In cover, Quando tornerò di Marco Balzano, edito da Einaudi, pp. 208 € 18,50
Una nuova prova d’autore per Marco Balzano, anche se il titolo di questo libro si lega simbolicamente all’ultimo grande successo, Resto qui. D’altronde, l’attenzione alle tradizioni si coglie anche nei due bellissimi versi del sottotitolo: «Passa sotto la nostra casa, qualche volta / volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti» (cfr. Mario Luzi, Il duro filamento).
Balzano inizia questa sua opera con lo spirito di un archivista: ha visitato in Romania comunità e istituti di orfani bianchi, quei figli non più tali, affidati ai nonni e spesso alla strada e alla solitudine dell’alcolismo. E dà forma allo svolgersi della storia.
Daniela parte dalla Romania per Milano, lasciando soli il figlio Manuel, la sorella Angelica e il marito. A nessuno di loro dice nulla, di lei resta solo un biglietto lapidario: «Ho trovato lavoro in Italia, devo andare, altrimenti non potrete più studiare e nemmeno mangiare come si deve».
Emerge potente il mondo di sofferenze e privazioni di una madre, non lenite dai moderni strumenti tecnologici; l’ossessione del risparmio, per procurare alla propria famiglia una lavatrice nuova, un tetto solido sopra la testa, un liceo internazionale per Manuel; le telefonate e le videochiamate sono sempre più compulsive, in un crescendo di fredda ostilità che i due figli provano per Daniela. Mentre il padre si ubriaca sistematicamente e, dopo aver annunciato trionfalmente che avrebbe accomodato la mansarda, prima crolla nell’ozio e poi improvvisamente decide di fare il camionista in Siberia. Per sempre.
Nonostante l’anaffettività, i figli pensano: «Almeno lui ci ha avvertito». Sullo sfondo, sempre solide e serene le figure dei nonni. La vita e gli anni scorrono così: Manuel è solo e depresso, beve e beve (e forse anche di più) e purtroppo scopre l’ebrezza della velocità in sella al motorino di un compagno. In una notte senza luce ha un terribile incidente che lo getta in un coma profondo. Daniela, a quel punto, lascia Milano e comincia a passare notte e giorno ininterrottamente nella stanza d’ospedale del figlio, infrangendo regole e divieti. Riuscirà a risvegliarlo e a risvegliare il suo grande amore per lei?
Il tema centrale di tutto il libro è la “sostenibilità” dei propri affetti. Tutti i protagonisti vorrebbero sostenerne il più grande numero, ma la vita agra del villaggio non lo permette.
Per Manuel, affetto significa essere accudito da nonna Rosa, che sferruzza eterni maglioni, e da nonno Michai, che lo porta a pescare le trote. «Magari si può fare», è la sua frase magica, diventata il perno del mondo di Manuel, fatto della sua terra e della natura, un microcosmo dentro il quale vorrebbe soffocare di affetto sua madre.
Diversa la visione di Angelica, la figlia più grande. Nel piccolo villaggio ormai le manca l’aria, ha bisogno di Radu, il fidanzato, del suo lavoro a Berlino, del matrimonio subito, senza più curarsi delle miserie giornaliere. Le scene del matrimonio sembrano tratte dal cinema muto sovietico in bianco e nero.
Daniela resta inchiodata dall’amore per i figli e dal mal d’Italia dovuto a un lavoro che la obbliga alla “sostenibilità” di tanti, forse troppi affetti, materiali e immateriali. E così Balzano, che ha iniziato questa sua opera con lo spirito scrupoloso e quasi notarile di un archivista, la conclude invece come amanuense di esistenze, sentimenti e dilemmi universali.
Articolo tratto da La Freccia