In cover, Frontignano, frazione di Ussita (MC) © Luca Tombesi (C.A.S.A.)

«La gente di un posto non si orienta con le mappe, si orienta con le storie», scrive Wu Ming 2 per la guida “nonturistica” Ussita (Monti Sibillini), edita da Ediciclo Editore. Un testo dove scrittori, artisti, sociologi e fotografi dialogano con gli abitanti del paese per raccontare itinerari inediti capaci di rappresentare lo spirito più autentico del luogo.

 

In un momento in cui si parla sempre più spesso di ridisegnare finalmente la vocazione e il modello di sviluppo turistico del Paese all’insegna della responsabilità, della sostenibilità e della lentezza, Federico Bomba, presidente di Sineglossa, ha inaugurato una collana editoriale di guide definite, appunto, nonturistiche. Partendo da quella di Ussita, piccola cittadina in provincia di Macerata che, colpita dagli eventi sismici del 2016-2017, si è rialzata con fatica e orgoglio.

Un ussitano mentre legge la guida nonturistica © Cristiana Rubbio

Come mai avete scelto Ussita?

Mi sono avvicinato a questo paese quando mi sono chiesto quale contributo potessi dare alle comunità del centro Italia straziate dalle ferite del terremoto, come potevo aiutarle a ricostruirsi. Con questa domanda, grazie all’intuizione di Paolo Piacentini, scrittore e grande esperto di cammini, ho incontrato C.A.S.A. (Cosa Accade Se Abitiamo, ndr), un’associazione locale di ragazze e ragazzi che hanno scelto di tornare a vivere in montagna, o restarci dopo il sisma, per supportare i territori in modo costante. Attraverso questa realtà sono riuscito a conoscere Ussita da nonturista, in un’esperienza immersiva.

 

Che cosa significa?

È il passaggio a una dimensione più totalizzante dell’esperienza di viaggio, meno connessa all’acquisto di un servizio. È un cambio di paradigma nel modo di intendere il nostro tempo libero: più che da una raccolta di foto e dalla compilazione di una check list, il nonturista è mosso dal desiderio di conoscere meglio se stesso attraverso le scoperte che fa durante il percorso, seguendo le deviazioni disegnate dagli abitanti dei luoghi che visita.

Monte Bove Sud, vista verso Monte Vettore © Antonio Di Cecco

A Ussita quali sono gli itinerari meno noti e le digressioni indicate dalla gente del posto che avete scoperto?

Quelli nonturistici sono due e, al loro interno, includono diversi percorsi. Il primo, chiamato Vivere Qui, raccoglie i racconti degli abitanti sotto forma di punti di interesse incastonati in otto cammini ad anello, adatti a tutti. Un modo per coinvolgere il viaggiatore nella vita della comunità, guidandolo in un’esplorazione urbano-naturalistica dei luoghi che caratterizzano la nuova quotidianità̀ post sisma e la storia del territorio. Sono cammini che ripercorrono ricordi e memorie degli abitanti per scoprire le tante frazioni della cittadina. Ricalcano vecchie vie di comunicazione e intersecano il torrente Ussita tra mulini e vecchie centrali idroelettriche, fino a indagare lo sviluppo urbanistico delle frazioni più alte, tra modernità e abbandono, attraversando tracce e simboli a cui la comunità attribuisce i significati più inaspettati. Il secondo itinerario, Dalla valle alle vette, è lungo 30 chilometri ed è diviso in quattro parti, tra andata e ritorno: un’ascesa dal fondovalle al Monte Bove, appartenente alla zona settentrionale della catena dei Sibillini e simbolo del territorio. Si tratta di un’esperienza spirituale guidata dalle parole dello scrittore aquilano Alessandro Chiappanuvoli e accompagnata dai lavori del fotografo Antonio Di Cecco, in cui l’immaginazione del viaggiatore è l’elemento imprescindibile per dare corpo alle suggestioni e agli accadimenti storici narrati dalle parole e dalle immagini.

 

Cosa fare a Ussita? Come passare il tempo in maniera nonturistica?

Sono infinite le cose da scoprire, oltre a quelle che ho appena raccontato. Si può andare a trovare Mariano che ogni giorno lavora al trotificio di famiglia, lungo il torrente Ussita, laddove in passato venivano allevate le trote per il Papa. Mariano e suo padre vi racconteranno questa e altre storie, anche più recenti, come quella del progetto Life Trota, che ha consentito di conservare le ultime popolazioni esistenti di trota mediterranea, unico esemplare originario dell’Italia centro-meridionale. Al Bar due monti, poi, si fanno sempre incontri speciali: è il punto di ritrovo per chi ha voglia di scambiare due chiacchiere, anche con altri viaggiatori. Basta sedersi per un caffè o un aperitivo, per entrare, in breve, nel vivo della politica locale dell’Alto Nera. Salire al Valico delle Arette, uno dei punti più panoramici dei Sibillini, offre invece la possibilità di abbracciare l’intera valle con un unico sguardo. Da lassù si possono immaginare pastori e pecore transumanti che, a inizio estate, dal fondovalle si spostano in carovana verso le verdi praterie d’alta quota. Le mucche al pascolo di razza marchigiana sono di una famiglia di allevatori della valle e ogni giorno salgono e scendono dalla località di Vallestretta. Alzando lo sguardo al cielo, nelle ore più calde della giornata, si può incrociare la coppia di aquile reali che abita la parete nord del Monte Bove, intente nella caccia quotidiana. Ma, soprattutto, è suggestivo osservare come cambiano i luoghi e le persone in un territorio in forte mutamento, dove la ricostruzione sta finalmente ripartendo, insieme alle speranze degli abitanti.

Punto panoramico in località Le Arette © Mauro Pennacchietti

Che ruolo ha la cucina in questo tipo di ricettività? Quali le pietanze da assaggiare?

Molti territori si raccontano proprio tramite la loro tradizione culinaria, dietro alla quale spesso sono racchiusi tutti gli usi e i costumi che fanno di un luogo “quel” luogo. E Ussita non è sicuramente da meno, con una cucina legata ai sapori della terra e al lavoro in alta montagna. All’interno della guida non sono contenute delle vere e proprie ricette – quelle vanno scoperte direttamente sul campo – ma narrazioni che intrecciano gastronomia e personaggi. Le descrizioni dei sentieri sono intervallate da curiosità sulla vita di un tempo, come l’uso del “tascapane”, borsa nella quale i pastori si portavano dietro pane, formaggio e salumi. Un piatto tradizionale è sicuramente la pezzata: per utilizzare il pane secco si iniziava a cuocere una pecora nel brodo, lessata e a pezzi, poi venivano aggiunte le patate. Una preparazione lunga e un procedimento di accudimento dal sapore antico, a cui il pane faceva da base. Piatti semplici legati alla vita umile di un tempo, fatta di dolci come la fregnaccia o il torciglione, alcuni persino cotti al camino, o scandita dalla spremitura del mosto durante la vendemmia, come una bevanda piuttosto “spiritosa”, detta acquarello.

 

Tre parole con cui promuoveresti l’Italia attraverso il tuo nuovo approccio nonturistico?

Una storia vera.

Articolo tratto da La Freccia