia" di Ciro De Caro

Per esempio Giulia sgranocchia sempre qualcosa…

Non era previsto nella sceneggiatura, è stata anche questa un’idea di Rosa, per creare delle nevrosi. Cosa mangi Giulia non si sa, se noccioline o altro. Le trova, nel fondo dello zainetto, rovistando lì per lì. E per fortuna a volte pesca qualcosa che le porta fortuna, come potrebbe avvenire anche nella sua vita.  

 

L’attenzione ai particolari deriva dalla tua esperienza con la pubblicità?

Devo dire che da qualche tempo mi sono staccato da questo mondo di finzione e di eccesso malato per i particolari, perché mi sono ricordato di voler tornare a fare cinema. Agli attori ho chiesto attenzione sì, ma anche di agire con naturalezza, non con l’ossessione che qualcosa potesse andare storto. L’errore può rivelare un’intenzione nascosta e regalare un’originalità non prevista.

 

Il film descrive un mondo di incertezze sociali, economiche ed emotive, attraverso episodi giornalieri. Si susseguono in bilico, momenti tranquilli o noiosi e situazioni di tensione o scatti imprevedibili. Nessun gran finale o colpo di scena?  

Non ho voluto fare un film classico, dove tutto è pesato. Ho voluto raccontare il vuoto, la verità. Io e Rosa amiamo i film della Nouvelle vague ed Eric Rohmer, dove il racconto è prosaico. È attraverso il particolare che si può comprendere meglio una situazione generale. Il mio scopo è descrivere situazioni vere, che non annoiano chi guarda il film.   

 

Ci sono delle brevi incursioni nella vita medio borghese, come per esempio il viaggio in Kenya di una coppia o la scena con la commessa che ha sposato chi ha i soldi. Questi sprazzi hanno poco a che fare con gli sfigati protagonisti?

Sono descritti due mondi lontani tra loro come l’acqua e l’olio, che non si fondono mai, l’uno risputa via l’altro. Chi vive un’altra realtà, non può capire il modo di vita di Giulia e dei suoi amici. Lei guarda l’amica, con cui ha lavorato come commessa, e per un attimo pensa di voler essere come lei, ma subito dopo sa che non vuole essere così. Vive un contrasto sì, ma alla fine capisce che la sua felicità è stare da sola, libera. Senza dipendere da nessuno.     

Scena del film "Gulia" di Ciro De Caro

E l’effetto Covid amplifica queste differenze sociali. È un film, caso raro, in cui appaiono le mascherine…  

Era stato scritto prima della pandemia e quindi dopo lo abbiamo riscritto daccapo. Io non condivido per nulla la tesi che i film girati con la mascherina risulteranno vecchi. È assurdo, al contrario, fingere invece che non sia successo niente.      

 

Tra gli amici di Giulia c’è il simpaticissimo Fabrizio Ciavoni, nome anche dell’attore. È la prima volta per lui sul grande schermo: interpreta sé stesso?

Prima aveva partecipato a dei cortometraggi. Quasi sempre, ma non del tutto, interpreta sé stesso. Per quanto riguarda il nome, non riuscivo a trovarne uno diverso dal suo per poterlo dirigere. È servito perché così non ha finto.    

 

Ci sono anche delle citazioni visive che riportano al mondo dell'infanzia, come i giocattoli colorati, che sono anche in contrasto con i toni tenui dei vestiti e le sfumature dei panorami. Che importanza hanno per te?

Ho creato volontariamente un confine poco delineato tra l’essere bambina di Giulia e il suo desiderio di avere un figlio. Sulla scelta dei colori posso dire che non mi piace impostare la palette, come si fa nelle serie tv. Io personalmente ho preferito colori pastello. 

 

Tra i giocattoli c’è un pinocchietto che Giulia muove spesso, mentre sembra pensare a una vita diversa da quella di un burattino.

Come Pinocchio anche lei incontra molte persone e si trasforma. Dà il suo giocattolino a Sergio (Valerio Di Benedetto), passandogli simbolicamente quello che lei non è più, un burattino. E poi cercherà una fatina, forse la troverà. Ma questo non si capisce, perché io proteggo Giulia anche dal pubblico.  

Scena del film "Gulia" di Ciro De Caro

Hai anche voluto inserire una descrizione tenera del mondo degli anziani. Perché?

Queste attenzioni nascono per caso, ma forse no. Mi piace da sempre guardare per ore chi balla in gruppo e lo fa anche Rosa. Poi è arrivato il Covid e gli anziani sono rimasti costretti in casa. Delle persone di una certa età se ne parla, inoltre, perché danno sostentamento alle famiglie. Per questo, nella narrazione ho voluto ricordare gli anziani, i nonni. Quando loro muoiono, per ognuno di noi muore l’infanzia. E nel film ho voluto anche che uno di loro facesse una coccola a Giulia.        

 

Per quanto riguarda il montaggio (curato da Jacopo Reale) i passaggi da una scena a un'altra sembrano simili, ma invece il contesto cambia. Per esempio c'è un passaggio tra due panorami che si confondono. Però, la musica che si interrompe fa capire che le scene sono due...

Sì, voglio sorprendere lo spettatore, senza chiudere le scene, per rispettare la realtà. Per lo stesso motivo non c’è altra musica se non quella esistente nel contesto del racconto. Non ne ho aggiunta in sottofondo, perché avrei suggerito uno stato d’animo e indirizzato troppo le emozioni e il giudizio.   

 

In una scena è citato il cinema francese. Autoironia?

In parte. Il tono è autoironico, però io condivido ciò che dice il regista nel film. Guardo molto le serie tv, ma mi viene da sorridere quando qualcuno grida al miracolo. Penso che rimanga meravigliato perché vede solo quelle. Mi sono tolto un sassolino dalla scarpa, insomma, nei confronti di chi snobba troppo facilmente il cinema. Tv e grande schermo sono due cose diverse. Le serie televisive devono dare risposte, il cinema deve far nascere domande.  

 

E quindi una bella soddisfazione partecipare alla mostra di Venezia (nella sezione Giornate degli autori – Notti veneziane), soprattutto per te che di solito non scegli la strada più facile?

Mi identifico con ciò che faccio e non potrei fare altrimenti. Amo un certo tipo di cinema. Non era scontato che potessimo andare a Venezia, quest’anno sono stati presentati molti più film. Selezionarne anche uno indipendente come il nostro è stato un atto molto coraggioso.