Grande osservatore del genere umano, in particolare quello milanese, da cui trae spunto per le sue pennellate da narratore, sempre con ironia e con altrettanta delicata profondità. Enrico Bertolino, attore in teatro, brillante conduttore in televisione, formatore comportamentale nelle aziende e fondatore di Vida a Pititinga Onlus, nata per aiutare la comunità di Pititinga, in Brasile. Uomo poliedrico di fronte al quale l’empatia muove subito i suoi passi.
Momento difficile per il mondo dello spettacolo?
Il teatro non morirà mai. Dai tempi dell’antica Grecia ne ha passate tante: rivoluzioni, guerre, oppressioni, pandemie. Ma è sempre sopravvissuto, perché è fatto di maschere dietro alle quali ci sono le persone e, proprio a teatro, le persone scoprono forme di aggregazione che altri modelli non riescono a offrire. Quelle stesse forme che troviamo quando viaggiamo o quando semplicemente stiamo insieme. Quando tutto questo tornerà, il teatro sarà un elemento fondamentale.
Quanto ti manca il rapporto con il pubblico?
Molto, infatti ho realizzato pochissimi spettacoli sul web. Il teatro e lo streaming sono come il caviale e le uova di lompo: il primo è quello buono, il secondo si usa quando serve, ma non è la stessa cosa. Tra attori e pubblico ci deve essere quel qualcosa di cui Ugo Foscolo parlava nei Sepolcri: la corrispondenza di amorosi sensi. La difficoltà maggiore non sarà riaprire i teatri, ma fare in modo che la gente non abbia paura a tornarci.
Enrico Bertolino ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa © Gian Mattia D’Alberto/LaPresse
Nei tuoi spettacoli ami più la battuta o l’improvvisazione?
Nel teatro comico bisogna saper porgere le battute. Dario Fo, uno dei miei maestri, mi diceva: «Parli troppo veloce, devi fare delle pause senza averne paura. La battuta è come un’onda e l’onda è bella quando ha la risacca». Ovvero quel tempo che lasci al pubblico per metabolizzare, ridere e aspettare la prossima. Personalmente amo più la narrazione, lo storytelling umoristico, più alla Walter Chiari che alla Gino Bramieri. Oppure la straordinaria capacità di avvincere di Gigi Proietti. Ricordo un suo Socrate al Piccolo Teatro Strehler di Milano: per quattro minuti e mezzo non faceva che muovere la catena che lo teneva legato al letto prima del suicidio e il pubblico a bocca aperta, in attesa, neanche un colpo di tosse.
Da attento osservatore, come vedi oggi gli italiani?
All’inizio della prima ondata di Covid-19 eravamo motivati, tutti sui balconi a sventolare il tricolore e a picchiare le pignatte, amavamo gli infermieri. Oggi siamo meno euforici, più realisti e concreti, alcuni hanno perso il senno andando a sfregiare le auto dei medici. Gli italiani non sono esattamente coerenti, ma hanno una grande voglia di credere in quello che fanno. Siamo stati capaci di risorgere da situazioni complesse. Siamo un popolo di santi e navigatori: i santi li abbiamo tirati giù tutti, mentre i navigatori stanno a guardare. Ma siamo anche un popolo di viaggiatori e abbiamo tanta voglia di muoverci di nuovo.
Per andare dove?
A Napoli in treno, per soddisfare la curiosità di mia figlia di 12 anni, raccontandole in ogni stazione dove ci troviamo. Amo molto questa città, ci sono stato per una trasmissione televisiva: all’inizio avevo mille dubbi, dopo un paio di settimane non volevo più venire via. Un posto bellissimo, gente eccezionale, street food in piena notte. E poi, apri la finestra e vedi Ischia.
Il tuo rapporto con il treno?
Quando eravamo chiusi in casa, mi chiedevano cosa avrei voluto fare se si fosse potuto uscire. Rispondevo «Prendere un treno». E, per la prima volta, sedermi a bordo senza guardare telefono e computer, ma osservando fuori dal finestrino, come mi piaceva fare da bambino. Aprire la testa e nutrirmi delle immagini: gli alberi che fuggono via veloci e l’effetto dei raggi del sole che passano in mezzo e stordiscono un po’. Mi piacerebbe anche chiacchierare con la persona seduta accanto, come faceva in televisione il grande Nanni Loy, godendomi il meglio, ma anche il peggio, che ne viene fuori. Per farlo dobbiamo saper aspettare, una delle poche cose che questa pandemia ci ha insegnato, alla faccia dei milanesi frettolosi che sulla lapide al cimitero scrivono: «Si è portato troppo avanti con il lavoro».
Enrico Bertolino al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa (NA)
Un viaggio in treno che ti è rimasto dentro?
Molti. Bellissimi. Uno fino a Capo Palinuro (SA), in vacanza con gli amici, con l’ansia di scendere a prendere un panino e vedere il treno che se ne va mentre io resto giù, il mio incubo. Poi l’amore per quel treno che mi riportava a casa quando ero militare ad Abano Terme (PD). Salivo alla stazione Colli Euganei e appena partiva mi sentivo già a casa.
Mai scattata la scintilla dell’amore in carrozza?
Quella no, ma capita di provare empatia, vedere qualcuno leggere un libro che hai amato, trovare persone cortesi, gentili, e finire per restare in contatto scambiandosi il numero di telefono. Il bello di questo mezzo è poter parlare. In aereo non è cosi, vedi solo la nuca di chi hai davanti, guardi a fianco e il vicino, di solito, dorme. Una volta sul Frecciarossa ho viaggiato in Executive: che meraviglia, mi aspettavo arrivasse Carlo Cracco in persona con qualcosa di fresco. Negli anni ‘90, in treno, ho anche fatto un provino con Giorgio Gambino per il mio esordio al Maurizio Costanzo Show. Anche come formatore ho avuto un’esperienza emozionante: un kick off meeting di un’azienda nel Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, tra i vecchi locomotori.
A che punto della tua carriera ti senti?
Sempre agli esordi, e speriamo davvero di poter presto esordire di nuovo. Ecco, dovremmo rieducarci al palcoscenico, capire che ciò che funziona in televisione non necessariamente ha successo dal vivo. Viceversa, è più facile estrarre dal teatro spunti che hanno una buona riuscita in tv, come ha fatto Enrico Brignano. Grazie al piccolo schermo abbiamo scoperto anche un grande attore come Andrea Pennacchi. Il teatro presta talenti alla televisione, non cerchiamo di fare il contrario.
È più efficace la profondità o la leggerezza?
La leggerezza, una delle lezioni americane di Italo Calvino, che non vuol dire essere leggero, ma far sentire leggero chi ti ascolta. Lo si capisce lavorando sul web, dove alla gente non arriva più la fisicità, la mossa, ma la voce, il tono. L’ho capito grazie a una frase di George Bernard Shaw: «Con il tono giusto si può dire tutto, con quello sbagliato nulla, l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono». Questo assunto è alla base della mia carriera. Un concetto che vale per tutti, anche per far rispettare le regole ci vuole il tono giusto, perché l’alternativa sono le bastonate.
Il giornalista Andrea Radic in viaggio con Enrico Bertolino
Che con le donne e in amore si trasformano in un mazzo di fiori, giusto?
Di solito se non porti il mazzo di fiori arriva il bastone. Poi l’amore cambia dimensione, un tema che uso spesso nei miei spettacoli citando le parole di Zygmunt Bauman, filosofo scomparso quattro anni fa: «Nel futuro che ci attende, la velocità sarà molto più importante della durata». E chiudevo lo spettacolo commentando: «Ho letto la citazione di Bauman a mia moglie e lei mi ha risposto “Tu, nel dubbio, ascolta pure Bauman, ma continua con la durata, sennò con la velocità resti da solo”». Quando vai da Milano a Torino o a Bologna in 50 minuti, la velocità cambia anche la dimensione dell’amore, che non sarà solo più fatto di struggenti addii ma di veloci arrivederci. E poi Cupido, la freccia dell’amore, un simbolo del Frecciarossa: troppo “paraculo”.
Tua moglie è brasiliana, ci si innamora anche di ciò che una persona rappresenta?
Del suo modo di vivere, della sua gioia di farlo. L’amore con il tempo diventa complicità. Sarà retorico, ma quando incontri due persone anziane che si prendono cura l’una dell’altra, magari anche borbottando, vedi l’espressione dell’amore. Come quelle coppie di anziani stranieri, circa 200 anni in due, che salgono sui treni con valigie più grandi di loro. Se li aiuti e senti il peso dei bagagli, pensi ci abbiano rinchiuso un contorsionista. A San Valentino, visto che non potremo limonare nei cinema perché sono chiusi, lancio l’appello a limonare virtualmente. Facciamolo.
Stando a casa ti sei dilettato ai fornelli?
Per mia figlia, a casa sia pranzo che a cena con la didattica a distanza. In cucina sono creativo, faccio girare sempre gli stessi ingredienti per realizzare ricette diverse. Funziona un po’ come nella vita: mischia il carattere e le qualità che hai e sembrerà sempre un piatto differente.
Il consiglio di Enrico Bertolino per conquistare una donna?
Sono il meno adatto, potrei definirmi il “re di quadri” del “due di picche”. Ma un consiglio posso darlo: siate ironici solo quando vi è permesso. Ma soprattutto siate voi stessi perché, prima o poi, la sceneggiata cade e, dopo essersi conquistati, il tempo passa e arriva il momento di accettarsi. Questo è l’amore.
Articolo tratto da La Freccia