In estate, come in inverno, il paesaggio che scorre è un vero e proprio dipinto dai mille colori. La ricchezza di specie vegetali della Maiella rende travolgente il viaggio, uno spettacolo da vivere con intensità, anche durante le soste tematiche. Gli osservatori a bordo li riconosci subito. Si siedono dalla parte del finestrino. Raccogliere immagini, in fondo, è un po' come raccogliere conchiglie in riva al mare. Ogni mareggiata ne porta di nuove. Osservare poi non significa giudicare, ma vedere davvero il mondo che ci circonda.

 

Quando mi sposto sul pelo della montagna, un occhio osserva il tragitto nei dettagli, mentre l’altro si colma di orizzonte. La locomotiva a vapore crea vibrazioni, suoni e armonie. Una cucchiaiata di fumo che punta al cielo la avvolge e impedisce quasi di vederla, riducendolo a una macchia grigia nei ricordi bellissimi che si colorano con la patina del tempo che scorre. Prende slancio, guadagna velocità e la mia mente si smarrisce nel concerto delle nuvole nel cielo plumbeo. 

Il fischio prolungato si leva carico di memoria, antico come l’idioma della ferrovia, mentre scorrono tante piccole città dentro un’altra città, quartieri che diventano paesi, dove le persone vivono vite parallele e differenti, a pochi centimetri di distanza le une dalle altre. C’è una libertà immensa nell’arrendersi al potere del viaggio, al ritmo costante, martellante, di uno strano “tutuntutun”. Un suono che riempie lo spazio, il rumore che fa il mondo. Il cervello, immerso nel silenzio e nel buio delle gallerie, reagisce ai segnali che riceve dal mondo reale, mentre le luci azzurrine dei cellulari si fanno avanti come piccole alabarde. A bordo tutti personaggi cercano di fermare la vita che gli passa accanto, di viverla in un nuovo viaggio, per deviarla, e, come se si trattenesse il respiro in apnea, viverla in un’onda. È come vedere un documentario dal vivo, allenando non solo l’occhio ma anche l’anima, per i paesaggi dai toni dolci, per le pareti impressionanti di piombo, per il verde lindo e profumato. Osservare al tramonto gli uccelli notturni che prendono il volo, con versi che sembrano quelli di un neonato, posarsi sul lago enorme formatosi con la neve. I viaggi educano la nostra mente, mentre dondoliamo nelle “centoporte” e corriamo come ragazzini felici per una buona approssimazione alla felicità.

 

Ho sempre pensato che i treni fossero tra i pochi luoghi magici rimasti al mondo, dove i ricordi e gli addii si mescolavano con migliaia di viaggi per destinazioni vicine e lontane. Ricordo l’onda lunga dell’asfalto che schiacciava le parole, le emozioni, i pensieri al primo giorno di scuola con il treno. Tutti eravamo rilassati e annusavamo il vento guardando il sole toccare la Maiella, mentre rimettevamo nel nostro zaino verde militare buoni propositi e coraggio, oltre ad un irriducibile capacità di speranza.

 

Regnava un silenzio ovattato, rotto solo dal treno che arrivava. Era un richiamo molto forte. La campanella risuonava per qualche secondo, poi si silenziava improvvisamente, come se si stesse aprendo un dolce sipario. Si udiva in lontananza prima un leggero fruscio, poi un’eco, quando spuntava dalla curva l’amico treno.

 

La scuola è, per sua vocazione, laboratorio di idee e il treno era per noi un ponte in cui camminare insieme verso il futuro, perché è soprattutto una comunità. È nel gioco dei ruoli, nella socialità che prende forma l’animo culturale del bambino. “Nulla è voluto che non sia stato prima conosciuto” dicevano i filosofi scolastici. Poi il primo treno partì. E ce ne furono tanti di mattina, di sera e di notte. Il treno è un bombardamento di odori, di sensazioni evocative che ti riportano indietro nel tempo più veloci di un Frecciarossa. Ogni treno ha infatti un odore e bisogna riconoscerlo. Non è un odore assoluto. È un misto di circostanze, di sensazioni, una miscela di romanticismo. La conoscenza come l’arte è un bene che appartiene all'umanità.