Una passione sfrenata per il suo mestiere, in cui crede profondamente e mette tutto l’impegno di cui è capace. «Non si è mai arrivati, si impara continuamente, si può e si deve crescere sempre e puntare allo spettacolo o al film che ti permette di lasciare qualcosa agli altri. Con quell’egoismo tutto particolare dell’attore che calca il palcoscenico come protagonista, ma per darsi e regalare emozioni al pubblico. Io voglio vincere». Ha carattere e volontà da vendere Maurizio Lombardi, che dal 10 gennaio è il cardinale Mario Assente in The New Pope, serie tv creata e diretta dal premio Oscar Paolo Sorrentino, in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv. Poi è al cinema nel Pinocchio di Matteo Garrone, in Tiger di Ronnie Sandahl, nell’ultimo film di Pif per un divertente cameo e nella seconda stagione di Riviera, nei panni di un mercante d’arte veneziano. Senza escludere un possibile ritorno a teatro in primavera. Siamo a bordo del Frecciarossa che da Roma, dove è impegnato sul set, ci porta a Firenze.

 

Come sarà The New Pope?

Vedremo due papi a confronto e, soprattutto, due splendidi attori magistralmente diretti, Jude Law e John Malkovich. Paolo Sorrentino ci tiene a sottolineare che non si tratta del seguito di The Young Pope, è una storia diversa, anche se, in qualche modo, ne è figlia. Ho girato delle scene meravigliose che mi hanno sorpreso sia nell’interpretarle che nel leggere la sceneggiatura. Una scrittura sontuosa, commovente, ho trovato il settimo episodio, presentato a Venezia, splendido anche nella visione. Una vera produzione internazionale con HBO, Canal Plus e Wildside di Lorenzo Mieli.

 

E tu torni nei panni di...

Del cardinale Mario Assente, che in questa serie entra a far parte dell’entourage del cardinale Angelo Voiello. Un ruolo pieno, che mi vede presente in tutti gli episodi.

 

Ti senti arrivato?

Non si arriva mai, un attore che arriva è un attore finito. O, come dice Ugo Chiti, «un attore comodo è un attore morto». Non puoi stare comodo nell’arte, la responsabilità è troppo grande. Devi esplorare i tuoi limiti e volerli superare. Prima o poi dalla tua bottega deve uscire quel pezzo come è successo a Benvenuto Cellini con il Perseo.

      

Riconosci la magia del cinema?

Totalmente. Ora sono sul set di una nuova serie, ci sono decine di persone,

alcuni omoni enormi, duri, sembrano gladiatori, ma quando li senti parlare di cinema hanno tutti la medesima luce negli occhi. È proprio una magia e come tale non te la spieghi: guardi in macchina e scatta.

 

La sensazione più bella sul set?

I momenti di grande commozione che si generano durante una scena, di una tale forza che ti scendono le lacrime…allora ti stoppano, rifanno il trucco, reciti ancora e ancora ti commuovi, e di nuovo sistemano il trucco. Ecco, quell’emozione provata per diverse ore è una sensazione che ti stanca, ma quando torni a casa, salti di gioia.

 

Il tuo rapporto con il viaggio?

Cinematografico (Maurizio guarda fuori dal finestrino scorrere fotogrammi ad alta velocità, ndr). Il finestrino è un fotogramma grandissimo che mostra paesaggi e sfondi. Il treno è cinema in movimento. Si creano momenti quasi intimi, ricordo un viaggio sul Frecciarossa durante il quale giocava l’Italia. Ci siamo ritrovati in 20, senza conoscerci, intorno a un iPad per seguire la partita. Poi tutti al bar a bere insieme. E poi, ti dico la verità, il treno è davvero la rappresentazione del nostro Paese, dalle littorine che portavano gente dal Sud al Nord fino a oggi. Sul treno ci si osserva, ci si ascolta, c’è tanta umanità, favorita anche dai vagoni open space.

 

Quando hai cominciato a viaggiare in treno?

Andavo a scuola a Firenze partendo da Pontassieve. Anche le prime tournée con l’Arca Azzurra di Ugo Chiti le facevo in treno. Da Firenze a Udine o Venezia, quanti viaggi, quanti incontri, alcuni bellissimi.

 

Colpi di fulmine?

Una volta sulla linea per Genova, complici le numerose gallerie, ci scappò un bacio. Finì subito, durò il tempo di un treno.

 

Come sei diventato attore?

A Pontassieve, dove sono nato e cresciuto, grazie a Giuliano, un signore che riuniva noi ragazzi al Circolino. Alla porta accanto abitava Alessandro Benvenuti. Io ero pischello e tutte le volte che lo vedevo uscire, caricare la macchina e partire per Roma, mi dicevo: «Voglio diventare come lui», ma non pensavo che l’avrei fatto davvero. Poi, durante i primi spettacoli per la parrocchia, mi venne a vedere il vescovo. Una ragazza bionda dai capelli lunghi mi disse: «Andiamo a San Casciano, al laboratorio teatrale di Ugo Chiti», e cominciò tutto, con Quattro bombe intasca. Ora sto tampinando Chiti perché voglio tornare a lavorare con lui, diretto da lui.

 

Sei partito dal teatro, ci tornerai?

Devo, assolutamente, per un attore è come i live per un musicista. Sul palco hai libertà, c’è il pubblico che vuole lo show, devi dare tutto te stesso, niente elucubrazioni mentali da pseudointellettuali, soltanto energia e forza. Un teatro da frontman come Gigi Proietti e Dario Fo, addirittura teatro-canzone come quello di Giorgio Gaber: canto, ballo e recitazione, uno spettacolo completo.

 

Quanto talento e quanta tecnica servono per essere attore?

Follia, quindi anarchia, e disciplina sono le due parole che regolano questo mestiere. L’attore è un folle, si mette costantemente in gioco, ma deve avere disciplina. Viaggia moltissimo, dorme in luoghi assurdi, raggiunge paesini di cui ignorava l’esistenza. Ma quando entra nel piccolo teatro di un piccolo paese e trova le persone che hanno scelto di venire a vederlo, lascia loro un messaggio e un pezzetto di sé. Si finisce di fare l’attore solo quando si muore veramente. L’epitaffio di uno dei più celebri histriones fu “sono morto tante volte, ma così bene mai”.

 

Tu sei mai morto?

Tante volte. Una grande morte, quasi hollywoodiana, in 1994: galleggiavo nel mare smeraldo della Sardegna. Ero io, niente controfigura, nuotavo con i droni che mi seguivano a 50 centimetri. Recitare è un fatto fisico, si fatica. Il corpo è importantissimo, tenerlo allenato è un dovere e allunga la carriera. Anche la curiosità è una fondamentale fonte d’ispirazione, chi la stimola di più sono i giovani. Come quelli che frequentano la mia Action class, la mia palestra dell’attore a Firenze, mi tengono aggiornato, mi danno la temperatura del gusto dei tempi contemporanei.

 

Vesti volentieri panni storici nei film in costume?

Vorrei girare un film di cappa e spada, con grandi mantelli e cappelli a tirare di spada come un dannato. Oppure un film di pirati, di abbordaggi... ma in Italia non li girano. O i western, pensa che meraviglia. Sorride, con ai piedi un paio di stivali anni ’70.