Sono 614mila le biciclette e i monopattini acquistati dagli italiani approfittando del bonus stanziato dal ministero per l’Ambiente con l’obiettivo di incentivare il trasporto sostenibile nelle città. Il dato fotografa il cambio di marcia (o un’assistenza alla pedalata per i più moderni) che istituzioni e cittadini stanno imprimendo alla mobilità verde. Una tendenza già in atto prima che arrivasse il Covid-19 a stravolgere la vita di tutti e che ha fatto uno scatto in avanti proprio dopo il lockdown: secondo l’Osservatorio Continental sulla Mobilità e Sicurezza 2020, infatti, tre italiani su dieci (34,3%) dichiarano di aver cambiato le proprie abitudini di mobilità a causa della pandemia. E se la svolta green è uno dei pochi, pochissimi, aspetti positivi che questo periodo nefasto potrebbe lasciarci in eredità, come si evolveranno nel 2021 la mobilità a impatto zero e, più in generale, le nostre modalità di spostamento?

 

Senza avere la presunzione di leggere nella sfera di cristallo, abbiamo posto queste domande a Massimo Gaspardo Moro, consigliere nazionale della Fiab, federazione attiva da oltre 30 anni nella promozione delle due ruote che nel 2019 ha cambiato denominazione, da Amici della Bicicletta ad Ambiente e Bicicletta, a dimostrazione di un ulteriore interesse per la salvaguardia del Pianeta.

Massimo Gaspardo Moro, consigliere nazionale della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta

Massimo Gaspardo Moro, consigliere nazionale della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta

Non c’è futuro senza radici. Quindi, guardiamo innanzitutto al passato. Quale direzione stava prendendo lo sviluppo della mobilità verde in Italia?

Già prima che esplodesse la pandemia c’erano segnali positivi per la bicicletta, con una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e lo stanziamento di fondi importanti per lo sviluppo di reti ciclabili come la VenTo, da Venezia a Torino. Ed era aumentata l’attenzione anche da parte di Trenitalia e RFI, con cui la Fiab collabora da tempo, con ottimi risultati: i nuovissimi treni Rock e Pop, ormai in circolazione in diverse regioni italiane, hanno segnato un notevole passo in avanti non solo per il comfort dei passeggeri ma anche per i ciclisti che vogliono salire a bordo per poi proseguire in sella. I segnali, dunque, erano buonissimi, poi è arrivato il Covid-19 e sono entrati in gioco altri fattori.

 

Cosa è successo?

Si è ridotta la congestione del traffico automobilistico, che in seguito è aumentato ma in quantità minore rispetto al passato. La diffusione dello smart working ha ridotto gli spostamenti dei pendolari e incrementato l’uso quotidiano della bici. Di negativo c’è stato un calo nell’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico per la difficoltà di mantenere il distanziamento fisico a vantaggio dell’auto privata. Questo trend è preoccupante perché il mix modale nelle nostre città è molto sbilanciato verso le quattro ruote rispetto ad altri centri europei, come riportato già a ottobre dal Rapporto Osmm (Optimal Sustainable Mobility Mix).

Bici su pista ciclabile © ARochau/AdobeStock

È cambiato anche l’atteggiamento degli italiani?

Gli abitanti delle città hanno sviluppato maggiore sensibilità per la qualità dell’ambiente e la mobilità sostenibile e chiedono a gran forza un ambiente urbano più green. Prima eravamo abituati a vivere in centri poco ospitali e a scappare via appena possibile con l’auto. La pandemia, invece, ci ha costretti a rimanere più tempo in città e ci siamo resi conto che quegli spazi non sempre sono i più adatti per andare in giro con i bambini, fare movimento e respirare aria pulita. Il Covid-19 ha spinto molte persone a riconsiderare la bicicletta non solo nel tempo libero, ma anche per gli spostamenti casa-scuola o casa-lavoro. Certo ha influito anche il bonus del Governo, ma questa spinta si è un po’ scontrata con i limiti della situazione italiana: piste ciclabili incomplete e nodi di interscambio carenti.

 

Cosa possiamo aspettarci dal 2021?

I segnali che notiamo ci dicono che ancora per un po’ di tempo ci sarà un forte uso dell’auto privata e una limitazione nell’utilizzo dei mezzi pubblici. Ma abbiamo anche indicazioni positive: se da un lato la situazione delle ciclabili non è ancora ottimale, dall’altro sono previsti investimenti concreti per migliorarla. Per esempio, RFI ha profuso un grande impegno nello sviluppo dell’intermodalità treno+bici che si è concretizzato in un finanziamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per sviluppare i collegamenti tra sedi universitarie e stazioni, perché gli studenti sono i principali utilizzatori delle due ruote e del treno. Siamo quindi sulla buona strada. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare.

Quale?

L’emergenza da pandemia ha spinto il rinnovamento normativo che aspettavamo da anni per essere al passo con i Paesi europei. Le corsie per le biciclette, note anche come bike lane, il doppio senso ciclabile nelle strade a senso unico, le case avanzate – cioè lo spazio riservato ai ciclisti negli incroci regolati dai semafori – e le vie davanti alle scuole con accesso limitato o vietato alle auto fanno ormai parte del Codice della strada. Novità normative che avranno un impatto anche sulla sicurezza. Certo, perché abituano gli automobilisti a considerare i ciclisti come parte del traffico stradale. Quello che Fiab sostiene da anni, supportata dai dati, è che più bici ci sono in circolazione più è sicuro andare sulle due ruote. Quando viaggiamo all’estero, in Germania, Svizzera o Danimarca, ci accorgiamo che i conducenti delle auto sono quasi tutti anche ciclisti, perciò quando sono al volante hanno più rispetto per chi pedala.

 

A quali Paesi potremo ispirarci?

I casi ormai classici, come i centri spagnoli, belgi e danesi, hanno dimostrato che una progettazione finalizzata a incentivare l’uso della bici con l’accesso a cicloparcheggi anche nelle scuole e nelle aziende, alle piste ciclabili e alle stazioni ferroviarie aiuta davvero ad aumentare la quota di mobilità su due ruote. Non nel breve periodo, magari, ma in decenni. Eppure, più che all’estero, guarderei in casa nostra. Ci sono città come Rovigo, Padova, Verona, Bologna, Milano e Genova che hanno messo in atto le novità normative citate in precedenza prima ancora che entrassero nel Codice della strada. In Italia siamo un po’ in ritardo ma il percorso è giusto.

 

Secondo l’Onu, entro il 2050 più di sei miliardi di persone vivranno nelle aree metropolitane. L’attenzione generale è quindi rivolta all’urbanizzazione sostenibile. Eppure la pandemia e il lockdown, insieme allo smart working, hanno posto l’accento sulla deurbanizzazione. Avremo città più green ma meno affollate?

Questo è abbastanza difficile da prevedere, sicuramente ci saranno condizioni più favorevoli per scegliere di vivere fuori dalle mura urbane, ma credo che le città continueranno a esercitare forte attrazione.

Bici a Lucca © J.M. Image Factory/AdobeStock

Lucca

Il Manuale sulla mobilità urbana sostenibile, pubblicato a ottobre dalla Commissione economica per l’Europa dell’Onu, sostiene che le passeggiate a piedi e in bici devono essere sostenute in combinazione con altri mezzi di trasporto, in particolare quelli pubblici. Come si potrebbe migliorare l’integrazione con il treno?

Credo conti molto la comunicazione, a volte certe opportunità non sono percepite nel modo giusto da un’ampia platea. Se riusciamo a far capire a più persone possibili che prendere un treno e uscire dalla città è un bel modo di viaggiare, riusciremo ad agevolare questo cambio di abitudini. Muoversi sui binari è sicuramente una scelta green, piacevole e persino conveniente. Bisogna incrementare gli sforzi fatti finora per offrire un servizio sempre e ovunque all’altezza: tutte le volte in cui si offre un bel treno, confortevole e accessibile, anche per persone che hanno difficoltà legate a disabilità o all’età, il numero di viaggiatori aumenta. Me lo conferma anche un’esperienza personale.

 

Puoi raccontarcela?

Vivo a Torino e a settembre, quando si viaggiava quasi senza problemi, sono andato nel Delta del Po con il treno e la bici. Il viaggio è stato veramente bello, il treno puntualissimo e tutto ha funzionato bene. Come diciamo sempre noi della Fiab, le piste ciclabili hanno bisogno di appoggiarsi a una rete ferroviaria accessibile, capillare e moderna. Se riusciamo a mantenere e sviluppare queste condizioni, sempre più persone saranno spinte a provare quest’esperienza integrata.

Articolo tratto da La Freccia di gennaio 2021