Inauguriamo il 2021 me-dialogando con Massimo Martinelli, giornalista di razza, che l’inchiostro dei quotidiani lo ha respirato fin da bambino e dallo scorso luglio dirige il primo quotidiano della Capitale, Il Messaggero. Lo stesso dove ha mosso i primi passi nella professione e dove suo padre, considerato l’inventore della moderna cronaca giudiziaria, l’ha chiusa come editorialista. Martinelli al Messaggero è come a casa, una casa mai tradita. «Ho sempre detto che sono romano, mi piace la mia città, ho una sorta di orgoglio cittadino, quindi non c’era niente di meglio che fare il cronista del Messaggero, poi il capo servizio e tutto quello che è venuto dopo. Tutto inaspettato, gradito, entusiasmante».
Penso anche meritato, perché la tua storia al quotidiano di via del Tritone è una lunga progressione dal gradino più basso, senza saltarne uno. Inizi a collaborare nel 1986, da poco laureato, due anni dopo sei assunto come redattore, diventi professionista, segui la giudiziaria lavorando su inchieste delicate, ne assumi la responsabilità, intanto collabori anche con la Rai, diventi capo della Cronaca di Roma, quattro anni fa vicedirettore…
Sì, sì ma esistono anche le porte girevoli, e ogni volta che mi è successo qualcosa di positivo ho sempre cercato di capire in quale momento preciso il mio destino si era orientato verso quella direzione, e l’ho individuato. In alcuni casi sarebbe bastata una scelta diversa per cambiare tutto. In altri è dipeso dalle circostanze del momento. Anche la fortuna gioca quindi un suo ruolo, e io non posso non dire di non aver avuto fortuna.
Accettiamo la fortuna, riconosciamo il merito, ma apprezziamo soprattutto la modestia e la passione per questo lavoro e per la tua città. Che rappresenta anche un mercato editoriale tanto importante quanto conteso. Il Messaggero si trova a fronteggiare la concorrenza di testate nazionali come il Corriere della Sera e La Repubblica. I numeri per ora vi danno ragione.
Sì, la competizione è molto serrata. I competitor più agguerriti sono quelli che hai detto. Ognuno ha un pubblico diverso. Noi siamo un giornale molto vicino al cittadino romano, ma anche di Latina, di Viterbo, di Rieti, di Frosinone, dell’Abruzzo e dell’Umbria, dove siamo molto diffusi. Quindi, oltre a curare con la massima attenzione i grandi temi nazionali, cerchiamo di offrire servizi che interessino quel tipo di pubblico. Da tre settimane abbiamo avviato un’iniziativa che si chiama SOS Quartieri per raccontare i piccoli problemi quotidiani che assillano i lettori della città. Al tempo stesso, abbiamo varato quattro mensili di profilo alto: si chiamano Molto e trattano i temi del Futuro, dell’Economia, della Salute e della Donna. Il nostro punto di forza, credo, è l’agilità: riusciamo a produrre contenuti di alto livello e, contemporaneamente, entriamo nei problemi quotidiani dei nostri lettori.
Insomma, un giornale attento agli interessi concreti del proprio pubblico. È questa l’arma per tenere a bada la concorrenza?
Sì. Io ho sempre avuto la consapevolezza che dobbiamo parlare alle persone che cercano nel giornale informazioni ma anche soluzioni ai problemi personali. Intendo dire che, tra le altre cose, il quotidiano deve assolvere all’importante funzione di servizio, informando, offrendo soluzioni, stimolando dibattiti e interventi laddove sono necessari.
Comprare Il Messaggero è scegliere di andare in edicola per avere in mano qualcosa da sfogliare e leggere. In questa rubrica abbiamo spesso affrontato la questione del futuro della carta stampata, chiedendoci se il suo oggettivo declino sia davvero inarrestabile. Tu non sembri così pessimista…
Più passa il tempo e più ci si avvicina al momento in cui ci sarà una sorta di switch tra la carta stampata e il mondo di Internet. Ma non si vede ancora questa linea all’orizzonte, c’è una sorta di foschia che impedisce di capire quando avverrà il trapasso. Tuttavia, non sarà un trapasso completo. O, almeno, ancora per molti anni le due piattaforme convivranno e avranno un pubblico diverso.
Due pubblici diversi per prodotti differenti non solo nella forma e nel medium utilizzato, ma anche nella sostanza, mi pare di capire.
Sono convinto che il lettore del giornale di carta non sia lo stesso che guarda i siti di news o consulta lo smartphone per vedere in continuazione che cosa è successo. Penso sia una persona diversa, che occupa il suo tempo libero in maniera differente e la mattina legge il giornale e apprende per la prima volta quello che è successo il giorno prima, un po’ come succedeva anni fa. Questo significa che, almeno per adesso e per l'immediato futuro, sia importante fare due prodotti differenti: uno per il web, caratterizzato dalla velocità e dall’immediatezza dell'informazione, con tutte le notizie importanti del giorno supportate da contributi audio e video. E uno di carta che contenga le stesse notizie che il giorno prima sono comparse online in tempo reale con approfondimenti, analisi, interpretazioni.
Credo ci sia di mezzo anche una questione anagrafica…
Il pubblico della carta stampata è un pubblico generalmente over 50, facendo il giornale di carta si deve pensare a quel target lì. Ma la scommessa è abbassare la fascia di età del lettore medio e secondo me ci sono larghi margini di manovra.
E sul web?
Il sito deve essere fatto in maniera differente, offrendo quello che è immediatamente importante per le persone. Utilizzando quegli strumenti che consentono di modulare i pezzi e cambiare più volte rotta nel corso della giornata, adoperando come bussola complementare le indicazioni che arrivano dai motori di ricerca, per costruire articoli calibrati su quel tipo di aspettativa.
Ma non si stravolge così la gerarchia delle notizie e si condizionano le scelte editoriali rincorrendo il consenso, ossia il click in più? Non significa piegarsi a una logica di puro mercato?
Se la logica è quella, non ci si può porre il problema del mi piego o non mi piego. Se il mercato chiede un certo tipo di prodotto, devi fare quello. Però – come dici tu – questo fenomeno rischia di rappresentare anche un limite per l’informazione sul web ma, paradossalmente, diventa un’opportunità per la carta stampata.
Ossia?
Se dirigo un sito sono costretto dalle leggi del mercato a seguire l’onda degli argomenti più digitati sui motori di ricerca, perché il mio contatore di popolarità è quello degli accessi, e se non lo faccio sono fuori dal mercato, non prendo pubblicità, non faccio abbonamenti, cessa la mia ragione di esistere. Tutto questo significa che rischio di allontanarmi dal sentiero dell’informazione reale, dall’approfondimento, dai pezzi di servizio, dall’essenza del giornalismo.
Potremmo dire immediatezza versus riflessione?
Direi un’informazione su richiesta contro una più ragionata.
Questa interazione tra lettore e testate, tra domanda e offerta ha però anche aspetti positivi…
Ma rischiosi. Qualche anno fa, quando cominciò il declino della carta stampata, negli Stati Uniti alcune testate tentarono un esperimento, chiedendo ai lettori di proporre inchieste giornalistiche di loro interesse. Siete preoccupati per un corso d’acqua inquinato dalle industrie? Noi facciamo l’inchiesta su quello. Anche in Italia ci fu chi tentò questa strada. Ma subito emerse il tallone di Achille, ne scrissero autorevoli giornalisti dicendo una cosa ovvia: «Si rischia la strumentalizzazione». In effetti qualcuno molto solido economicamente, come un’azienda, avrebbe potuto commissionare inchieste ad hoc e promuovere, estremizzo, una sorta di killeraggio giornalistico contro un’impresa concorrente. Così quell’esperimento fu abbandonato. Oggi una cosa simile si verifica quando un certo numero di persone digita lo stesso argomento sui motori di ricerca: immediatamente, i siti di news producono articoli che soddisfano quel tipo di richiesta e li mettono online. Fin qui, tutto bene: come dicevamo si tratta di assecondare il cosiddetto mercato. Ma qualcuno si è mai chiesto cosa succederebbe se si mettessero in moto le gigantesche fabbriche di troll che abbiamo visto in azione, per esempio, in occasione delle elezioni Usa o durante altre campagne elettorali? Se quelle macchine del consenso digitassero la stessa ricerca su un motore dando l’impressione che il mercato chiede pezzi su quel dato argomento, cosa accadrebbe? Non sarebbe un modo per orientare l’informazione? In fondo succede già sui social: è possibile indirizzare “like” o “mi piace” sui profili per far credere che il titolare è particolarmente seguito da un folto pubblico. Ebbene, se questo accadesse con l’informazione saremmo davanti allo stesso fenomeno che consigliò, molti anni fa, di sospendere la pratica delle inchieste su commissione per la carta stampata.
Come difendersi?
Quel che si deve fare è fornire un prodotto alternativo ragionato, che è quello della carta stampata: un presidio di affidabilità. Per il resto si può solo fare appello al buon
senso, alla cultura, all’obiettività e alla capacità di analisi del lettore. Anche se una certa fascia di pubblico non vede l’ora di sentirsi dire quello che pensa. E altrettante persone sono lì, pronte a farlo per accrescere il proprio consenso e orientare in qualche modo le idee.
Ci sarà comunque anche qualcosa di buono nel mondo del web. Al giornalismo sta fornendo strumenti e linguaggi sofisticati e molto efficaci per raccontare meglio la realtà, i fatti…
Il web è un mondo importantissimo che riduce le distanze, anche sociali. Dove un giovane studente può porre una domanda a un capo di partito utilizzando i social e sperare di ricevere una risposta. Ma dove è richiesta un’attenzione maggiore. Da quando sono diventato direttore ho ampliato tantissimo le possibilità di manovra del nostro sito. Ho cominciato a dirottare online tre o quattro dei pezzi migliori del giornale già alle 21:30 della sera prima, ovviamente chiusi e a pagamento, per gli abbonati. E l’ho fatto proprio perché sono convinto che il pubblico della carta stampata non guardi il sito la sera prima.
Del resto il web e la comunicazione digitale, in questi tempi di Covid-19, si sono trasformati in un’ancora di salvezza…
Quando sono diventato direttore, lo scorso luglio, eravamo da poco usciti dal lockdown, la redazione era ancora chiusa, e ho dovuto tenere la mia relazione programmatica in videoconferenza. Le piattaforme digitali sono diventate un importante spazio di confronto, tant’è che stiamo organizzando un webinar di peso ogni mese, coinvolgendo ministri, manager, imprese. La nostra redazione Internet realizza dirette Facebook, abbiamo uno studio per le riprese televisive, tutti i cronisti sono dotati di smartphone di ultimissima generazione per i video. Insomma, siamo ben consapevoli delle potenzialità del digitale e attenti a sfruttarle al meglio.
Quanto conta avere un editore forte alle spalle?
Quello che conta davvero è avere alle spalle un editore che ci crede. Che crede nel giornale, lo vive quotidianamente e lo interpreta come una grande famiglia. E la dottoressa Azzurra Caltagirone è tutto questo. Per il resto, noi ragioniamo sempre in termini di sostenibilità economica, sia nella composizione della redazione che nella scelta dei servizi. Ti potrei fare un esempio parlando degli editoriali del giornale, che per me sono un punto di orgoglio perché anche quegli articoli che solitamente sono riservati a una fascia ristretta di lettori negli ultimi mesi hanno fatto crescere gli abbonamenti sul web. Sono pezzi scelti nei temi e titolati con cura, scritti da professionisti di prim’ordine e da firme di pregio come Romano Prodi, Carlo Nordio, Luca Ricolfi, Vittorio Emanuele Parsi e tanti altri ancora.
Sei direttore da appena sei mesi: qual è la “tua” prima pagina, quella a cui sei più affezionato?
Senza dubbio quella dedicata alla tragica scomparsa di Gigi Proietti, al quale ci legava un affetto particolare. Aveva collaborato con noi impersonando in una fiction proprio un giornalista del Messaggero, ed era legato in modo particolare a una nostra collega, scomparsa qualche anno fa, Rita Sala (curatrice delle pagine di spettacolo, teatro e cultura, ndr). Proietti diceva spesso – ce lo ha raccontato una persona del suo entourage – che alla sua morte gli sarebbe piaciuto finire in prima pagina sul Messaggero. Ed era ovvio che sarebbe accaduto. Il “suo giornale non poteva che accontentarlo con uno sforzo particolare, per dare un giusto riconoscimento a un artista che ha contribuito a raccontare la Capitale in tutto il mondo.
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