In cover Tommaso Sacchi al Teatro La Pergola di Firenze © Massimo Sestini

«Ciò che più mi colpisce di Dante è la contemporaneità del suo viaggio e la magia della lingua italiana, nella sua espressione maggiormente compiuta». Sono le prime parole di Tommaso Sacchi, presidente della Fondazione Teatro della Toscana e assessore alla Cultura del Comune di Firenze, con il quale prendiamo un treno da Milano alla Città del Giglio. E subito, per rafforzare il concetto, cita il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo averlo ascoltato al Quirinale in occasione del concerto diretto dal Maestro Riccardo Muti che ha aperto le celebrazioni previste per i 700 anni dalla morte del Poeta: «Dante nostro contemporaneo, così la sua voce parla al futuro».

Con il sindaco di Firenze, Dario Nardella, e il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, avete da poco presentato il programma delle iniziative organizzate per festeggiare l’anniversario del 2021.

Siamo partiti con grande anticipo, per un settecentenario che verrà celebrato principalmente il prossimo anno, allestendo un ampio palinsesto di eventi e produzioni di teatro, musica e arti performative. Abbiamo scelto di farlo coinvolgendo tutti i livelli della filiera culturale, dal Maggio Fiorentino alle associazioni cittadine. La Pergola, il teatro nazionale che presiedo, allestirà spettacoli specifici per raccontare un Dante assolutamente inedito. A questo scopo abbiamo coinvolto il grande regista statunitense Bob Wilson, figura di fama mondiale che porterà qui il suo Inferno. Con lui abbiamo pensato di coinvolgere le nuove generazioni della Pergola: saranno i giovani delle scuole di teatro a interpretare il Dante ideato da un mostro sacro. La galassia della Fondazione è diffusa su tre comuni: Pontedera con il Teatro Era, quello che con il direttore Marco Giorgetti ci piace definire il luogo delle prime, Scandicci con lo storico Teatro Studio, luogo di sperimentazione, e Firenze con il Nicolini e, naturalmente, La Pergola.

 

Questo coinvolgimento a livello culturale vuole essere anche un coinvolgimento sociale?

Dante è nella nostra vita ed è declinato al futuro. Tutti noi ci siamo confrontati con la Divina Commedia. Una professoressa di Lettere me lo fece amare molto e io iniziai già allora ad apprezzarne l’incredibile attualità. È un viaggio che guarda ai giorni nostri dal punto di vista fantastico e spirituale, toccando tutte le sfere della società, dal mondo dei giovani a quello scientifico. Bisogna essere duttili e capaci di offrire programmazioni culturali che tocchino molteplici corde, soprattutto quelle dei ragazzi, lavorando senza pregiudizi. Fino a formare una catena umana che attraverserà Firenze, idea che ci è venuta con l’associazione Cult, durante la quale ciascuno reciterà una terzina: un chilometro di Dante per raccontare la storia della lingua italiana attraverso la Divina Commedia, con i cittadini protagonisti della scena.

 

C’è dinamismo nel tuo ruolo di presidente della Fondazione Teatro della Toscana.

Credo sia il momento di disegnare un nuovo modello di istituzione culturale, che sia un museo o un teatro. Alla base c’è un’idea che parte da una stanza vicino agli uffici della Fondazione, dove si trovano le firme dei registi che nel corso degli anni hanno debuttato su quel palcoscenico davvero emozionante. Ecco, a mio parere, il teatro deve fare il teatro, ovvero diventare piazza, agorà, luogo del dibattito, meridiana del tempo di una città come Firenze, la più preziosa delle città globali con una forte dimensione internazionale e una spiccata identità orgogliosamente locale. La Pergola deve avere come obiettivo quello di fare cultura nella contemporaneità. Quando durante l’emergenza scuola abbiamo aperto il teatro affinché diventasse aula, moltissime ragazze e ragazzi hanno scoperto la bellezza di un luogo del quale non conoscevano l’esistenza, e ora vogliono tornarci. Il teatro come agorà didattica, quindi, luogo di scambio e formazione.

Isabelle Huppert e Bob Wilson al Teatro La Pergola di Firenze © Filippo Manzini

Alla Pergola hai chiamato Stefano Accorsi come direttore artistico, un modo anche per attirare l’attenzione?

È uno dei volti più noti del cinema, dotato di grande sensibilità artistica. Con lui stiamo lavorando benissimo, presenteremo a breve la programmazione, ci sentiamo praticamente ogni giorno per confrontarci, discutere sulle idee e sull’impostazione. Abbiamo stretto accordi con il Théâtre de la ville di Parigi per organizzare scambi culturali e sviluppare nuove categorie di pubblico con l’audience development. È straordinario avere una figura attiva e di rappresentanza come Stefano per attirare a teatro le nuove generazioni. Con lo stesso spirito abbiamo aperto due scuole, una delle quali, la Oltrarno, è diretta da Pierfrancesco Favino, altra straordinaria figura sulla quale possiamo contare. Il teatro è un corpo vivo della città.

 

Da Bob Wilson ad Accorsi e Favino, tutti a Firenze perché ci sei tu?

Al di là del mio ruolo, Firenze ha una credibilità che si è conquistata nei secoli e, oggi come allora, il mondo dell’arte e della cultura vuole confrontarsi con questa città. Un tempo erano Leonardo, Michelangelo, Galileo Galilei, oggi sono i protagonisti dei nostri giorni, come Marina Abramović, Jan Fabre, Jeff Koons, Sting, i Metallica, Isabelle Huppert e Zubin Mehta. Tutti legati al capoluogo toscano da un amore viscerale e inscindibile. Stiamo lavorando così al nostro progetto e uso il plurale perché credo che i risultati si ottengano insieme, la politica one man show non mi ha mai convinto. La nostra squadra condivide passioni, idee e proposte con i diversi livelli della città che, ripeto, è un corpovivo.

 

Il tuo amore per Firenze com’è nato?

Un pezzo alla volta, a essere sincero: è un luogo che si svela con lentezza, ci vuole dedizione. Non è una città da colpo di fulmine, ma dai mille volti, dalla quale è bello farsi sedurre, che sia per la meraviglia del Brunelleschi, per una frazione come Settignano o un quartiere forte e popolare come l’Isolotto.

Il presidente della Fondazione Teatro della Toscana Tommaso Sacchi (a destra) in treno con il giornalista Andrea Radic

Che sensazioni ti accende il viaggio in treno?

Il Frecciarossa è la mia seconda casa, ci siamo abituati in fretta alla velocità di connessione della dorsale italiana, è stata una rivoluzione per rapidità e qualità di viaggio. Un impatto positivo, entusiasmante, che ha modificato le nostre agende in maniera radicale. Sono figlio di una geografa e di un fotoreporter, quindi sono abituato a muovermi spesso, fin da bambino, con i miei fratelli. Oggi il treno rappresenta il momento del pensiero, il mio momento. Mi siedo, apro il computer portatile e butto giù idee e pensieri. Ma è anche il luogo degli incontri, di riunioni involontarie ma utili, alle volte risolutive. Ho risolto situazioni urgenti e critiche proprio a bordo delle Frecce, dove spesso ci si ritrova e si esordisce così: «Scusa, ne approfitto per parlarti…». Molto bello, poi, seguire il paesaggio dal finestrino: Firenze, l’Appennino, la Pianura Padana, Milano fanno parte della tratta che percorro più frequentemente. Uno spaccato d’Italia che segna il tempo del viaggio.

 

Qual è il profumo della tua infanzia?

Quello del camper dei miei genitori, viaggiavo con loro quando lavoravano alle guide del Touring club. Dalla Sardegna al Nord Africa, quanti profumi…

 

La bellezza aiuta nel proprio lavoro?

Metto di fronte a tutto le idee, la competenza e la voglia di fare. Poi nel nostro Paese abbiamo la fortuna di essere circondati dalla bellezza.

Articolo tratto da La Freccia