In cover, Vera Gheno © Erika Fregolent

Sociolinguista, autrice, traduttrice e docente all’Università di Firenze. Ma più che una studiosa vecchio stampo, Vera Gheno sembra una ragazza ribelle: tatuaggi evidenti e vistosi occhiali neri da nerd.

 

Bella e affermata, ma lei ribatte: «Affermata non lo sono affatto, perché la mia carriera all’interno dell’università è stata sui generis e non ho un vero e proprio riconoscimento accademico. Mi occupo di divulgazione e sono percepita come "meno scientifica" di altri ricercatori».

Nel mondo accademico essere donna è penalizzante?

Sì, e lo dico con convinzione. Bisogna fare mediamente molta più fatica rispetto agli uomini. Quando si tratta di ammettere una donna in un ruolo importante si sente dire sempre: «Purché sia brava e competente». Come se questo non fosse un prerequisito necessario per chiunque. Una forma mentale sbagliata, di cui anche noi siamo corresponsabili.

Effequ, pp.227 €15

In che senso?

Ci adattiamo, ne prendiamo atto e accettiamo che sia normale dover dimostrare di più rispetto alle nostre controparti maschili.

 

Di questo parli approfonditamente nel libro Femminili singolari.

Si, tra l’altro scritto in treno. Nel testo faccio notare quanto siano spesso le donne per prime a non voler declinare al femminile la loro professione: avvocata, questora, ministra, sindaca, ferroviera. Sembra una questione di poco conto, ma è una spia di quanto ancora pensiamo di valere meno. «Ci ho messo tanto ad arrivare a questo titolo che non voglio svilirlo con una desinenza che ne indichi il genere», mi sento dire spesso. Eppure, non abbiamo problemi a chiamare con un nome femminile le professioniste che svolgono ruoli più comuni. È un'abitudine che va cambiata: la visione di noi stesse e del mondo viene condizionata dalle parole che usiamo e queste ora devono dipingere una realtà nuova, in cui siamo molto più presenti di prima.

La nostra è una società inclusiva?

Anche questo è un concetto normocentrico. Ispirata dallo scrittore e musicista Fabrizio Acanfora, preferisco parlare di una società in cui si cerchi di attuare la «convivenza delle differenze». Inclusività comporta l’idea che ci sia qualcuno di "normale" che, con un gesto di generosità, inserisca chi devia da quella normalità. La convivenza passa anche dalle parole.

Articolo tratto da La Freccia