In cover, photo Silvio Gioia
Ce lo ha insegnato Carlo Collodi alla fine dell’800, creando il personaggio di Pinocchio: dal legno può nascere la vita. Ma un progetto avviato tre anni fa sul lago di Garda è andato oltre, con la convinzione che dal legno possa prendere forma persino una seconda esistenza, grazie all’impegno di adolescenti con difficoltà comportamentali e familiari.
Sono loro i protagonisti di Salva una botte, crea un capolavoro, iniziativa sostenibile capace di coniugare economia circolare, inserimento lavorativo e rispetto per la natura. L’idea è frutto dell’incontro tra Tinazzi, gruppo di cantine con sede a Lazise (VR), e Bottega Tettoia Pinardi, laboratorio di arte e artigianato della Casa don Bosco Dab, attiva ad Albarè, frazione di Costermano sul Garda.
Per la famiglia di viticoltori il legame con il vino e le botti è evidente fin dall’origine del nome: i tinazzi, nell’antica tradizione locale, erano recipienti in cui si inseriva l’uva pigiata a fermentare. Oggi l’azienda produce Amarone e Ripasso della Valpolicella, Lugana, Soave e altri vini dell’area veronese, ma ha terreni anche in Puglia dove mette in commercio Primitivo di Manduria, Negramaro e Malvasia nera.
Gian Andrea Tinazzi © Silvio Gioia
Quando le barrique usate per la fermentazione non servono più, vengono spedite ad Albarè, dove i ragazzi che lavorano nella falegnameria salesiana utilizzano il legno di cui sono costituite per realizzare piccole opere d’arte che poi vengono vendute o date in omaggio. Si producono giochi che stimolano l’intelligenza, come il picchio o il rompicapo giapponese tangram, articoli di oggettistica e idee regalo, mobili per vari usi come sedie, tavolini, appendiabiti, orologi a muro, portariviste, portaspezie, lampadari e lampade da scrivania.
«Le botti nuove», spiega Gian Andrea Tinazzi, il titolare delle cantine, «costano tra i 700 e gli 800 euro l’una. Sono in quercia, rovere di Slavonia o rovere francese: legni buonissimi che, se trattati bene, durano nel tempo e non marciscono pur avendo ospitato a lungo il vino». Un valore che non diminuisce neanche dopo il primo utilizzo: «Quelle usate si possono vendere a chi ne ha bisogno per affinare il cognac o la grappa, a una cifra tra i 150 e i 200 euro l’una». Ma l’aspetto economico viene messo in secondo piano: «Siamo contenti di donarle ai ragazzi della Bottega affinché trovino uno scopo nella vita. Sono in condizioni difficili e la solidarietà ci sembra opportuna», precisa l’imprenditore.
Oltre a essere aiutati da un falegname professionista con esperienza ultratrentennale, gli adolescenti sono seguiti da Emil Nobis, un educatore che si occupa anche della parte operativa del progetto. «I ragazzi hanno tra i 14 e i 19 anni, arrivano da noi volontariamente o perché segnalati dalle Asl o dai servizi sociali del territorio. Non presentano patologie particolari, ma difficoltà comportamentali o educative che li portano spesso ad abbandonare la scuola», chiarisce Nobis.
L’esterno della falegnameria Bottega Tettoia Pinardi © Silvio Gioia
L’iniziativa coinvolge anche gli studenti delle classi quarte e quinte del liceo artistico Nani-Boccioni di Verona che mettono a disposizione know-how e creatività, proponendo alla Bottega progetti da realizzare. «Noi ne abbiamo scelti alcuni», spiega l’educatore, «e li portiamo avanti. Utilizziamo diversi utensili, sia manuali, come seghe, raspe, scalpelli, sia elettrici, pialle, trapani, torni a legna per realizzare oggetti tondi e una sega a banco per i tagli dritti e obliqui»
Lavorazioni complesse al termine delle quali la soddisfazione è alta: «Completare una commessa di oltre 200 ombrelli per le cantine Tinazzi è stato impegnativo. Ma in ogni progetto teniamo alta l’attenzione dei ragazzi per far sì che lavorino nel migliore dei modi. Partecipare alla creazione di oggetti di ottima qualità aumenta la loro autostima».
L’attività lavorativa è infatti un pretesto per raggiungere un obiettivo più ampio: «La falegnameria è uno spazio dove, oltre a lavorare il legno, è possibile condividere le proprie difficoltà e parlare di sé. Un luogo di crescita a 360°, non solo individuale».
In questo modo i ragazzi portano avanti una sorta di arte-terapia, come spiega Ester Albanese, l’educatrice che ha ideato il progetto iniziale La reciclofficina, a cui si è poi agganciata l’iniziativa di Tinazzi: «È come una terapia psicologica, solo che si comunica attraverso creazioni artistiche».
Il responsabile di Casa don Bosco Dab, don Paolo Bolognani, con i ragazzi di Bottega Tettoia Pinardi © Silvio Gioia
Un approccio a cui viene collegato un metodo pedagogico utilizzato dai Salesiani: il sistema preventivo nell’educazione dei giovani di don Giovanni Bosco. «Religione, ragione e amorevolezza», spiega Albanese, «ne sono i termini fondanti. don Bosco riteneva che l’allegria, il teatro, la clownerie e le arti in generale fossero un modo per attirare i ragazzi, alimentare la loro autostima, farli divertire in modo sano e renderli onesti cittadini. Un insegnamento formulato nell'800 adattato ai nostri giorni».
Ad Albarè, la settecentesca Villa Torri Giuliari ospita i Salesiani dalla metà del secolo scorso. Attivi nel campo dell’ospitalità e dell’educazione, sono ormai un riferimento per le famiglie del territorio che cercano supporto nella crescita dei figli. «Siamo un villaggio educativo. Abbiamo una comunità residenziale nella zona della falegnameria, sopra la quale c’è una torre in cui sono ospitati quattro adolescenti che compiono un percorso in comunità. In un altro spazio abbiamo un ostello per giovani stranieri che hanno difficoltà a trovare lavoro e alloggio. Infine, c’è la comunità diurna, che seguo io, in cui abbiamo messo in piedi una serie di attività, tra cui un percorso di studio per arrivare al diploma», conclude Albanese.
Salva una botte, crea un capolavoro non è l’unica iniziativa messa in piedi da Tinazzi e Casa don Bosco Dab. Dall’amicizia tra il titolare delle cantine e il responsabile salesiano, don Paolo Bolognani, è nato anche il progetto Piana degli Orti, che vede coinvolte due associazioni, Città in Fiore e Oltre il Confine, che forniscono alloggi ad adulti con disagi e rifugiati richiedenti asilo. Le due realtà hanno preso in gestione terreni incolti nei pressi di Cavaion Veronese (VR) per trasformarli in un orto a chilometro zero. In cambio di una donazione spontanea, le famiglie locali possono ricevere i frutti del lavoro agricolo: peperoni, zucche, angurie, meloni, pomodori, lattuga, patate, melanzane, zucchine.
«Offriamo a queste persone un modo per sentirsi impegnate nel corso della giornata così che non si perdano per strada», conclude Tinazzi, «perché per noi è fondamentale il legame con il territorio e la possibilità di costruire relazioni con chi si occupa di inclusione sociale».
Articolo tratto da La Freccia