In cover, il segretario della Dc Aldo Moro visita la tipografia del Popolo (1960)

Festeggiare i 100 anni dalla nascita di Ettore Bernabei può essere oggi occasione per tracciare un apologo a buon uso delle nuove generazioni, un esempio in cui successo e merito sono le facce della stessa medaglia.

 

Bernabei è stato protagonista del suo tempo. Un giornalista autorevole, che ha diretto due quotidiani, ha guidato – ancora indimenticato – la Rai per ben 14 anni e, dopo una pur significativa parentesi da manager industriale, ha dato vita a uno dei progetti imprenditoriali e culturali più rilevanti varati in Italia: la società di produzione televisiva e cinematografica Lux Vide.

Ettore Bernabei e Sergio Lepri illustrano alcune iniziative editoriali ad Amintore Fanfani, nella sua casa in via Platone (2 luglio 1958)

Nonostante la sua contemporaneità, Bernabei condensa alcuni valori che la società moderna fatica a recepire. Innanzitutto, un rapporto di fedeltà costante con chi, a suo tempo, ha investito su di lui, cioè Amintore Fanfani. Un legame indelebile per Bernabei, con grande conoscenza e rispetto per il ruolo dello statista democristiano, attorno alle cui intuizioni e anticipazioni sono ruotate, per 40 anni, molte scelte politiche del nostro Paese. E addolora che oggi anche molti addetti ai lavori della politica ne trascurino, in chiave storica, il contributo.

 

Bernabei va narrato ai giovani come esempio di gran lavoratore. Genio, capacità, ma anche quantità. Un formidabile diesel da 12 ore di impegno al giorno. Cifre che in certi ambienti, come la Rai dove ha operato per tanti anni, sono addirittura un prerequisito per far bene. Ed è il far bene la missione che ha sempre mosso quest’uomo. La sua profonda fede, privata e civile, il credo nei valori cristiani e repubblicani, che si sostanziano nell’adesione a una visione etica e morale della famiglia, sono stati il faro di un impegno indefesso e nobilitante, che nulla ha a che vedere con quei comportamenti che spesso, superficialmente, vengono considerati da bacchettoni.

 

Benedette sono le visioni della vita densa di principi e saldezza, piuttosto che un generico immedesimarsi senza domande nella materia indisciplinata del quotidiano. Una profondità di valori che dalla sfera privata subito si trasmette a quella pubblica: Bernabei, insieme a Enrico Mattei, è stato il primo esempio di manager moderno dell’Italia repubblicana. Ha saputo investire sempre, coniugando le migliori risorse a disposizione con la giovane età, ricercando, formando e determinando quel giacimento di competenze al quale la Rai ha attinto per decenni. Con curiosità e un’attenzione per i giovani concretizzata anche da un amore giovanile per le sfide.

 

Creare la Lux Vide in età avanzata rappresenta un caso unico in un Paese in cui gli adulti troppo spesso preferiscono vivere di rendita, senza mettersi in discussione. Innovatore e tradizionalista anche nell’avventura di produttore televisivo, ha confezionato opere ben fatte, con una precisa valenza morale, destinate a sbancare l’audience televisiva delle famiglie.

Marsilio, pp. 384 € 17

Questo il quadro dell’uomo, da tenere sempre presente. Tra le numerose iniziative in sua memoria, sulla stampa e in tv, il libro di Piero Meucci, Ettore Bernabei. Il primato della politica. La storia segreta della Dc nei diari di un protagonista pone in nuova luce la sua figura. «I diari sono una pignola registrazione di parole e di atteggiamenti di coloro con i quali Bernabei ha a che fare nel suo ruolo di mediatore e informatore fra gli esponenti della Dc e fra questi e le alte gerarchie vaticane oppure i leader politici dei partiti concorrenti. Sono in sostanza, e qui sta tutta lo loro particolarità, una specie di alambicco da cui escono pillole di storia. Essenzialmente politici e dove sono rari gli accenni alle vicende familiari».

 

Si raccontano i grandi fatti, le crisi. La storia segreta della Dc in cui serpeggiano tensioni, lotte intestine e invidie che portano poi a scelte politiche. Si parla anche delle decisioni della “cucina”, con tutto il portato umano che nessuno storico può descrivere.

 

Bernabei è stato l’uomo di fiducia di Fanfani, la cui longevità politica è anche la ragione dell’estensione temporale dei diari, in cui si ritrova la sua vicenda politica fatta di vittorie e sconfitte, decisioni impopolari e provvedimenti che hanno segnato il progresso della società italiana. D’esempio la crisi del 1959 – e come Bernabei aiuti a capire la straordinaria modernità del politico – quando Fanfani si dimette improvvisamente da segretario del partito, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri.

 

Bernabei rende evidente lo stato d’animo di colui che era stato l’uomo più potente d’Italia. «Nel tardo pomeriggio del 5 febbraio andiamo a trovare Fanfani a casa. È a letto in camicia da notte, tranquillo. Ci racconta che ai primi di gennaio aveva aperto L’imitazione di Cristo e a caso lesse: “In poco tempo dovrai spogliarti di tutto quello che hai”. Da allora si è sentito nell’animo staccato dal Governo e dal Partito».

 

Sono pagine che fanno capire come in quel periodo la cultura, le forti passioni personali e le visioni generali si fondessero in un tutt’uno che arricchiva le grandi forze politiche, dalla Dc al Partito comunista e al Partito socialista, ma che lambiva anche le forze minori. Vi era una passione civile di cui oggi, senza malinconia, non si ravvede purtroppo traccia. Questo centenario potrebbe essere un’utile riflessione per quei mitici anni ‘60 e anche per quello che Palmiro Togliatti fece studiare come il riformismo fanfaniano, ma che noi oggi dovremmo comprendere come trasfondere o trasportare nel nostro modo di essere. Per le giovani generazioni non è mai troppo tardi.

Articolo tratto da La Freccia