In cover Alex Bellini © Matte Ozanga

«Ho fatto più chilometri dentro me stesso di quanti non ne abbia fatti fuori», racconta l’eco esploratore Alex Bellini. Un uomo gentile e pacato che nelle sue spedizioni ha conosciuto la profonda solitudine e il disagio, incontrato il gelo e il caldo estremo. Nato nel 1978 ad Aprica (SO), un piccolo paese tra le Alpi, dalle montagne ha imparato la sua prima lezione: aggrapparsi alla roccia e tenere duro. Con questo mantra è partito per le sue grandi avventure.

 

In Alaska ha percorso duemila chilometri a piedi trainando una slitta. Nel 2005, su una piccola barca, ha remato da solo per 227 giorni attraverso il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Tre anni dopo ha replicato solcando l’Oceano Pacifico, dal Perù all’Australia: 18mila km in 294 giorni. Dopo il mare è stata la volta della strada: ha corso da Los Angeles a New York in 70 giorni. Nel 2017, in meno di due settimane, ha attraversato con sci e slitta il Vatnajökull, in Islanda, il più grande ghiacciaio d’Europa.

Il suo ultimo progetto, partito a marzo 2019, si chiama 10 Rivers 1 Ocean e aveva l’obiettivo di percorrere, su un’imbarcazione realizzata con materiali di scarto, i dieci fiumi più inquinati al mondo che da soli producono circa il 90% della plastica presente nei nostri oceani. Purtroppo, da un giorno all’altro, com’è avvenuto per tutti, è stato costretto a fermarsi per la pandemia.

 

Così Alex ha iniziato a concentrarsi su quello che da sempre considera il viaggio più impegnativo: quello dentro se stessi. Il punto di partenza è la vita di prima, quello di arrivo una nuova esistenza, trasformata. In mezzo, il cambiamento. Durante il lockdown ha raccolto questi pensieri nel libro Il viaggio più bello, un testo per affrontare la paura che attanaglia di fronte al cambiamento.

Com’è nato il tuo amore per l’avventura?

Difficile dirlo. Mio padre era appassionato di motori, deserto e corse africane. Sono cresciuto con l’idea che l’avventura fosse qualcosa di possibile, non solo da sognare ma da realizzare. Poi a 20 anni la mia vita ha preso una piega diversa, dal mio paese di montagna sono andato a Milano per studiare scienze bancarie.

 

E cosa è successo?

Mi sono reso conto che mi stavo allontanando dalla mia natura: mi piaceva patire il freddo, la fame, la sete, vivere in ambienti ostili. Ho capito che questo mi dava gioia, mi rendeva vivo.

 

Sogni di abitare su un iceberg fino al suo completo scioglimento…

Nel 2011, dopo aver corso da Los Angeles a New York, ho cominciato ad avere questo desiderio. Vorrei documentare le fasi di vita di una montagna di ghiaccio, raccontare in forma romantica la fragilità del nostro ecosistema. È un’idea complessa, folle e rischiosa. Chissà se riuscirò mai a realizzarla.

Alex Bellini nel Pacifico incontra il nuotatore transoceanico Ben Lecomte

Alex Bellini nel Pacifico incontra il nuotatore transoceanico Ben Lecomte

Qual è l’obiettivo del progetto 10 River 1 Ocean?

Voglio richiamare l’attenzione sull’oceano che è diventato il buco nero del nostro Pianeta, all’interno del quale tutto tende a precipitare. È un luogo molto distante da noi, lontano dagli occhi e dalle coscienze delle persone. L’Onu ha proclamato il 2021/2030 il decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile, proprio per segnalare la centralità delle acque che servono a preservare la vita sulla Terra.

 

Nei tuoi viaggi hai vissuto lunghi periodi di isolamento. Come hai affrontato il lockdown?

Non è stato semplice. Mi alleno da sempre per situazioni difficili. Quando questa emergenza ci ha costretti a casa mi sono tornate alla mente le mie traversate oceaniche, quando trascorrevo settimane chiuso in cabina ad attendere che il tempo migliorasse.

E nell’attesa di ricominciare a scoprire il mondo hai scritto un libro.

Vuole essere un invito a compiere un viaggio interiore. Come se ti regalassero una corsa breve, nella speranza di farti appassionare alle corse lunghe. È strutturato in sei capitoli, ognuno con un nodo da sciogliere: un elemento che impedisce il giusto fluire delle cose. Così affronto temi come il silenzio, la pazienza, la vulnerabilità.

 

Cosa impareremo da questo 2020?

Nella prima parte del libro accosto questo momento di lockdown a un rito iniziatico, simile a quello che compiono gli adolescenti delle popolazioni indigene per passare all’età adulta. Dobbiamo dimostrare di essere diventati uomini, capaci di prenderci le nostre responsabilità, di individuare gli errori del passato e disegnare una nuova traiettoria per il futuro.

Il tuo viaggio più bello?

Quello fatto in Groenlandia nel 2015 con tutta la famiglia. Siamo andati sulla costa ovest dell’isola per osservare un ghiacciaio da dove si staccano migliaia di iceberg ogni anno. Volevo far vedere alle mie figlie quelle montagne galleggianti, dove avrei posizionato la mia capsula di sopravvivenza.

 

Il più bel ricordo di un Natale passato e il viaggio che invece ti auguri di compiere presto?

Il più bello, non me ne voglia mia moglie, l’ho passato in mezzo all’Atlantico durante la traversata nel 2005. Era una splendida giornata di sole. Mi sono preso una pausa per mangiare il panettone e la razione di cibo più buona che avevo nella stiva. Per questo Natale, invece, mi auguro un momento di ritrovo con la mia famiglia. Anche se adesso non mi sto muovendo, vedo poco le mie figlie perché sono molto impegnate con la scuola. Alla fine di questo anno eccezionale vorrei fare un viaggio in famiglia.

Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021?

Mi auguro sia l’anno della ripartenza. Vorrei riprendere il progetto 10 River 1 Ocean: compatibilmente con la pandemia, punto a percorrere quattro fiumi tra gli otto che mi mancano ancora da navigare.

 

Come sarai, come saremo in futuro?

Dovremmo farci trovare preparati a gestire cose simili. Questo microscopico virus ci ha fatto capire che siamo molto vulnerabili. Dobbiamo confrontarci con l’infinitesimamente piccolo. Non vorrei fare la fine dei grandi dinosauri con il topo. I primi si sono estinti, il topo è ancora qua.

Articolo tratto da La Freccia