«La parola Alzheimer non mi ha mai fatto spavento. All’inizio mi faceva venire in mente il verbo alzare, se proprio vuoi saperlo. Nel senso di tirare su qualcosa. Nel senso di rimetterla in moto, dopo che è caduta. Perché io ci gioco sempre con le parole, devi saperlo. Ho questo, di buono, secondo me. Gli metto addosso dei vestiti che non c’entrano niente. E poi mi faccio due risate». È questo il primo impatto con la malattia per Alberto Durante, il protagonista del libro Qualcosa rimane, scritto da Stefano Mariantoni ed edito da Funanbolo Edizioni.

Un romanzo toccante che racconta con estrema delicatezza le vicende di un uomo che improvvisamente si trova a dover affrontare la forma più comune di demenza senile. A dover vivere una nuova vita in una sorta di «viaggio senza binari». Una metafora, quest’ultima, che diventa ancor più paradossale perché a immaginarla è un ex ferroviere sessantenne, un lavoratore che per svariati anni della sua esistenza ha avuto a che fare con il mondo dei treni, mezzi di trasporto che, per quante curve possano fare o quanto veloci possano viaggiare, hanno pur sempre bisogno di una guida sotto di sé. Quando ad Alberto Durante iniziano a mancare i binari, tutto nella vita perde la propria direzione. I pensieri, le parole, le azioni perdono la bussola anche e soprattutto agli occhi degli altri. Eppure “qualcosa rimane” per Alberto, e sono i ricordi di tutto ciò che è successo prima, esprimibili solo affidandosi a una penna (che tra l’altro neanche scrive, ma lascia impresso il segno sui fogli) e a un diario, in cui il presente si mescola al passato, come nella mente dello stesso Alberto.

Durante porta così il lettore a scoprire la sua vita fin dai primi anni, dall’infanzia e dall’adolescenza. Quando capisce di essere balbuziente, iniziando così il suo rapporto unico con le parole. Nella sua relazione con il fratello minore, Franco, che resterà poi al suo fianco negli anni della malattia, e con Anna, la prima ragazza amata a cui non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi. Alberto ci rende partecipi anche del suo rapporto con il padre Gerardo, capomastro di cui avrebbe dovuto seguire le orme nel lavoro. Il personaggio di Mariantoni, invece, quasi per una sorta di contrapposizione alla figura paterna, prenderà un’altra strada: dopo aver letto un annuncio sul giornale mentre si trova dal barbiere, deciderà di candidarsi a un concorso per le Ferrovie dello Stato Italiane e andrà così a lavorare nel nord Italia. Deciderà di vivere da vicino i treni, mentre invece il padre li bombardava: era, infatti, tra i partigiani che il 14 settembre 1943 fecero esplodere nella stazione di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, due treni merci tedeschi e il vicino treno privato di Mussolini. Gerardo è l’unico personaggio inventato di un episodio realmente accaduto. E l’attentato ai treni nazi-fascisti sarà solo uno dei grandi appuntamenti con la Storia, quella con la “S” maiuscola, ad arricchire la vita di Alberto. Mariantoni lo porterà, ad esempio, ad assistere nel 1964 ai funerali di Palmiro Togliatti che richiamarono a Roma persone da tutta Italia o ad ascoltare le preoccupazioni della madre che sente al televisore le notizie sugli attentati ai treni dell’estate 1969, a Caserta, a Pescara, o sulla bomba esplosa nell’ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni nella Stazione Centrale di Milano.

Il libro Qualcosa rimane di Stefano Mariantoni e un cappello da ferroviere

Qualcosa rimane è in definitiva un tuffo nella storia lineare e poi improvvisamente tortuosa di Alberto che s’intreccia con la Storia imprevedibile d’Italia. Un percorso fatto per tappe, anzi, per stazioni, come ricordano i nomi dati ai 26 capitoli in cui è diviso il libro. Capitoli che rappresentano una sorta di viaggio nel viaggio: partono da Milano Centrale e si concludono a Poggio Mirteto e Montopoli in Sabina, nel Lazio, tracciando un tragitto che è quasi l’inverso di quello compiuto da Alberto nel corso naturale della sua esistenza. Qualcosa rimane è soprattutto un racconto sensibile sull’esperienza dell’Alzheimer che Mariantoni ha avuto modo di conoscere da vicino tra amici e familiari. Una malattia che richiede una riflessione sulla comunicazione, sul linguaggio, sull’importanza delle parole soprattutto quando mancano. Sulla necessità, infine, di esprimere le emozioni anche senza una forma verbale, un’esigenza sentita tanto dai malati quanto dalle persone che sono al loro fianco. Per vivere al meglio una situazione pur sempre complessa e delicata che l’autore ha saputo affrontare in maniera egregia.