Una sfida da far tremare i polsi, tanto avvincente quanto ambiziosa, aprire un giornale ai giorni d’oggi. In piena crisi economica da pandemia sovrapposta a quella, ormai cronica, dell’editoria tradizionale.

 

A lanciare la sfida è stato Carlo De Benedetti, lasciata alle spalle Repubblica, affidando il compito di gestirla e vincerla a Stefano Feltri, 36 anni il 7 settembre. Feltri ha scritto per Il Foglio e Il Riformista ed è stato vicedirettore del Fatto Quotidiano dal 2015 al 2019, continuando poi a collaborarvi da Chicago dove, per poco meno di un anno, ha diretto il blog ProMarket.org dello Stigler Center, centro di ricerca guidato dal professor Luigi Zingales alla Booth School of Business della locale università. Ci incontriamo digitalmente, ciascuno nella sua redazione, com’è ormai d’uso di questi tempi.

 

Stefano, possiamo dire che avere alle spalle un imprenditore forte, se non è garanzia di successo, è un bel viatico per partire con il piede giusto?

Direi di sì. Grazie all’investimento di Carlo De Benedetti, per Domani abbiamo costituito da subito una redazione con 15 giornalisti tutti già formati, molto bravi e competenti, assunti con contratti regolari, che lavoreranno superando i modelli tradizionali, senza la classica divisione per servizi, gestendo ciascuno alcuni collaboratori esterni. E possiamo contare su un team di giornalisti d’inchiesta, delegati a un lavoro di approfondimento e agli scoop.

 

Quindi una bella e solida base…

Certo, se pensi che negli ultimi anni si era diffusa l’idea tra gli editori che i nuovi giornali dovessero avere meno giornalisti possibili, pagati il meno possibile, soprattutto per fare contenuti online gratuiti. Noi facciamo una cosa diversa.

 

Che però dovrà sostenersi economicamente…

La mia idea è che il giornalismo sia davvero un bene pubblico e come tutti i beni pubblici, lo dico da una prospettiva economica com’è nella mia formazione, è un bene che viene prodotto in quantità inferiori a quelle che sarebbero ottimali. Perché tutti ci guadagnano se c’è un buon giornalismo, ma pochi sono disposti a sostenerne il costo.

 

Quindi?

Noi cerchiamo di risolvere questo problema. Se alcune persone si fanno carico di piccoli costi possiamo ottenere un giornalismo che abbia un grande impatto pubblico e una sua indipendenza. La nostra idea è che il giornalismo è un contropotere e il successo di un giornale si misura da quanto riesce a migliorare la qualità del dibattito pubblico.

 

Con la sola vendita del giornale o i soli abbonamenti digitali pensi si riesca a sostenere i costi?

Noi ci proviamo, confidando anche in un assetto societario che è garanzia di indipendenza e solidità. Perché Domani nasce con una società per azioni, finanziata e controllata in questo momento da De Benedetti ma, superati i necessari tempi tecnici, avrà alle spalle una fondazione. Ed ecco l’idea del giornalismo come bene pubblico che viene gestito e finanziato per la collettività da una collettività. Per l’Italia è qualcosa di nuovo che riempie un campo lasciato libero da altre testate.

 

E non temete neppure la difficile congiuntura, soprattutto economica?

Per una coincidenza di tempi non del tutto casuale, nasciamo dopo o, meglio, durante una pandemia che ha dimostrato quanto enorme sia il bisogno di un’informazione di qualità, seria, poco concentrata sulle polemiche e molto sulla sostanza.

 

Insomma, dici che la qualità farà il resto? Ma le statistiche indicano che anche i quotidiani più blasonati e autorevoli sono in caduta libera.

Intanto il nostro sarà un giornale online e poi di carta. Ed è fondamentale dirlo in questo ordine, perché in Italia il web è ancora usato dagli editori come vetrina del loro prodotto principale, che resta di carta. Tutt’al più è il giornale di carta fruito in pdf.

 

Quindi il vostro business plan ha il web come suo centro di gravità.

Sì, e il sito avrà una parte gratuita e una a pagamento, per abbonati. Quello che devono offrire i giornalisti oggi è l’approfondimento, oppure l’inchiesta, e il giornale di carta sarà come il punto fermo di questo flusso.

 

Detto così non sembra un’idea del tutto nuova, sono tante le testate online con un paywall o alcuni contenuti free e altri a pagamento.

Ma noi vogliamo essere un giornale accogliente, sia con chi non ha mai letto i giornali sia con chi li ha letti ma non ci si ritrova più e vuole qualcosa di nuovo. Quindi, non metteremo niente che scoraggi il lettore, come i paywall che dopo tre righe ti bloccano. La gente deve trovare sempre una ragione per venire su Domani e l’idea è offrirle un menù gratuito che non cannibalizzi il lavoro giornalistico vero e proprio, e poi un’altra versione, veloce ma sostenibile. Abbiamo preso spunto da un sito americano di grande successo che si chiama Axios. È interamente gratuito perché si regge sulla pubblicità, noi invece vogliamo puntare sugli abbonamenti. Ma sappiamo anche che molta gente ha poco tempo e intendiamo offrirgli questa duplice opzione.

 

Spiegaci meglio.

Ogni articolo avrà due versioni. Una organizzata per punti, con tre bullet point, più o meno la quantità di testo che sta nello schermo di uno smartphone. Chi ha poco tempo o non è abbonato può farsi un’idea in pochissimi secondi. Se poi il lettore è interessato, si può abbonare e leggere gli articoli integrali. E saranno abbastanza lunghi, approfonditi, perché non è affatto vero che meno testo c’è più il lettore legge. Cose rapide e immediate si trovano ovunque, da Facebook a Twitter, ma se uno fa lo sforzo di pagare per un giornale deve trovare l’approfondimento e qualcosa che non conosce ancora.

 

Regola che ha ancor più peso sulla carta.

Certo, il nostro giornale di carta sarà di questo tipo. Uscirà sette giorni su sette, avrà un numero di pagine tra le 16 e le 20 e una scansione non per sezioni tradizionali ma per tipi di articoli: i fatti, le analisi e le idee. Con l’ambizione di dare un’agenda di priorità, invece che riproporre al lettore quello che ha già visto online.

 

E graficamente come sarà?

Molto pulito, elegante, senza quegli elementi aggiunti a contorno degli articoli che finiscono per distrarre il lettore. Niente boxini, schede, ammennicoli, immagini scontornate. Avremo grafici, ma non decorativi: saranno prodotti frutto del lavoro sui dati di un nostro giornalista che ha una formazione da economista. Sarà un giornale di articoli, da leggere e non soltanto da sfogliare. Il 15 settembre saremo online e su carta ma nel frattempo stiamo facendo una newsletter per oltre settemila iscritti e abbiamo già venduto circa cinquemila abbonamenti.

 

Torniamo sulla vostra missione. De Benedetti in un’intervista televisiva ha letto uno stralcio della lettera con la quale ti ha conferito l’incarico di direttore. Sembrava l’incipit di un programma politico…

Perché saremo un giornale politico, non vicino a un partito ma che vuole incidere sulla politica attraverso inchieste e analisi indipendenti, chiedendo conto a chiunque delle decisioni prese. Saremo un riferimento per chi cerca un giornale progressista o, come si direbbe in America, liberal. Con alcune precise priorità: ambiente, lavoro, salute e disuguaglianze. Con una linea editoriale che, forse per la prima volta in Italia, viene esplicitata e dichiarata. Una linea liberaldemocratica, attenta ai valori della democrazia e a quelli del pluralismo, critica verso tutti i poteri.

 

In cos’altro volete contraddistinguervi dalle altre testate?

Per cominciare guarderemo alle vicende globali con una prospettiva italiana e a quelle italiane con una prospettiva globale. Per uscire da quel provincialismo che ci porta a ritenere che quanto accade in Germania ci riguardi meno di quel che avviene

a Civitavecchia. Poi avremo le nostre inchieste con un pool di giornalisti molto bravi e la giornata riassunta in brevissimi articoli, con una spiegazione più ampia ma molto comprensibile del tema del giorno. E, nella sezione Analisi, offriremo sia i commenti tradizionali e le opinioni ma soprattutto un genere che si pratica poco nel giornalismo italiano: le news analysis.

 

Ossia?

Spesso tutti conoscono il fatto in sé, ma pochi e non sempre quel che davvero significa, la sua contestualizzazione e le conseguenze che comporta. Le nostre newsletter contengono già questi pezzi, e la gente che ci segue mostra di apprezzarli, perché ha molta fame di capire e approfondire e assai meno di leggere il pezzo di colore o di quelle spigolature che, se vuole, può trovare a piene mani sui social.

 

Ci sarà poi la terza pagina, la cultura?

Anche qui faremo qualcosa di diverso, più che commentare prodotti culturali altrui vorremmo produrne di nostri. Quindi non recensioni, con stelline, punteggi e suggerimenti su cosa guardare nel weekend ma pezzi letterari di scrittori come Jonathan Bazzi, Antonella Lattanzi, Daniele Mencarelli, Walter Siti. Articoli nei quali magari si parla anche di film e di libri ma creando percorsi e connessioni. Vogliamo riportare l’offerta giornalistica alla sua essenza, a qualcosa che interessi il lettore e non sia in funzione soltanto delle agenzie, degli uffici stampa o di altri input esterni.

 

Quali per esempio la pubblicità, che è una fonte di finanziamento in forte contrazione ma non da trascurare.

Il nostro modello di business punta a reggersi essenzialmente sugli abbonati. Abbonamenti digitali e il giornale in edicola. Cosa che, fatta in un certo modo, può essere ancora remunerativa. Poi avremo anche la pubblicità, certo, ma noi vogliamo dipendere dai lettori e non dagli inserzionisti.

 

Lettori quindi da coinvolgere, ingaggiare fino a creare una community, con eventi e iniziative ad hoc. Un po’ come stanno facendo tanti editori, creando un ecosistema complesso…

Sì, ma anche qui vogliamo tentare esperimenti nuovi. Per esempio, abbiamo creato un modello di inchieste che vengono proposte dai giornalisti freelance e poi sottoposte alla valutazione dei nostri lettori e abbonati. Una volta che gli abbonati hanno scelto i progetti, i giornalisti selezionati svolgono una specie di campagna di raccolta fondi sui nostri social per trovare chi finanzi le loro proposte: una parte dei soldi li mettono i lettori e il resto lo mette il giornale. Così i freelance hanno il budget per un serio lavoro giornalistico e i lettori un’informazione a cui tengono al punto da finanziarla direttamente. Faremo in modo che questi progetti si trasformino anche in eventi, sul territorio o in digitale, durante i quali si presentano i risultati di un’inchiesta che ha coinvolto i lettori fin dall’inizio.

 

Lettori, ma anche committenti e finanziatori.

Soprattutto persone che si avvicinano al giornale non per il nome della testata ma per un progetto specifico. Che magari, come accade per i temi ambientali, interessa una comunità ristretta che ha visto ferito il proprio territorio e cerca qualcuno che ne indaghi le ragioni e individui i responsabili. Storie locali pronte a diventare di interesse nazionale. Vogliamo essere un giornale orizzontale, più il punto di incontro di una community che semplicemente un prodotto da comprare.

 

Veniamo ai media. Oggi newsletter, ma già anche social media, domani sito, giornale di carta. Terreno fertile per altre sperimentazioni.

Sì, stiamo lavorando su progetti di podcast e su altre iniziative sia di prodotto sia di network. Su Twitter abbiamo già molto seguito ma il canale su cui punteremo sempre di più è Instagram. Il nostro obiettivo è diventare il giornale italiano più attivo su questo social, utilizzandolo non come vetrina ma come medium per raggiungere più persone in più modi. Stiamo già sperimentando strategie e linguaggi nuovi, come quiz a risposta multipla per veicolare informazioni attraverso una sorta di articoli interattivi. Oppure gli audiogram, cioè audio con un apparato video per trasmettere i contenuti di un pezzo giornalistico con un linguaggio diverso, integrando testo, immagine e video. Esercizio non meno nobile di scrivere un articolo di diecimila battute.

 

Che il giornalismo sia in perpetua mutazione è ormai un assioma. Anche se - e Stefano Feltri lo sa bene - i principi fondamentali restano immutabili, a garanzia di serietà, qualità e rispetto dei lettori.