In cover, Luca Barbareschi © Assunta Servello

Se c’è un personaggio che riesce sempre a risvegliare l’attenzione quello è Luca Barbareschi. Un uomo dalla carriera esplosiva: attore, regista, presentatore, produttore e direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma. Dopo aver sperimentato se stesso in ogni ruolo, torna in tv su Rai3 con In barba a tutto, talk show pop destinato alla seconda serata del lunedì, in onda da oggi. Al centro del format, interviste trasgressive, zeppe di autoironia e sense of humor, nello stile del conduttore che abbiamo imparato a conoscere con Il grande bluff su Canale 5 e Barbareschi Sciock su La7.

 

Cosa caratterizza il suo nuovo programma?

Una satira leggera con temi alti, importanti. Cercherò di provocare un po’ e rompere questa omertà del politically correct che addormenta il cervello del mondo.

 

Effettivamente la satira sembra mancare da un po’…

Manca da quando molti comici, invece di fare il loro lavoro, hanno cominciato a parlare di politica. La satira deve essere laica, anarchica. Se invece per dieci anni te la prendi con Giulio Andreotti e poi con Bettino Craxi, Silvio Berlusconi o Matteo Renzi non è satira.

 

E che cos’è?

Un gioco che, come dice la grande poetessa Cristina Campo, fa rima con nulla. Adesso tutto è sfociato nel pensiero politicamente corretto: si crea un tribunale morale su qualsiasi artista e questo rappresenta la fine, è l’imposizione di una lingua artificiale, la neolingua orwelliana. Anche il giornalismo ha perso la sua funzione dirompente. Io amo quando mi mettono in difficoltà, però è una chiave che non vedo mai nei talk italiani.

 

Come si traduce questo suo pensiero nel nuovo show?

Ci saranno diversi faccia a faccia molto veloci e divertenti. Vorrei giocare come fanno i colleghi americani, tipo il conduttore tv Jay Leno, con un filo d’ironia costante anche su temi delicati. O anche come ho visto fare in un programma tedesco molto divertente sul tema della disabilità: ho cercato di portarlo qui, ma nessuno ha voluto farlo.

Luca Barbareschi e Lucrezia Lante della Rovere nello spettacolo Skylight

Come mai?

Perché è uno show in cui le persone con disabilità si prendono in giro. Si tratta l’argomento con sensibilità ma senza il pietismo del finto dolore. Chi vive la disabilità ha elaborato la cosa e ci scherza sopra.

 

Che tipo di ospiti avrà?

Astronauti, scienziati, persone che hanno qualcosa da dire, ma anche spiritose. Il programma è posizionato dopo Report per intercettare un pubblico che ha ancora bisogno di elaborare. L’obiettivo è intervistare ministri o attori nel rispetto dei ruoli, nel tentativo di tirar fuori qualcosa e permettere all’ospite di esprimersi superando i cliché.

 

Lei è anche un uomo di teatro. Che ne pensa di questa chiusura per la pandemia?

Credo si debba sfruttare il Covid-19 come un’opportunità per resettare il sistema teatrale italiano che è fallito, morto, da 30 anni. Non crea più eccellenze e quando ci sono – come per esempio la Carrozzeria Orfeo – non hanno una residenza, le nomine delle direzioni artistiche sono politiche e non di merito, qualità o sapienza. Manca un sistema industriale alla base.

 

Quindi?

Invece di fare l’elemosina e cadere nella retorica del “non interrompere l’emozione”, prendiamo esempi virtuosi come quello tedesco, in cui il 2% del Pil va al teatro dal vivo. E chiediamoci come possiamo competere con la qualità interpretativa degli attori dello Schauspiel Stuttgart, che sanno alternare spettacoli di repertorio e novità. Quale continuità industriale può esserci se non si può programmare? All’estero stanno pensando già alla stagione 2023/2024. Bisogna investire in formazione, eccellenza degli spettacoli e continuità creativa.

 

Soluzioni per uscire dall’impasse?

Smettere di piangersi addosso e lavorare sull’industria dello spettacolo. La politica e le commissioni vanno istruite portando soluzioni ai problemi e non chiedendo solo soldi. Puntiamo sui più bravi, su chi sa fare questo mestiere.

 

Lei fa questo lavoro da anni e ha una carriera solida. Come se l’è costruita?

Con umiltà, passione e scegliendo collaboratori bravi.

Articolo tratto da La Freccia