Amo la radio perché arriva dalla gente. Entra nelle case. E ci parla direttamente». Così cantava Eugenio Finardi nel 1976, due anni più tardi a Roma nasceva RDS, una delle prime radio private italiane, oggi la seconda per audience, con cinque milioni e mezzo di ascoltatori medi al giorno che superano, su alcuni contenuti distribuiti a un circuito di 26 emittenti locali sparse in tutta Italia, i nove milioni. Chiediamo a Massimiliano Montefusco, general manager di RDS, e a Gianluca Teodori, a capo della redazione giornalistica, e di fatto direttore responsabile dei contenuti informativi della radio, quanto ci sia di vero, ancora oggi, o forse oggi più che mai, nelle parole di quella canzone.
[M.M.] Come RDS abbiamo commissionato una ricerca dalla quale emerge che durante i quasi due mesi del lockdown i nostri ascoltatori si sentivano ancora di più parte di una community, e chiedevano di partecipare e interagire con noi. Ed è proprio questo ruolo attivo di chi ci segue, una sorta di caratteristica genetica del medium radiofonico, che ha consentito alla nostra emittente, ma un po’ a tutte le radio, di mantenere elevati livelli di ascolto anche da casa e avere la meglio sulle piattaforme on demand. Certo, ha giovato anche la nostra capacità di saper mixare intrattenimento e informazione.
Massimiliano Montefusco
Compito che immagino vi siate impegnati ad assolvere con grande attenzione, perché in certi momenti i due aspetti contrastavano drammaticamente, tanto da apparire antinomici.
[M.M.] Era un dualismo inevitabile: da un lato informare in modo corretto e preciso, dall'altro trasmettere un mood positivo, capace di dare la carica e, lavorando sulle emozioni, anche distrarre per quanto possibile dalla situazione generale e da quella individuale, con gran parte della popolazione italiana costretta a vivere in casa, con uno spazio limitato a disposizione, poca o nessuna privacy.
Andiamo sull’informazione. Come trattare in radio una vicenda così delicata e, soprattutto, inedita e inimmaginabile?
[G.T.] Ci siamo confrontati a lungo tra di noi, all'inizio, per capire se fosse giusto drammatizzare il quadro o renderlo in termini più normali. Abbiamo cercato di capire, e trovare un adeguato equilibrio, così ci siamo mossi in anticipo su temi diventati poi dominanti, facendo le stesse domande piuttosto elementari che si poneva la gente. Abbiamo sentito la Protezione Civile e Angelo Borrelli ben prima della realizzazione del comitato tecnico scientifico a proposito dei controlli su chi arrivava dalla Cina attraverso scali intermedi. E il professor Roberto Burioni, già a febbraio.
Alla fine lo tsunami ha travolto tutti, compresi voi…
[G.T.] E la prima reazione è s tata di panico, perché ti rendi conto di come tutto venga fagocitato da un gigantesco tragico macro argomento. Però, se vuoi, da un punto di vista strettamente giornalistico il lavoro diventa persino più facile, perché hai tempo di metabolizzare la notizia, riflettere su come trattarla, nei suoi molteplici aspetti. E quello che cambia, nel tempo, abbiamo modo di seguirlo in strettissima relazione con le richieste dei nostri ascoltatori.
E cosa hanno chiesto e chiedono?
[G.T.] La loro è una curiosità a 360 gradi sul fenomeno e ci chiedono di non indulgere al catastrofismo o al complottismo. Abbiamo cercato di sentire un po' tutti perché ciascuno possa farsi una propria idea attraverso approfondimenti e spunti di riflessione, senza mai cavalcare una sponda o un'altra. Noi i provvedimenti del governo li registriamo e cerchiamo di renderli intellegibili. Non diciamo se sono giusti o sbagliati.
Gianluca Teodori
L’equilibrio va trovato anche tra informazione e approfondimento, tra esposizione dei fatti e commento. Il vostro palinsesto lo consente?
[G.T.] Ogni giorno trasmettiamo 20 notiziari in 18 ore e nove appuntamenti di approfondimento con il nostro format 100 secondi: cinque quotidiani con Enrico Mentana, uno con Riccardo Luna sull'aspetto tecnologico del nostro vivere, uno un po' più leggero affidato a Carlo Rossella e due di sport. Poi quattro rubriche che fanno parte del nostro arredo quotidiano: una dedicata al lifestyle, una alle imprese del made in Italy, un appuntamento green e un altro dedicato ai motori. Con l’esplosione dei contagi e la conseguente emergenza sanitaria e sociale c’è stato un immediato allineamento, avvenuto in maniera estremamente armonica, che ha riguardato sia le rubriche sia ovviamente i 100 secondi.
A ogni appuntamento un compito diverso, quindi. Separando fatti da opinioni.
[G.T.] Certo. Il nostro notiziario è molto snello, tendenzialmente non va oltre i due minuti, punta a un'informazione diretta, spicciola e didascalica. Nei momenti più critici, da metà marzo a fine aprile, giusto il tempo per rendere conto delle cifre che ci investivano come un macigno. Le rubriche in pochi giorni sono diventate i nostri ulteriori spazi di approfondimento. Lifestyle è stato modulato sulla vita in casa, su aspetti del quotidiano che fino ad allora non avevamo mai pensato di affrontare, dall'alimentazione all'esercizio fisico, fino ai risvolti psicologici derivanti dalla grande incertezza e dall’isolamento. Dopo una settimana, nella rubrica green avevamo già iniziato a parlare dello smaltimento dei dispositivi di protezione personale, un tema diventato oggi dibattutissimo. Con Made in Italy abbiamo raccontato delle conversioni produttive, dai marchi di moda che si mettevano a fare mascherine a quelli della tecnologia che lavoravano sui respiratori. Ed è stato interessante scoprire questa dote di versatilità dell'impresa italiana capace in breve tempo di cambiare pelle.
[M.M.] Il nostro obiettivo era tenere aggiornati gli ascoltatori con un’informazione concisa, senza assumere il ruolo del radiogiornale continuo e con spunti di riflessione live ma, allo stesso tempo, accompagnarli durante tutta la giornata, lavorare nell’area del sentiment e delle emozioni positive e toccanti.
Quindi un intrattenimento che generi empatia, condivisione.
Corretto?
[M.M.] Coinvolgimento è la parola giusta. C’è un altro studio sulle radio italiane, commissionato da TER (società che rappresenta la quasi totalità delle componenti produttive pubbliche e private della radiofonia italiana, ndr) durante il lockdown che, a fronte di un’inevitabile per quanto contenuta diminuzione di ascoltatori – legata alla forte riduzione della mobilità automobilistica e, con essa, di una delle occasioni privilegiate di fruizione radiofonica– ha registrato una crescita di partecipazione interattiva del pubblico. Il 35% delle persone in questo periodo ha ascoltato la radio più a lungo e con maggiore attenzione, e in 37milioni l’hanno definita l'amica sempre vicina. Perché rasserena e ci fa sentire uniti, hanno detto in tanti.
[G.T.] Empatia e condivisione valgono anche per l’informazione e le nostre rubriche. Sempre con Lifestyle abbiamo trattato un tema clamorosamente importante durante il lockdown, e da tanti invece trascurato, quello dei bambini. Gli aspetti psicologici, l’insegnamento, l’osservazione del loro comportamento. E i nostri ascoltatori hanno gradito, sono stati coinvolti.
Studi RDS di Roma
Veniamo al tema della crossmedialità e di un’evoluzione genetica del mondo dei media. Ormai anche RDS da semplice emittente radiofonica è diventata un’altra cosa: in una vostra presentazione vi definite “entertainment company”.
[M.M.] Lo siamo diventati perché generiamo una serie di opportunità di incontro, intrattenimento e coinvolgimento del pubblico, inclusi eventi e concerti che speriamo possano quanto prima tornare a svolgersi. Poi ci sono due aspetti: primo la fruizione dei contenuti che avviene da tanti diversi device, oltre ai tradizionali apparecchi radiosi va dagli smartphone ai pc, dai tablet alla tv fino agli smart speaker che stanno prendendo sempre più piede nelle nostre case. Poi i contenuti che si plasmano in una specie di co-creazione continua con chi interviene sulle varie piattaforme digitali.
Sulle quali siete ben presenti.
Sì, con una redazione digital che eroga contenuti di evasione e intrattenimento, anche perché social media come Instagram o Facebook nascono per quello. Quei contenuti li ritroviamo in maniera diretta e intera su RDS.it, producendo una sorta di ping pong con la radio che li tratta in una modalità audio, con un’attitudine a trasformarli in audiovisivi e in video veri e propri da fruire soprattutto in mobilità con gli smartphone.
Ormai siamo ben oltre quello che cantava Finardi in tempi nei quali interagivi con la radio chiedendo per telefono una canzone e una dedica.
[M.M.] Abbiamo conosciuto l'interazione ipertestuale, attraverso un sms o un post su Facebook o Messenger e oggi quella vocale con i messaggi su WhatsApp. Così, su un determinato spunto o sondaggio, interpelliamo gli ascoltatori e mandiamo in onda i loro messaggi e le loro riflessioni. Tutto questo rafforza l'effetto community e la spinta di protagonismo attivo, sfrutta le tante piattaforme social disponibili e, alla fine, massimizza l'efficacia del mezzo radiofonico.
Torniamo a oggi. Eccezionalità e normalità,quella che tutti auspichiamoarrivi presto sebbene avrà forse una fisionomia diversa da quella che conoscevamo. Cosa è cambiato e cambierà nel mondo della pubblicità sui media e dell’informazione?
[M.M.] Intanto, durante il lockdown il 50% delle aziende per vari motivi non ha investito. Per cominciare, banalmente, non aveva la creatività opportuna. I messaggi già confezionati erano distonici rispetto a una realtà mutata in maniera così radicale. Le imprese commerciali erano e molte restano ancora chiuse, l’automotive – che rappresenta il 30% del nostro market share, bloccato. Ora occorre necessariamente cambiare il paradigma, ridisegnare i servizi e i prodotti, reinterpretare il ruolo anche in termini di comunicazione per conquistare la soddisfazione e la vicinanza degli ascoltatori e dei consumatori i cui atteggiamenti sono profondamente cambiati dal clima di incertezza che viviamo. Tutte le aziende stanno rivisitando i propri modelli di business, lavorando a una comunicazione integrale, in una modalità omnichannel, puntando al digitale e a superare la dicotomia tra reale e virtuale.
[G.T.] Nell’eccezionalità degli eventi siamo rimasti legati al nostro palinsesto usando tutte le rubriche che avevamo a disposizione per informare, sempre con equilibrio, su quel che accadeva. Solo nella settimana di Pasqua abbiamo cercato di evadere, ritrovare una certa normalità parlando dei prodotti consueti della festività. Ma il discorso è scivolato sull’attualità da cui non puoi sfuggire, su come le aziende avevano affrontato l'emergenza continuando a lavorare con le difficoltà di un organico ridotto e controlli molto stringenti. Sulle rubriche di sport, come quella sui motori, si è aperta l’unica vera voragine.
[M.M.] Sì, il nostro palinsesto ha funzionato, soprattutto con il format peculiare dei 100 secondi che ha arricchito la cronaca, grazie all’intervento di direttori di successo capaci di aprire una finestra sul mondo andando oltre il solo ascolto degli esperti. E raggiungendo un target molto ampio, perché i 100 secondi diventano un podcast, le riflessioni dall’ambito radiofonico passano a quello multimediale, fruibili sia in app sia sui nostri siti, in modalità audio e audiovideo.
Insomma, le regole del giornalismo non cambiano ma non sempre il mezzo è il messaggio. O non del tutto. Piuttosto il mezzo può moltiplicare il messaggio, esaltandone alcuni contenuti. È anche evidente che i ferri del mestiere cambiano e diventano sempre più smart e digital. Ma la radio su questo fronte è già molto avanti. E resta evergreen. Ancora in salute e sulla breccia.
Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano
03 marzo 2020