In cover, Antonella Lattanzi © Cristiano Gerbino

Una delle autrici più amate, tra quelle della nuova generazione. Il primo libro, Devozione, è stato un cult che le ha permesso di scoprire le diramazioni della scrittura e diventare sceneggiatrice di pellicole come Fiore di Claudio Giovannesi e Il campione di Leonardo D’Agostini. Poi, nel 2017, è arrivato il successo con il romanzo Una storia nera. Ora, Antonella Lattanzi torna in libreria con Questo giorno che incombe, che mixa più generi, dal thriller alla storia d’amore. E le ha già regalato la candidatura al Premio Strega 2021.

 

Come componi i tuoi romanzi?

Reputo importantissimo il tema, ma anche lo stile e la lingua con cui descrivere i personaggi e la loro psicologia. Per costruire un percorso che tenga il lettore avvinghiato alla storia. Attraverso una narrazione, fatta anche di suspence, si può raccontare il mondo. Shining di Stephen King, per esempio, mostra un padre che non riesce a essere un bravo genitore.

 

Che impatto ha avuto su di te questo scrittore?

Ho sempre letto i classici. Lui è stato il primo autore moderno che ho scoperto da sola. Da bambina, al supermercato, tra tanti libri, ho trovato Misery non deve morire. Per un periodo ho letto solo i suoi horror e thriller.

HarperCollins Italia, pp. 456 € 19,50

Che cosa racconti nel tuo ultimo lavoro, Questo giorno che incombe?

Parto da un’esperienza personale. Quando avevo otto mesi la mia famiglia si è trasferita nel condominio di un quartiere della periferia di Bari, dove era sparita una bambina. Una volta cresciuta, mio padre mi ha raccontato la verità. Ho capito allora tanti atteggiamenti che i miei genitori, e quelli dei miei amichetti, avevano avuto durante la nostra infanzia: un adulto ci controllava sempre e regnava una strana sensazione di ansia che non riuscivo a spiegarmi.

 

Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

La sensazione che il male esiste: quando la si vede con i propri occhi la paura diventa reale, sai che può succedere di nuovo.

 

Chi è la protagonista del libro?

Si chiama Francesca. Cambia città convinta che lì sarà libera e felice, mentre il nuovo condominio diventa una prigione e tira fuori temi come la solitudine, il sospetto e la difficoltà di essere madre.

 

Come strutturi le protagoniste femminili?

Ho sempre descritto personaggi diversi da me, ma per raccontarli cerco di trovare un punto di contatto con loro. Francesca è solare, ma quando il marito scompare, assorbito dal lavoro, si trova sola con due figlie in un appartamento dove accadono cose oscure. Così inizia a parlare con la casa. Un dialogo simile a quello che ho con me stessa, essendo io una tormentata. Nella creazione narrativa avere un lato oscuro può servire a far nascere personaggi più profondi.

Articolo tratto da La Freccia