In cover, la terrazza della Fondazione Biscozzi Rimbaud con affaccio sulla chiesa delle Alcantarine, Lecce © Dario Borruto

Forse la sede se la sono scelta a loro immagine e somiglianza: un blocco compatto in pietra bianca di un edificio storico, raffinato ma discreto, che al tramonto si accende di sfumature rosa, come se arrossisse di fronte a un complimento inatteso. Non ricordo di aver mai visto Lecce più luminosa.

 

Il taxi mi lascia a poche decine di metri da Porta Napoli, nella piazzetta su cui si affaccia la settecentesca chiesa delle Alcantarine, una delle più belle della città benché non tra le più note. Mi trovo davanti a un edificio disposto su due piani, dai volumi irregolari, una specie di cubo di Rubik dell’anima. Eppure, mi basta varcare l’ingresso della Fondazione Biscozzi Rimbaud per ritrovarmi in un ambiente familiare, riscaldato dal tepore di ricordi passati e da quel senso di leggerezza che Italo Calvino ha saputo descrivere in maniera impareggiabile.

Dominique Biscozzi Rimbaud e il marito Luigi Biscozzi

A uno dei tavoli della biblioteca mi attende la signora Dominique Biscozzi Rimbaud, in un impeccabile tailleur verde che abbraccia allo stesso tempo eleganza e semplicità. Le stesse qualità con cui la mia ospite mi introduce alla collezione d’arte esposta. Insieme a lei attraverso le sale a volta di differenti dimensioni e i locali più piccoli. Alle pareti è tutto un susseguirsi di grandi pittori e scultori italiani e internazionali del ‘900: da Arturo Martini a Josef Albers, da Alberto Magnelli ad André Masson.

 

«Con mio marito Luigi Biscozzi, ho condiviso la creazione e la crescita di questa raccolta, un viaggio appassionato di quasi 40 anni di ricerca che si è interrotto il 12 settembre 2018, quando lui ci ha lasciati». Mi è subito evidente che non è quella dell’arte l’unica storia raccontata dai dipinti e dalle sculture che ho davanti a me. C’è molto di più.

 

Le pareti racchiudono più epoche e aneddoti che, a loro volta, si sovrappongono alla storia di Luigi e Dominique, di vita e d’arte, senza soluzione di continuità. Mi trovo a osservare intensamente le meravigliose Dalie dipinte da Filippo de Pisis nel 1931. È, probabilmente, uno dei suoi capolavori. «Questa è l’ultima opera che abbiamo acquistato», mi spiega Dominique.

Collezione Biscozzi Rimbaud, da sinistra opere di Vittorio Matino, Mario Schifano, Gilberto Zorio, Armanda Verdirame e Salvatore Esposito

Mentre mi perdo in quel passionario turbinio di segni ottenuti dal celebre artista ferrarese con pennellate veloci e brevi, mi capita di rileggere le parole di Luigi Biscozzi pubblicate postume nel catalogo della collezione: «Questa raccolta di opere è nata, come spesso accade nella nostra vita, da un’intrusione del caso. Tutto è cominciato con una litografia di Renzo Vespignani e una di Ugo Attardi, acquistate nel 1969 da un venditore di libri porta a porta, un po’ balbuziente. Il caso, dunque, mi portò questo venditore a casa. Ma credo che la mia curiosità – è sempre il caso? – vada retro datata nell’infanzia».

 

Già, quell’infanzia vissuta a Salice Salentino (LE), dove era nato nel 1934, con gli studi ultimati a Lecce, per poi trasferirsi nel capoluogo lombardo e iscriversi alla Bocconi. E da lì una carriera sfolgorante nella consulenza fiscale. Ma sempre con un debito di riconoscenza verso la sua città di origine: «Mi ha dato la bellezza», ha scritto prima di morire, «e una base scolastica che mi ha consentito di proseguire gli studi a Milano. Desidero restituire il mio debito a Lecce e al Salento».

 

Ecco così spiegata l’istituzione della Fondazione qui in Puglia, con quella collezione d’arte che sto imparando a conoscere. Ancora una storia d’amore, questa volta verso la terra natia, le proprie origini. Giungo in una saletta al piano terra, dove si svolgono le mostre temporanee. Mi ritrovo circondato da una preziosa e rara retrospettiva dedicata ad Angelo Savelli, il cosiddetto “artista del bianco”.

Collezione Biscozzi Rimbaud, da sinistra due opere di Umberto Milani e due di Pietro Consagra

Dominique si sofferma su un piccolissimo disegno della fine degli anni ‘40. È il ritratto di una donna assorta nei suoi pensieri: «Me lo regalò un nostro caro amico di Roma, Corrado. Lo tirò fuori da una cassa colma di vecchie calze di lana. Mi disse che mi somigliava, dovevo quindi averlo io».

 

Mentre ascolto queste parole penso a Dominique, alla sua infanzia in Provenza, a Ménerbes, mentre gioca tra vigne e frutteti profumati con quella palla che finisce spesso nel giardino di una signora, Dora Maar, l’artista e musa di Pablo Picasso. E sempre la volontà del caso, complice ancora una volta l’arte, la fa incontrare nel 1970 a Parigi con Biscozzi. Gli parlò con toni entusiasti di Pierre Alechinsky del gruppo Cobra, di cui aveva appena visto una mostra. Insieme visitarono la Biennale del 1972, dove tra l’altro c’erano bellissime opere di Alechinsky. Il resto oggi è storia in questo scrigno inatteso dell’arte del ’900, in piazzetta Giorgio Baglivi. Saluto Dominique con un arrivederci. Non può essere diversamente.

 

Il mio viaggio salentino prosegue. Sono ancora a Lecce. Faccio tappa nel quartiere popolare Ina-Casa, non segnalato dagli itinerari turistici tradizionali. Eppure qui è in corso uno straordinario progetto d’arte contemporanea che coinvolge tutte le palazzine e gli abitanti del circondario. L’epicentro è Studioconcreto, fondato nel 2018 dall’artista Luca Coclite e dalla curatrice Laura Perrone: un luogo che misura poco più di 20 metri quadrati, al piano terra di una palazzina Ina-Casa del 1953. Un’entrata indipendente lo collega a una delle strade principali del piccolo agglomerato di case popolari. Va detto che questi 20 metri quadrati sono quelli dell’ex soggiorno della casa di Luca e Laura, adibito ora a spazio progettuale ed espositivo.

Luigi Presicce, L’atelier sur l’herbe (2017), performance per soli spettatori occasionali, Fondazione Lac o le Mon, San Cesario di Lecce (LE) © L.N. (Lu Cafausu)

Fino al 22 agosto in mostra c’è Diving into poetry del duo Calori & Maillard. La loro casa è quindi attraversata da una sottile linea di confine tra spazio privato e spazio pubblico condiviso, con l’obiettivo di ristabilire un processo di creazione di comunità mediante sviluppi dialogici, mostre dinamiche, azioni di pedagogia radicale e live performance capaci di conciliare l’arte con la vita quotidiana.

 

Non lontano da Lecce, un’altra abitazione è, allo stesso tempo, centro di sperimentazione e formazione artistica. Si tratta di un’antica magione di campagna, dalla personalità tanto prorompente quanto misteriosa che Isabel Allende ci avrebbe potuto ambientare il suo romanzo La casa degli spiriti. È la Casa Cafausica, al confine tra il comune di San Cesario di Lecce e quello di Cavallino, sede della Fondazione Lac o Le Mon, nata nel 2015 per iniziativa degli artisti Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti e Luigi Presicce.

 

Le qualità architettoniche, estetiche, paesaggistiche e l’autonomia energetica grazie all’uso dei pannelli solari e dell’acqua del pozzo di questa struttura sono tali per cui il periodo di residenza in loco, indipendentemente dal tipo di attività che ciascun partecipante svolge – da laboratori di pittura ai seminari, fino agli eventi come la Festa dei vivi (che riflettono sulla morte) – è comunque legato a forme di attenzione, intervento collaborativo e partecipazione consapevole alla cura della casa, in un tentativo di integrazione fra i saperi che si stanno esplorando e i luoghi che si stanno abitando.

Veduta della corte di Palazzo De Gualtieris, Castrignano de' Greci (LE) © Random

A una ventina di minuti dal centro di Lecce sorge anche lo storico Palazzo De Gualtieris. Siamo a Castrignano de’ Greci, nella Grecia Salentina. Qui il 21 giugno scorso è nato KORA, il nuovo Centro di arte contemporanea sotto la direzione di Paolo Mele, che con i suoi 1.500 metri quadrati ambisce a essere un luogo di ricerca multidisciplinare con una programmazione di mostre (collettive e personali), residenze, masterclass e laboratori. Fulcro del progetto sono quattro realtà del territorio che si sono unite per questa sfida innovativa. Il 23 luglio è prevista l’inaugurazione degli spazi espositivi con una mostra sul tema dell’abitare, Home Sweet Home.

 

Il mio viaggio salentino lungo i fili dell’arte contemporanea si conclude a Otranto, quartier generale di Cijaru, associazione nata dalla collaborazione di Davide De Notarpietro e Francesco Scasciamacchia. Obiettivo primario di Cijaru è ripristinare i legami storici e culturali di quest’area tra Ionio e Adriatico e tra la Puglia e le regioni balcaniche, greche, turche e, più in generale, con il vicino Oriente, attraverso progetti realizzati da artisti provenienti dal Mediterraneo. Grazie al loro impegno magistrale, gli spazi monumentali della quattrocentesca Torre Matta del castello di Otranto, parte del sistema difensivo della cinta muraria del XVI secolo, prendono vita anche quest’estate con una mostra site specific, quella di Maria Papadimitriou.

 

L’artista greca si è ispirata al pavimento musivo (1163-1165 d.C.) della cattedrale locale di Santa Maria Annunziata, un’opera che per la straordinaria ricchezza iconografica equivale a un atlante culturale dell’epoca. Nell’interpretazione che dà del mosaico si genera un rinnovato incontro tra sensibilità mediterranee. Per la realizzazione delle opere, come da prassi di Cijaru, sono stati coinvolti artigiani locali, la cui maestria si esprime nella lavorazione di materiali diversi, dalla pietra leccese alla ceramica, fino al tessuto.

Articolo tratto da La Freccia