In cover e apertura, Raoul Bova in Don Matteo - © Fabio Lovino

«Credo che un film o una serie debbano essere fonti di ispirazioni positive. Siamo sommersi da tante notizie negative, purtroppo, e come attore preferisco di gran lunga ruoli attraverso cui posso parlare di sentimenti e buone azioni». Che siano per il grande schermo o una prima serata tv, Raoul Bova sceglie solo progetti capaci di fare bene all’animo. Una consapevolezza maturata in oltre 30 anni di carriera, con scelte «fortunate e naturali», che oggi lo spinge a considerare le trame e i personaggi che interpreta per lasciare un messaggio morale a chi lo guarda. Questa filosofia si ritrova in tre lavori realizzati per il 2024: la serie I fantastici 5, in onda da gennaio su Canale 5, il film Pensati sexy di Michela Andreozzi, dal 12 febbraio su Prime Video e la 14esima stagione di Don Matteo, da fine marzo su Rai1.

 

Cominci l’anno con un’uscita al mese, ti consideri uno stacanovista?

Mi sento soprattutto fortunato, perché ho potuto lavorare in progetti così belli. È stata una combinazione di eventi che non sempre accade, perché a volte non ci sono le opportunità mentre in altri casi, soprattutto con l’avanzare dell’età, non ti offrono più ruoli in grado di entusiasmarti.

 

Nella serie I fantastici 5 interpreti un allenatore di atleti con disabilità. Com’è andata?

È una fiction molto ambiziosa e delicata, un’impresa anche un po’ rischiosa perché con certi temi cadere nello stereotipo, nella banalità o nel pietismo è facile. Ma grazie al continuo confronto con chi ha scritto la serie (Luca Bernabei e Massimo Gramellini, ndr) e con il Comitato italiano paralimpico si sono smarcate tante perplessità e dubbi. Ci siamo sentiti protetti da questa supervisione e per me è stata un’esperienza bellissima: ho visto un altro aspetto dello sport. Nella serie del 2011 Come un delfino ero già stato allenatore di una comunità di ragazzi con precedenti penali ma qui entriamo in un mondo diverso. Anche se il focus non è sulla disabilità ma sulla difficoltà di essere campione. A volte, infatti, si diventa arroganti e troppo sicuri di sé, e questo porta a perdere la concentrazione e a trasformare la competizione in un’ossessione. Mentre lo sport deve aiutare a sentirsi liberi e a superare gli ostacoli e le paure. E qui c’è un altro grande tema della serie rappresentato dal personaggio di Laura, interpretato da Chiara Bordi. Questa ragazza perde la gamba in un incidente stradale e viene ispirata da una campionessa paralimpica che la spinge a non chiudersi in se stessa ma le dà la forza per rialzarsi e perseguire un obiettivo. È un esempio positivo in grado di dimostrarle che la società può accogliere la sua disabilità. Alla fine, si dovrebbe fare sport principalmente per stare bene non perché forzati dai propri genitori, per diventare famosi o per fare soldi. 

Bova e Chiara Bordi nella serie I fantastici 5 - © Francesca Di Stefano

A te, da ex campione di nuoto, cosa ha insegnato lo sport?

Mi ha insegnato a vivere, a comportarmi bene con gli altri, ad ascoltare e a dare più importanza ai fatti che alle parole. E poi mi ha trasmesso il concetto di umiltà: in alcuni momenti mi sono sentito un campione e sono stato attorniato da tante persone, ma non dagli amici. Lì ho capito l’importanza di non sentirsi arrivati, di non essere arroganti e di vedere le persone per quello che sono. Mio padre ha sempre pensato che lo sport sia capace di salvare vite, perché toglie i giovani dalla strada e li allontana da tanti problemi che possono coinvolgerli. E io sono d’accordo.

 

In un’intervista hai dichiarato che quando gareggiavi eri sempre molto agitato e arrivavi ai blocchi di partenza già mentalmente sfinito. Ti senti così anche prima del ciak?

Una gara la prepari per sei o sette mesi e poi te la giochi in 30 secondi, un minuto al massimo. Quando reciti forse il primo giorno senti un po’ di ansia da prestazione ma poi hai comunque la possibilità di lavorare per molto tempo e trovare la serenità per affrontare le riprese senza il flagello della timidezza o dell’agitazione. Naturalmente, gli anni d’esperienza e quelli anagrafici insegnano a conoscere meglio se stessi: io tuttora sono timido, mi imbarazzo e posso avere dei blocchi ma ho capito che per me è normale e ora so come superarli.

 

Quindi, meglio la vita da attore o da sportivo?

Le due cose possono continuare in parallelo. Tutti i giorni, prima di andare sul set, faccio attività fisica e questo mi dà la carica e la giusta concentrazione e resistenza per affrontare la giornata. Quindi cinema e sport insieme, per me, sono l’ideale. Anche se quest’ultimo lo pratico in maniera amatoriale. Ma in futuro non è detto: potrei sempre tentare qualche gara master! (ride, ndr).

 

Partecipi spesso come ospite a varie trasmissioni tv. Cos’è cambiato negli anni? Oggi, purtroppo, c’è molta più aggressività. Un tempo ci si interfacciava con i critici, che magari scrivevano una pessima recensione al tuo film, ma almeno erano le persone deputate a farlo. Ora tutti hanno un’opinione e il più delle volte non positiva. Bisogna stare attenti a esporsi perché se dici una cosa che può avere più significati molto spesso viene interpretata in modo sbagliato. Molte critiche arrivano dai nuovi personaggi invitati in tv e dai social e poi ci sono i cosiddetti follower che si accodano. C’è questa orribile dinamica per cui si tende ad affossare il prossimo, e non riguarda solo personaggi famosi ma tocca anche i ragazzi e le ragazze a casa. 

Bova in una scena di Don Matteo - © Erika Kuenka

Passiamo alla serie Don Matteo, che ha chiuso la scorsa stagione con uno share da capogiro, circa il 30%, e circa sei milioni di spettatori. Ci sono grandi aspettative anche per la prossima?

Sì, ma se si lavora solo con l’idea dei numeri si finisce per vivere con l’ossessione di qualcosa. Io preferisco lavorare con passione: dare spazio alla voglia di curare le cose perché le amo e mi fa piacere farle con la giusta attenzione e dedizione. Meglio essere onesti con se stessi e con il pubblico, anche perché a volte gli ascolti sono semplici combinazioni fatte di congiunzioni astrali favorevoli o sfavorevoli.

 

Nella fiction interpreti Don Massimo. Che evoluzione ha avuto il personaggio?

È un prete con un passato da carabiniere. In cerca di giustizia, all’inizio la vede nell’uniforme ed entra nell’Arma. Ma poi decide di prendere i voti per soddisfare la stessa fame usando la fede. È un sacerdote che si mette in discussione, capace di interrogarsi sulconcetto del perdono perché non vuole semplicemente applicarlo ma comprenderlo. Puntata dopo puntata, caso dopo caso, continua la sua ricerca ed è sempre pronto ad ascoltare e ad aiutare il prossimo senza giudicare. Da questa stagione, poi, ci saranno dei nuovi ingressi nel cast: un capitano e un pubblico ministero (interpretati rispettivamente da Eugenio Mastrandrea e Gaia Messerklinger, ndr), e una mascotte della canonica: Bart, che ha il volto di Francesco Baffo, un bambino affetto dalla sindrome di Down che viene aiutato da Don Massimo perché il padre non può più occuparsene.

 

Nella scorsa stagione la voce fuori campo di Don Matteo, cioè Terence Hill, era sempre presente. In questi nuovi episodi ci sarà ancora?

La serie continua a chiamarsi Don Matteo, lui mi ha solo passato il testimone. Non sono la sostituzione del personaggio ma ne porto avanti l’identità. Ci sarà sempre un rimando a Don Matteo, o citazioni da cogliere in qualche gesto o frase molto divertente del maresciallo Cecchini, interpretato da Nino Frassica.

 

Terence Hill rifiutò di fare Rambo. Tu, invece, hai mai detto di no a un ruolo? Nella mia carriera è sempre stato tutto molto naturale, non c’è stato mai un rifiuto. Certo, dopo Piccolo grande amore mi arrivarono proposte molto simili e lì fu bravo il mio agente a dire alcuni no. Poi ho cominciato a lavorare costantemente e ho preso una direzione.

 

Parliamo del film Pensati sexy in uscita su Prime.

In questa commedia molto carina faccio una piccola parte. La protagonista Diana Del Bufalo è una sorta di Bridget Jones, una donna che non si sente bella, è molto intelligente ma poco considerata. Il mio personaggio parte come un uomo superficiale ma alla fine si innamora di lei e la spinge a tirare fuori la propria femminilità. 

Bova e Diana Del Bufalo in una scena del film Pensati sexy

Allenatore, poliziotto, prete: per l’Italia sei un buono. Hai interpretato il ruolo del cattivo solo in produzioni estere, come Avenging Angelo, con Anthony Quinn, Sylvester Stallone e Madeleine Stowe, e la serie Netflix La Reina del Sur. Ti piace essere l’antagonista?

Vivendo in un momento storico già abbastanza tumultuoso non ne sono affascinato. Con un po’ d’introspezione, magari, si può capire meglio come mai una persona è portata a compiere azioni malvagie e alcune cose prendono senso, perché non si nasce cattivo. Ma non mi piace quando i personaggi negativi vengono resi troppo affascinanti perché si rischia di contribuire alla mitizzazione dell’illegalità, come lo spaccio o la delinquenza. Mentre bisogna spiegare ai propri figli e ai giovani che è sbagliato e per certe cose c’è la galera. Certo, poi è giusto che un attore sperimenti ruoli diversi, nel mio caso mi sono tolto la soddisfazione di interpretare il cattivo nella Reina del Sur ma solo perché poi anche lui ha svelato di avere un cuore.

 

Il ruolo che ancora ti manca?

Mi piacerebbe recitare nuovamente in una pellicola come Alien contro Predator, che ho fatto nel 2004: un bel film d’avventura a contatto con la natura. Ma in un posto reale, in viaggio per il mondo, non in una sala con uno sfondo a cui viene poi applicata l’immagine. Diciamo che io, al contrario di Terence, un film come Rambo lo farei! 

 

Articolo tratto da La Freccia di febbraio 2024