La lunga quarantena ha impresso un’accelerazione ai sovvertimenti gerarchici che vive da tempo la costellazione dei media, provocando «un grande boom dell’informazione online». Muove da qui il nostro dialogo con Franco Locatelli, socio fondatore, amministratore e direttore responsabile di FIRSTonline. Professionista di grande esperienza, ha vissuto già altre rivoluzioni nel mondo giornalistico. A quella digitale ha creduto con tanta convinzione che, come racconta egli stesso sulla testata, ha cominciato a progettare un giornale online di informazione economica e finanziaria il giorno dopo la sua uscita nella primavera del 2010, dal Sole 24 Ore, dove ha trascorso più di 25 anni, molti dei quali da capo della redazione Finanza e Mercati.
Ai tempi del coronavirus il web stravince sui media tradizionali?
Direi di sì. Noi di FIRSTonline ne siamo una testimonianza. Ad aprile abbiamo stabilito il record di visite dirette al sito, oltre 207mila in un solo giorno. Il trend ascensionale era già iniziato l’autunno scorso ma è stato molto sospinto dall’emergenza coronavirus. Tant’è vero che a marzo abbiamo registrato il record mensile che, in termini aggregati, ossia sommando alle visite dirette quelle alla nostra pagina Facebook e ai nostri contenuti veicolati dal portale di Microsoft Italia, vale quattro milioni e 700mila visite, in ulteriore crescita ad aprile.
Quali le ragioni?
In queste settimane sono cambiate le abitudini e gli stili di vita. C’è una grande fame di notizie e di conoscenza perché la gente ha paura, sia del coronavirus sia della profonda recessione che ci aspetta. Insomma si legge di più, ma non i giornali di carta, che in questo periodo si comprano sempre meno, quanto le testate online che sono in gran parte ancora gratis. E c’è più tempo, restando a casa, per approfondire, soffermarsi sui servizi giornalistici e valutarne la qualità.
Che mi sembra un tema fondamentale. Il web finora è stato ed è terreno fertile anche per fake news, post-verità, battaglie discutibili come quelle dei no vax… In una nostra recente intervista, la professoressa Maria Carla Re, a capo dei virologi del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, ha detto che l’unica cosa positiva di questa tragedia è proprio la sparizione dei no vax, che non hanno più il coraggio di presentarsi dopo le sciocchezze seminate in questi anni anche sui social.
Franco Locatelli, direttore di FIRSTonline
La verità è che le loro battaglie, come tante bufale costruite ad arte sul web, scaldano gli animi e fanno presa.
Però con la situazione che stiamo vivendo la gente ha bisogno e cerca informazione di qualità. Può anche cadere nelle bufale una, due, tre volte ma alla fine impara a distinguere tra le testate affidabili, credibili e quelle che non lo sono, e premia le più serie.
Cercandole però in una realtà dove si trova tutto gratis, o quasi, come hai appena detto, mentre la qualità ha un costo e dovrebbe avere un prezzo.
Ma non è stata ancora trovata una formula vincente in assoluto per farsela pagare. Salvo pochi casi di successo nel mondo anglosassone, come alcune testate per lo più americane che sono riuscite ad affermare questo principio. In Italia siamo in una fase analoga a quella conosciuta all’inizio dalle pay-tv, frenate dal fatto che il pubblico, abituato ad avere a disposizione tanti canali gratis, non ne percepiva quei vantaggi che poi ha piano piano imparato ad apprezzare. Credo che accadrà così anche nell’informazione online, si arriverà a capire che se paghi puoi avere più qualità e un prodotto ancora più raffinato.
Nel frattempo come se ne esce? Voi, soprattutto, quale soluzione avete trovato?
Noi, con First, abbiamo costruito un modello di business che si basa su due leve, quella pubblicitaria e quella degli abbonamenti, ma non individuali. La pubblicità online sta crescendo perché le aziende capiscono che costa meno, dura di più e arriva in tutto il mondo, mentre il giornale arriva solo dove lo vendi. Gli abbonamenti sono corporate e li sottoscrivono circa 40 grandi aziende. Questo ci evita di essere colonizzati, ci garantisce le basi per un’informazione pluralistica insieme alle risorse per rendere sostenibile il nostro modello industriale che ruota su una redazione snella, con sette giornalisti e due tecnici (una segretaria e un webmaster), ai quali si aggiungono molti autorevoli collaboratori a titolo volontario. Un ruolo speciale svolge poi il nostro presidente, Ernesto Auci, ex direttore del Sole 24 Ore, a cui è delegata la gestione manageriale della società ma che, essendo anche un grande giornalista, scrive spesso commenti e analisi sull'attualità economica e politica.
E chi è l’editore?
Gli editori siamo noi, una società composta da cinque azionisti, quelli di controllo siamo io e il presidente Auci. Siamo tra i pochi siti d’informazione che non hanno un grande Gruppo alle spalle. E così non ci sono condizionamenti esterni, né timori reverenziali per chicchessia. La gente percepisce il valore di questa indipendenza. In più, da nove anni chiudiamo il nostro bilancio in pareggio o in attivo. Credo che questo dica tutto sulla qualità sia del nostro modello di business sia dell’informazione che offriamo.
Che è prevalentemente economico-finanziaria. Di fatto siete quel che si dice un “verticale”. E allora come spieghi il successo di queste settimane?
È vero, non era scontato che l’emergenza coronavirus potesse avere questi effetti su di noi, è più un tema da sito generalista, però noi lo abbiamo affrontato con un’informazione selettiva, semplice, chiara, ma soprattutto valorizzando gli aspetti più strettamente economici, finanziari, industriali e sociali, e questo probabilmente è piaciuto al pubblico.
Insomma, l’economia e la finanza evidentemente appassionano. Ma ci sarà anche altro all’origine di questo successo…
È che noi siamo solo impropriamente un sito d’informazione, in realtà siamo un web journal, che non si limita a dare notizie in tempo reale ma offre un’informazione di servizio, la spiegazione delle notizie con l’indicazione delle chiavi interpretative e di lettura dei fatti, soprattutto quelli che più interessano larghi strati di lettori e cittadini. E poi approfondimenti, commenti, analisi, interviste in esclusiva. Caso rarissimo, perché gli altri siti in genere importano le interviste dai giornali di carta, noi invece le realizziamo ad hoc. Ecco, la miscela che ho descritto rappresenta il format di successo che ci ha portato ai risultati di questi giorni e a essere il quinto sito nazionale di economia e finanza, dietro a due colossi editoriali con decine e decine di giornalisti e due siti di trading online.
Facciamo una riflessione più generale: economico o politico, sportivo o di cronaca, il buon giornalismo ha le sue regole. Valgono anche nell’epoca attuale?
Sì, senz’altro, ma un dato certo è che la rivoluzione digitale sta spiazzando il giornalismo cartaceo, a meno che, come è successo negli Stati Uniti, quest’ultimo non si ripensi valorizzando la qualità e accettando il concetto “online first”, perché altrimenti il giornale continuerà a uscire inevitabilmente vecchio.
Valorizzare la qualità. È un obiettivo tanto scontato quanto vago. Come lo declina FIRSTonline?
In primo luogo con l’indipendenza di giudizio, e il nostro assetto azionario ce lo permette. Poi lavorando su due fattori che hanno costituito le chiavi della nostra ascesa: da un lato il format che ho descritto prima, costituito da una sapiente unione di informazione in tempo reale, di servizio e di approfondimento, dall’altro una forte identità basata sull’affidabilità. Chi ci legge non deve smarrirsi e perdere tempo per capire se le notizie che diamo sono vere o no. Sono vere! Certo, essendo in real time possono evolversi, e noi le aggiorniamo. Quindi c’è l’affidabilità delle notizie, la qualità, la competenza, la fantasia, perché i titoli, come i servizi, devono essere creativi, devono intrigare il lettore, attirarlo, incuriosirlo. Ma fondamentale, direi il pilastro di un’informazione affidabile, è l’indipendenza.
Torniamo alle specificità dell’informazione digitale. Oltre alla velocità e all’aggiornamento continuo ci sono altri plus, come la multimedialità.
Che può essere declinata in molti modi: il primo è la facilità di instaurare rapporti diretti con il lettore. Riceviamo molti interventi, opinioni, commenti che pubblichiamo e ai quali qualche volta rispondiamo, soprattutto quando ci chiedono informazioni. Poi abbiamo un nostro canale YouTube per i video e stiamo facendo esperimenti per uno sviluppo sempre maggiore del podcast, per consentire l’ascolto dei nostri principali servizi. Quella dell’audio-lettura è una modalità di fruizione non ancora molto diffusa, ma con un trend in crescita e tutte le principali testate hanno cominciato a muoversi in tal senso.
Questo mese FIRSTonline compie nove anni. Come si è evoluta?
Resta l’ammiraglia del nostro Gruppo, però nel tempo abbiamo creato altri tre siti verticali specialistici: uno è First Arte, dedicato principalmente al mercato dell’arte; un altro, First&Food, parla di enogastronomia e made in Italy in campo agroalimentare; il terzo è First Tutorial, che si propone di aiutare e assistere il lettore e il cittadino di fronte ai problemi con il fisco, la burocrazia, le bollette, o anche a piccoli problemi quotidiani. Che so, ti cade un telefonino nell’acqua: lo butti o lo puoi recuperare? E noi spieghiamo come lo si può recuperare.
Una domanda al giornalista economico- finanziario di lunga e comprovata esperienza. Come lo vedi il futuro del Paese dopo lo tsunami Covid-19? Purtroppo vedo buio, intanto perché c’è grande incertezza sulla possibilità di domare il coronavirus. Gli scienziati ci dicono che dovremo conviverci per mesi e potremo vincerlo solamente quando sarà trovato un vaccino, se va bene nel 2021. Questa incertezza si riflette non solo nella vita di tutti noi ma anche nell’economia e nella finanza. Non sapendo qual è il futuro prossimo, la gente tende a non consumare e le imprese a non investire. Il combinato disposto di questi due elementi fa sì che le previsioni sull’andamento delle economie mondiali, e di quella italiana in particolare, siano molto pesanti. C’è la possibilità che alla fine del primo semestre 2020 il Pil italiano abbia un calo del 15% o anche maggiore. La recessione, se va bene, si attesterà a livello annuo a -6%, ma può arrivare a -9%. Significa non solo che i redditi si ridurranno ma che molte aziende non riapriranno e molti posti di lavoro spariranno. Poi bisognerà capire come sarà la ripresa, la speranza di tutti è che la curva sia a V, che a una caduta rapida segua una risalita rapida, però ci sono molti elementi che inducono a pensare che non sarà così, almeno per un Paese zavorrato dal debito pubblico come l’Italia. La ripresa ci sarà ma non sarà immediata, sarà molto lenta, quindi si aspettano tempi difficili.
Desolante. Vorrei provare a chiudere l’intervista con qualche nota positiva. C’è la pur remota possibilità di dire che non tutto il male vien per nuocere?
Ad aprile abbiamo pubblicato un articolo di Giorgio Brunetti, professore emerito della Bocconi, che indicava come non tutte le attività perdano durante il coronavirus, ci sono filiere in grande crescita, come quella dell’e-commerce, dei gestori delle piattaforme tecnologiche, del digitale. Poi in queste settimane, con lo smart working, abbiamo fatto un esperimento di massa, e molti hanno capito che da remoto si può lavorare meglio. Certo, non è applicabile a tutti i settori. Però, me lo confermava un economista del lavoro, non solo metterà radici, ma migliorerà la produttività, porterà a decisioni più rapide, renderà le riunioni molto sobrie e veloci, aiuterà a migliorare l’organizzazione complessiva del lavoro. E poi c’è una speranza.
Quale?
Franco Amatori, docente alla Bocconi, tra i più celebri storici dell’economia, in un articolo che ha scritto per noi, ragionava sulle possibili condizioni per un terzo miracolo economico che, dopo quelli del primo ’900 e del secondo dopoguerra, permetta all’Italia di riemergere e affermarsi.
Allora, più che sperare, lavoriamo perché così sia. Secondo Amatori occorre evitare «una chiusura dell’Italia su stessa» facendo emergere «le forze profonde […] le energie e le competenze imprenditoriali capaci di aprire il Paese alle dinamiche dell’economia globale […] valorizzare l’integrazione europea […] non aver paura dell’inevitabile integrazione mondiale».
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