Simone Moro durante una spedizione sul Manaslu, in Nepal © Archivio Simone Moro
Le montagne più alte della Terra, da scalare in inverno, sono la passione di Simone Moro. L’alpinista bergamasco, 53 anni, è l’unico uomo ad aver raggiunto nella stagione più fredda e senza ossigeno quattro cime di oltre ottomila metri, Shisha Pangma, Makalu, Gasherbrum II e Nanga Parbat, tutte appartenenti alla catena dell'Himalaya, conquistando record assoluti.
Sempre pronto ad accettare l’insuccesso e a ripartire ogni volta più forte di prima: «Le mie capacità sono nettamente inferiori rispetto alle difficoltà che ho incontrato in montagna. Accettarlo mi ha consentito di ragionare con la testa e non con il cuore e di sopravvivere ai miei sogni», ha dichiarato a fine febbraio dopo aver tentato per la terza volta di scalare in inverno il Manaslu, l’ottava vetta della Terra.
Ci riproverai?
Ho già in programma di farlo. Voglio arrivare i primi di dicembre nella valle dell’Everest, e acclimatarmi scalando qualche cima di seimila metri. Poi alla fine del mese o a inizio gennaio 2022 proverò per la quarta volta l’impresa su questa montagna.
Come è l’inverno a ottomila metri?
Pone tre problemi. Innanzitutto il freddo, perché non c’è mai un luogo dove riscaldarsi. Poi ti costringe alla pazienza, perché devi stare anche 15-20 giorni dentro la tenda ad aspettare una finestra di bel tempo per iniziare la scalata. Infine, ti obbliga all’autonomia, poiché in pochissimi possono venire ad aiutarti o a portarti i viveri.
Anche le normali attività quotidiane diventano difficili…
È vietato lamentarsi. Bisogna rimuovere dal vocabolario espressioni come “ho fame”, “ho freddo”, “quanto manca”. Nell’ultima spedizione non mi sono lavato per 51 giorni. Le salviettine umidificate con 40° C sottozero diventano dure come il cemento. Devi sciogliere la neve e usare un thermos di cinque litri se vuoi farti una doccia.
Simone Moro © Gianmarco Dodesini Valsecchi
E poi c’è sempre l’insuccesso da mettere in conto.
Certo, devi essere allenato a fallire. Le statistiche dicono che nell’85% delle spedizioni invernali non si riesce a raggiungere la vetta. Malgrado tutto, è affascinante: vedi le montagne com’erano mille anni fa, ti senti unesploratore.
Come stanno i ghiacciai?
Purtroppo, non bene. Non ci siamo accorti in tempo di quanto fosse rapido il loro scioglimento. Vado in Himalaya da 30 anni, ma negli ultimi 15 si è verificato un importante assottigliamento e, da un anno all’altro, metto i ramponi sempre più in alto anziché a cinquemila metri. I ghiacciai adesso sono solo sulle vette oltre i seimila.
Nelle tue spedizioni quali accorgimenti prendi per tutelare la natura?
Durante l’ultima ascensione eravamo in 15 al campo base, abbiamo prodotto energia elettrica usando i pannelli solari. E tutti i rifiuti, sia biologici sia compostabili, sono stati riportati a valle.
Cosa possiamo fare nel quotidiano per contrastare il cambiamento climatico?
Il pianeta può essere salvato solo modificando il nostro stile di vita. Ci stiamo lamentando invece di agire, facendo docce più brevi, abbassando il riscaldamento in casa, usando meno l’ascensore e muovendoci con mezzi non inquinanti. Se tutti iniziassimo ad avere queste piccole attenzioni, ci sarebbe uno stravolgimento planetario in favore dell’ambiente.
Il Covid-19 ci ha spinto a riscoprire la montagna?
La scorsa estate in tanti hanno scelto le nostre vette e quest’inverno c’è stato un boom nell’acquisto di racchette da neve e attrezzature per lo sci alpinismo, che permettono di esplorare la grande oasi di libertà che è la montagna.
Esce proprio in questi giorni il libro che hai scritto con la tua manager Marianna Zanatta, Il team invisibile, edito da Rizzoli.
Con Marianna siamo compagni di cordata da 20 anni. Abbiamo deciso di raccontare quello che c'è dietro a una spedizione in montagna, riflettendo su come affrontare le sfide del mondo che sta cambiando.
Articolo tratto da La Freccia