In cover la Basilica superiore di Assisi © Giorgio Galano/AdobeStock
È la voce di e da Assisi. Il «Buongiorno brava gente» con cui ogni giorno racconta in diretta video il Vangelo quotidiano è uno degli appuntamenti mattutini più seguiti su Facebook. Padre Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi e del mensile San Francesco, è un’esplosione di parole e racconti. Il 29 settembre è uscito il suo ultimo libro, La tunica e la tonaca.
Un titolo suggestivo e un po’ enigmatico. Come nasce?
Durante una riunione di redazione mi sono imbattuto in un vecchio articolo redatto in occasione del restauro della tonaca di San Francesco. Stavamo riflettendo proprio su quell’argomento e il ritrovamento mi ha indotto ad approfondire. Ho scoperto così che la veste povera di Francesco era stata rammendata da Santa Chiara.
E da questa rivelazione parte il libro.
Immagino che, oltre al valore storico, ci sia una lettura metaforica profonda.
C’è il tema della riparazione. Ciascuno di noi è chiamato a ripartire, a ricucire, a riprendere la vita in mano. Riparare se stessi per accomodare gli altri. Ci accorgiamo che questa Terra e l’umanità sono continuamente da aggiustare e curare, proprio come un abito consumato e sdrucito.
Padre Enzo Fortunato
Anche il saio esprime concetti simbolici, quindi…
È il segno del tau che rappresenta la croce e la pienezza dell’esistenza. Ho anche scoperto che questo indumento veniva riciclato: era la veste da lavoro usata dai contadini. Contiene il concetto del riuso, prioritario in una società che spreca, scarta, usa e getta. Il santo, che è anche uomo e amico, attraverso il suo abbigliamento ci indica quanto sia necessario percorrere la strada di uno sviluppo sostenibile.
Ovvero?
La natura e l’ambiente crescono, l’uomo invece si sviluppa, cioè toglie i suoi viluppi, quello che lo incatena al proprio io e alla propria sete di possesso ed egoismo, per assaporare la gioia della libertà. La spoliazione di San Francesco è stata un atto estremo di libertà. Più ci riempiamo di cose, più sperimentiamo il vuoto e il bisogno di colmarci. Affrancandoci dall’avere, invece, dimostriamo la nostra robustezza psicologica ed esistenziale, la nostra umanità.
Quello della sostenibilità è un tema molto dibattuto oggi.
Pochi sanno che è una parola nata alla fine del ‘700 come valutazione agricolo-economica. Quanti alberi occorre tagliare per gli usi dell’uomo, senza mettere a repentaglio la vita di una foresta? Il Santo di Assisi già nel 1200 invitava i suoi frati a lasciare incolta una parte dei campi, per permettere al terreno di rigenerarsi. Oggi è la tecnica del maggese. L’uomo può convivere e beneficiare dei frutti della Terra ma con equilibrio, e il marrone scuro della tonaca dei confratelli è un forte richiamo al rispetto della casa comune che abitiamo.
Chi era San Francesco?
Un uomo che si rendeva conto che c’è un mondo fuori e che ognuno di noi ha possibilità e potenzialità interiori profonde da concretizzare per gli altri. Ci dice: «Io ho fatto la mia parte, ora sta a voi». Era portatore di cose buone, vere, belle, di cui abbiamo una sete grande.
Il 3 ottobre il Papa ha firmato la nuova enciclica, proprio nella cittadina umbra.
È una visita storica, la quarta del Santo Padre ad Assisi e la prima volta che un’enciclica viene siglata fuori dalle mura vaticane. Fratelli tutti è un testo sulla solidarietà, la prossimità, lo stare insieme, l’importanza del perdono e di difendere e accogliere le persone più fragili. La terza lettera papale ci spiega anche il nome scelto da Bergoglio: Francesco è l’uomo dei poveri che ama e custodisce il Creato, colui che salvaguarda l’essere umano e non lo tiene a distanza. Significa che nulla è grande di fronte a Dio, ma tutto è ugualmente degno, con un richiamo a riflettere sul colore marrone della tunica e tonaca, simbolo della fragilità e della Terra.
E su quei rattoppi da rammendare, come la vita.
Cosa ha di speciale papa Francesco?
È uomo di Dio con la caratteristica francescana, quella di lasciarsi animare dalla fede, per chi crede, o dai valori, per chi non crede, e quindi dalla pace. Oggi c’è un gran vuoto di guide e lui offre orientamento come un vero leader, anche tra i laici.
Sei stato molto amico dello storico d'arte Philippe Daverio e hai presieduto al suo funerale. Come raccontava i cicli degli affreschi giotteschi?
Attraverso i dettagli, le espressioni dei volti. Daverio affermava: «Questi dipinti riproducono, nella cultura europea, la prima rappresentazione dei due grandi sentimenti umani, gioia e dolore».
Il tuo viaggio preferito?
Ogni tanto tornare a casa, sulla Costiera amalfitana. Vengo da un piccolo paese di quella zona. Posso aggiungere una battuta per i lettori? Buon viaggio, brava gente.
Mondadori, pp.144 € 17
Articolo tratto da La Freccia ottobre 2020