In cover, photo © Marco Di Pinto

Lì dove milioni di anni fa dominava il fuoco, la natura si è placata manifestandosi in tutta la sua bellezza e vitalità. Siamo nel Parco regionale area vulcanica di Roccamonfina e Foce Garigliano, 11mila ettari di terra che dal cuore della Campania si estendono fino al basso Lazio e scrutano il Molise. Qui in autunno il clima è mite, il profumo di terra bagnata e le calde sfumature di colore, dal giallo paglierino al rosso carminio, scaldano il cuore, catturano lo sguardo e accompagnano lo scorrere lento del tempo sconosciuto ai moti vorticosi delle grandi città.

A sorvegliare l’immensa area, in provincia di Caserta, c’è il vulcano estinto di Roccamonfina, il più antico della regione, dirimpettaio del Vesuvio. Lungo i sentieri, le rocce dalle forme singolari rammentano la passata attività eruttiva che ha forgiato il territorio, fatto di paesaggi montani e collinari che digradano verso il mare, copiosi corsi d’acqua, terreni fertili, uliveti, vitigni autoctoni e boschi di castagni secolari spalmati su tutta l’area.

L’abbondanza di castagneti ha fatto sì che questa zona, da fine estate e per tutto l’autunno, fosse in gran fermento, prima con la raccolta della castagna Tempestiva, particolare per la sua precoce maturazione, e poi per la Napoletana, la Mercogliana, la Paccuta e la Lucente, varietà che si raccolgono entro il mese di ottobre.

Il vulcano estinto di Roccamonfina

Il vulcano estinto di Roccamonfina (CE) © Marco Di Pinto

Questa specialità rappresenta l’oro bruno della zona ed è in attesa del riconoscimento del marchio di Indicazione geografica protetta, già al vaglio della Commissione europea a Bruxelles. La castagna caratterizza l’area di Roccamonfina sin dal tempo dei Romani, ma fu nel Medioevo, a seguito delle invasioni barbariche, che divenne fondamentale. Anche il legno di questi alberi fu essenziale per la sopravvivenza delle popolazioni locali nella stagione invernale.

Con l’arrivo degli Angioni, nel ‘200, questo prodotto cominciò a essere commercializzato: nacquero il mercato settimanale e la fiera d’autunno. Appuntamenti che, mutati nel tempo, hanno lasciato il passo a sagre, manifestazioni ed eventi destinati a incoming turistici per la valorizzazione della castagna e del suo territorio, carico di storia, arte e percorsi naturalistici.

La versatilità in cucina del cosiddetto pane dei poveri è testimoniata dalle ricette tramandate oralmente in cui è previsto l’uso del frutto fresco ma anche essiccato o trasformato in conserve e dolciumi. Il terreno vulcanico, la bassa altitudine e il caldo umido concorrono alla precocità di maturazione che, unita alla particolare dolcezza e all’abbondanza di sali minerali, attinti dai suoli lavici, rendono questa specialità prelibata e ambita dal mercato italiano ed estero.

Castagneto e pagliaio del Parco regionale area vulcanica di Roccamonfina e Foce Garigliano (CE)

Castagneto e pagliaio del Parco regionale area vulcanica di Roccamonfina e Foce Garigliano (CE) © Marco Di Pinto

Negli archivi di enti, monasteri e biblioteche sono conservati atti amministrativi, successioni e mercuriali che riportano gli usi civici dei castagneti e dei suoi prodotti, dal Medioevo ai tempi moderni. I documenti evidenziano come l’interazione tra l’ambiente favorevole al castagno e la capacità dei contadini del posto abbia consentito lo sviluppo socioeconomico e culturale dell’area, che ricade in massima parte nei confini del Parco.

Ad affiancare gli atti circola l’affascinante leggenda tramandata nei secoli dagli abitanti della zona, in cui si narra che il francescano San Bernardino da Siena, venuto a rendere omaggio a un quadro della Vergine, volle affiancare alla costruzione del Santuario della Madonna dei Lattani quella di un convento. Il monaco, per conoscere la volontà di Dio sul progetto, piantò in terra un ramo secco di castagno della varietà Tempestiva.

Poco dopo la fronda germogliò e per lui quello fu il segno dell’approvazione. La leggenda vuole che nel bosco di castagni intorno al complesso religioso, tra la chiesa, il convento e i luoghi di eremitaggio del Santo, ci sia ancora l’esemplare più antico da cui i monaci presero le talee per innestare i castagni spontanei dei dintorni e renderli fruttiferi. Nacque così la Castagna di Roccamonfina.

 

A celebrare il profondo legame tra il territorio e il suo prodotto principe c’è il gigantesco vrollaro che campeggia nella piazza centrale della cittadina di Roccamonfina: non un classico monumento ma una grossa padella bucherellata perfettamente funzionante per la cottura delle caldarroste, dette vrole in dialetto locale. Lo speciale attrezzo, costruito dagli artigiani del luogo, garantisce la cottura sulla brace di 1.300 kg di castagne, e dal 2018 è entrato anche nel Guinness dei primati.

A intensificare la bellezza del paesaggio sono i sinuosi serpeggiamenti dei fiumi Garigliano, Peccia e Savone. Lungo il loro corso si possono ammirare ruderi di antichi mulini e frantoi che proprio dallo scorrere incessante dell’acqua traevano l’energia per azionare le pesanti macine di pietra lavica. Suggestive, in questo contesto, le cascate di Conca della Campania e i sentieri per raggiungerle. Segni d’archeologia industriale sono invece riconoscibili vicino alle sponde del Savone, con i resti delle ferriere, piccole fabbriche che hanno lavorato il ferro fino all’epoca borbonica.

Il territorio rurale è costellato di tipiche strutture architettoniche costruite con pietre vulcaniche, tra cui muretti a secco, strade selciate, alcune di epoca romana altre di età medievale, ma anche lavatoi, pagliai e neviere o resti bellici del Secondo conflitto mondiale. Alla borgata Gallo sarà presto inaugurato un museo dei reperti lasciati dalle truppe militari che si sono avvicendate sul territorio tra il 1943 e il ‘44.

Sessa Aurunca (CE)

Sessa Aurunca (CE) © Domizia Incoming

Passando da una parte all’altra del Parco si ammirano ciclamini, crochi e funghi di ogni specie, si scorgono masserie, luoghi caratteristici e ricchi di tradizioni popolari, paesini in cui la vita scorre semplice e in armonia con il paesaggio. A Tora e Piccilli si trova il sito paleontologico Ciampate del Diavolo, uno dei più importanti al mondo, dove orme di ominidi risalenti a 350mila anni fa fanno pensare che questo sia più antico sentiero preistorico percorso dall’uomo.

Oltre ai percorsi a stretto contatto con la natura merita una visita Sessa Aurunca, con la cattedrale del XII secolo che unisce lo stile romanico al barocco e il Teatro Romano costruito nel I secolo d.C. sotto l’impero di Augusto. Per la grandiosità dei resti e l’importanza dei reperti rinvenuti, questo edificio è la testimonianza tangibile dell’interesse di Roma per Suessa, antico nome dato alla città degli Aurunci.

La zona dove sorgeva è costituita da tanti piccoli borghi tra cui spicca, per la sua recente storia, quello di Valogno: 90 anime, destinato a spopolarsi sempre più, è diventato capolinea di visite grazie ai murales realizzati sulle facciate dei palazzotti e negli atri. Un’operazione di riqualificazione voluta da Dora Musolella e Giovanni Casale che, attraverso il progetto Colorare il grigio, hanno richiamato nella zona artisti da tutto il mondo.

I murales del borgo Valogno (CE)

I murales del borgo Valogno (CE) © Domizia Incoming

Una sosta piacevole e di approfondimento è quella al museo interattivo Natura viva di Palazzo Seccareccia, nel Comune di Galluccio, dove è conservata una collezione zoologica che rappresenta la biodiversità degli ecosistemi terrestri e le peculiarità naturali e ambientali del Parco. Galluccio è anche il nome del vitigno autoctono fiore all’occhiello del Roccamonfina, territorio votato anche all’allevamento della vite.

Alle falde del vulcano c’è la città di Teano, nota per essere stata lo scenario dell’incontro più celebre d’Italia, quello tra Giuseppe Garibaldi e re Vittorio Emanuele II alla fine della Spedizione dei Mille. È particolarmente interessante dal punto di vista storico-archeologico per la presenza del Teatro Romano, dove sono conservate quasi integralmente le decorazioni dell’edificio scenico, mentre i resti recuperati sono custoditi al museo Teanum Sidicium, che consente un tuffo nella storia dell’area. Tra i monumenti della città, inoltre, spicca la cattedrale dell’XI secolo intitolata prima a San Terenzio e successivamente a San Clemente.

La vastità del Parco regionale, spalmata su sette comuni, offre un ventaglio notevole di punti di interesse. E, soprattutto, riesce a tramettere il calore delle comunità locali, la rilassatezza dei luoghi sospesi nel tempo, la bellezza della natura che svela angoli segreti e dona frutti pregiati in un uno dei periodi dell’anno più lenti e coinvolgenti.

Articolo tratto da La Freccia

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