In cover, il Cairo, Egitto (2012) © Josef Koudelka
Restituire un valore attuale alle rovine del passato. Questo l’ambizioso progetto del fotografo Josef Koudelka, in mostra, nell’unica tappa italiana, al museo dell’Ara Pacis di Roma fino al 29 agosto.
Dalle colonne romane ai templi greci, dalle sfingi egiziane ai resti di Pompei, oltre 100 spettacolari scatti in bianco e nero raccontano il viaggio dell’artista ceco. Intitolata Radici. Evidenza della storia, enigma della bellezza, l’esposizione è la testimonianza dei risultati ottenuti dopo 30 anni di lavoro nei più rappresentativi e importanti siti archeologici del Mediterraneo.
Amman, Giordania (2012) © Josef Koudelka
Immagini panoramiche, alcune di grande formato, realizzate tra Europa, Africa e Medio Oriente, accompagnano il visitatore in un’inedita e personalissima riflessione sull’antico, il paesaggio e la bellezza. Scenari senza tempo, ricchi di anima e fascino, caratterizzati da prospettive instabili, inaspettate, ambivalenti, ben rappresentano il lessico visuale e la cifra stilistica dell’artista ceco.
Rifuggendo la semplice illustrazione e documentazione delle rovine, Koudelka sceglie di dare respiro a ciò che resta delle antiche civiltà, rappresentandole in un’eterna tensione tra ciò che è visibile e ciò che resta nascosto, tra enigma ed evidenza.
Roma, Italia (2000) © Josef Koudelka
Non ama parlare della sua opera, ma preferisce lasciare lo spettatore libero davanti ai rettangoli che gli propone, perfettamente integrati nella cornice dell’Ara Pacis. Esposti accanto a uno dei monumenti più significativi della prima età imperiale, gli scatti acquistano ancora di più il valore di immagini memorabili, in un rapporto intenso di rimandi ed echi di una memoria che a Roma più che altrove diventa presente.
La retrospettiva è accompagnata dal volume Radici, pubblicato da Contrasto, dove il curatore francese Bernard Latarjet evidenzia la poetica dell’artista: «Le rovine fotografate da Koudelka sembravano l’allegoria di un’attualità di cui lui, con la sua arte, restituiva il senso nel nostro presente: sulle sponde del “mare comune” c’era tutta l’attualità della nascita dell’Europa, dei suoi valori fondanti, l’attualità dei rischi della loro morte. L’Europa delle rovine è quella in cui la mente fa dialogare la ragione e la fede, la libertà e la legge, quella di cui, per dirla come Jacques Berque, “portiamo dentro di noi le macerie ammucchiate e l’instancabile speranza”».
Articolo tratto da La Freccia
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