In cover Marlon Brando, Apocalypse Now
«Io scrivo con le immagini in movimento. La cinematografia è proprio questo». Vittorio Storaro, uno dei grandi maestri del cinema italiano, ha inventato e illuminato immagini per film di registi come Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola, Dario Argento, Woody Allen, Warren Beatty. Tre gli Oscar conquistati: per Apocalypse Now (1980), Reds (1981), L’ultimo imperatore (1988), tutti nella categoria Best cinematography. Nel lessico del cinema italiano è un direttore della fotografia, ma lui preferisce definirsi “autore della cinematografia”. La luce per lui è anche filosofia, una conoscenza da acquisire e sperimentare continuamente. Un processo che racconta così: «Ho preso la luce e l’ombra e le ho divise. Ho compreso il conflitto e l’armonia che c’erano in loro. Poi ho aperto la luce per capire i colori, il loro significato, le possibilità. Il senso della mia vita è trovare un equilibrio tra elementi opposti».
Le immagini che Storaro ha scelto per ripercorrere la sua carriera sono esposte fino al 1° novembre a Palazzo Merulana di Roma. E il titolo della mostra è proprio Scrivere con la luce: «Mi sono accorto che il modo migliore per catalogare le mie idee cinematografiche non era scriverle su carta, ma fotografarle», spiega. «Così ho cominciato a fare foto sui set dei film nei quali lavoravo e, per caso, ho capito che le potevo comporre, ottenendo più immagini sovrapposte in una sola stampa: diventavano così scatti cinematografici».
Vittorio Storaro con Bernardo Bertolucci sul set del film L'ultimo imperatore nel 1987
Racchiusi in una sola cornice possiamo vedere volti, dettagli di inquadratura, luce. Composizioni assolutamente libere dove si possono riconoscere Marlon Brando, Jack Nicholson, Jean-Louis Trintignant e tanti altri, immersi nelle invenzioni visive di Storaro: contrasti, fusioni, luci e ombre. E poi le ispirazioni pittoriche: a molte di queste immagini sono affiancate le tele che hanno acceso la fantasia dell’autore romano, René Magritte per esempio, o Caravaggio: «Senza quest’ultimo non avrei avuto l’intuizione per le scelte che ho preso nel film di Bernardo Bertolucci Il conformista. Ogni film con Bernardo mi ha aperto una porta, facendomi entrare dentro qualcosa che non conoscevo, com’è successo per il Piccolo Buddha. Entrare nel buddismo mi ha insegnato che l’inconscio è diverso dalla coscienza, come il giorno dalla notte e l’uomo dalla donna. Ciò che serve è l’unione, l’equilibrio».
Qual è l’idea dietro alla celeberrima inquadratura, per metà in luce e metà in ombra, del volto di Marlon Brando in Apocalypse Now?
Quando Francis Ford Coppola mi ha proposto il film inizialmente ho rifiutato, perché sentivo di non avere nulla a che fare con la guerra americana in Vietnam. Lui però mi rispose che in realtà si trattava di una pellicola sul senso delle civilizzazioni. Quando una cultura si sovrappone a un’altra, come gli Usa sul Vietnam, è un atto di violenza. Coppola mi disse che voleva raccontare questa verità. Capii allora che c’era un senso di universalità e che avrei potuto utilizzare i miei strumenti, per esempio l’uso della luce artificiale su quella naturale: potevo creare un conflitto tra le due proprio perché il film era la denuncia di un conflitto. Bisognava trovare questa armonia.
La tenda gialla, L'ultimo imperatore
Storaro, cha ha compiuto 80 anni da pochi mesi, sta già lavorando alla sua prossima mostra. Che sarà nel segno di Bertolucci: «Quando l’ho visto per l’ultima volta gli ho promesso che mi sarei occupato ancora e più di prima delle opere che avevamo realizzato insieme. In questi mesi ho scritto un libro sui nostri 25 anni di collaborazione, ho preparato una mostra e restaurato con le ultime tecnologie Il conformista. Ora lavorerò su L’ultimo imperatore. Poi voglio preservare questi capolavori, perché in Italia ancora oggi non c’è una tecnica che preservi né le immagini da pellicola né quelle digitali. Questo percorso è il mio progetto».
Articolo tratto da La Freccia ottobre 2020
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