Sabato 12 luglio 2014. Pierre Lemaitre e sua moglie, donna colta e arguta, sono all’Elba. Lui deve ricevere il Premio internazionale Raffaello Brignetti – per inciso, mi sembra di ricordare che sia l’unico riconoscimento letterario che lo scrittore ha ricevuto in Italia. Siamo a tavola, gustando del buon pesce, davanti la darsena medicea di Portoferraio, fiammeggiante nei colori dei Macchiaioli. Lemaitre mi dice che per anni gli editori hanno respinto i suoi manoscritti e che è stato più volte tentato di restare a fare l’insegnante. Ma la moglie lo ha sempre spinto a scrivere e a raccontare storie perché, diceva lei, lui le storie le sa raccontare. Il Premio Brignetti gli fu assegnato per il bel libro Ci rivediamo lassù, primo di una monumentale trilogia di cui il volume che abbiamo scelto per La Freccia è l’ultima parte. Anche se ognuno può essere letto separatamente.
Pierre Lemaitre e Alberto Brandani alla premiazione del Brignetti (2014) © Roberto Medici
Lo specchio delle nostre miserie è un’opera di impianto ottocentesco che contiene molte storie, mescola sapientemente Dumas e Balzac, Hugo e la sapienza noir di Hitchcock. D’altronde, il principio ottocentesco secondo il quale per raccontare il mondo bisogna raccontare delle storie è il punto di forza dei libri di Lemaitre. Qui fa da sfondo la Francia del 1940, in un tempo sospeso e incerto, non si sa ancora se ci sarà una guerra, finché i tedeschi non attraversano veloci e imponenti le Ardenne e si dirigono implacabili verso Parigi. La nazione si guarda allo specchio e vede le sue miserie, i compromessi, le vuote spavalderie e i falsi eroismi per nascondere i tanti morti. Inizia così un corteo di eroi e mascalzoni, truffatori e uomini semplici, una giostra di protagonisti che gira sullo sfondo del disastroso esodo dei profughi dalla Parigi occupata e travolge con continui colpi di scena, scatenando nel lettore infinite emozioni. Una scrittura sempre cinematografica e sempre letteraria, un copione in cui la “drôle de guerre” è una condizione che permette di vivere le contraddizioni dell’anima e di definirle in un destino più ampio.
Profughi in Francia, durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale (1940) ©LaPresse Torino/Archivio Storico
Tutto il libro risente di ciò che accade quando a guidare sono le paure e il terrore: la perdita dei riferimenti morali e il rischio di smarrire i valori umani. È a questo punto che i protagonisti “crescono”, si svelano, intrecciando le loro esistenze. Louise1, l’eroina del romanzo, è una giovane donna ferita con storie d’amore naufragate, 30 anni, nubile e potenziale zitella, un orologio biologico che suona molto forte. Desidera più di ogni altra cosa la maternità, principio ispiratore e valore fondamentale del romanzo: la maternità della vergogna, quella impossibile di Louise e quella violenta della madre adottiva di Raoul che lo renderà infelice. E poi la maternità di Alice nei confronti del marito e di tutto ciò che la circonda.
Désiré Migault è avvocato, medico, pilota di aereo, funzionario del ministero della Comunicazione e anche sacerdote, falso e bugiardo sempre. Lemaitre ammette, sorridendo, che il personaggio gli ha preso la mano ed è divenuto più importante di quanto avesse previsto. Altri destini sono intrecciati meticolosamente («Io sono l’orologiaio», dice di se stesso Lemaitre): la madre di Louise, lettrice bovarista, il sergente Gabriel, il caporal maggiore Raoul, malvagio alla Quentin Tarantino, Fernand e l’amata moglie Alice, donna bellissima secondo i canoni anni ‘50, con quel suo seno da maggiorata che accende i desideri di tutti i maschi del romanzo.
Lungi da me svelare la trama, dovete immergervi in essa e tenere a bada le vostre emozioni: con Lemaitre non si scherza.
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