In apertura Untitled #92 (1981) © Cindy Sherman. Courtesy the artist and the Walker Art Center, Minneapolis
Le sue caleidoscopiche sperimentazioni radicali, innovative e deliberatamente provocatorie hanno segnato due decenni di avanguardia - dagli anni ‘60 agli ‘80 - e tracciato al tempo della Pop Art e del cinema underground un netto prima e dopo nella storia dell’arte. Andy Warhol, perno di tutto ciò che poteva essere sovvertito e stravolto nel campo della rappresentazione e creatività, è al centro della grande mostra con cui Palazzo Strozzi riapre a Firenze le sue sale, dopo il lunghissimo stop durante la pandemia.
American Art 1961-2001, a cura di Arturo Galansino e Vincenzo de Bellis, è un percorso narrativo che fino al 29 agosto ospita i big del contemporaneo made in Usa con una selezione di 80 capolavori provenienti dalle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis. Quarant’anni d’arte oltreoceano, compresa e compressa tra l’inizio della guerra del Vietnam e l’attacco alle Torri Gemelle del 2001: dalla Pop Art al Minimalismo, dalla Conceptual Artalla Pictures Generation fino alle più recenti ricerche del nuovo secolo fatte di linguaggi innovativi e interattivi.
Andy Warhol, Sixteen Jackies (1964). Minneapolis, Walker Art Center/Art Center Acquisition Fund 1968 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.
In mostra anche Sixteen Jackies (1964), tra le produzioni più iconiche e riconoscibili di Warhol, quattro immagini di Jackie Kennedy, ripetute e composte da foto in cui la first lady è ritratta prima e dopo l’assassinio del marito John. Le notissime serigrafie in serie, emblema del consumismo e della mercificazione dell’immagine, hanno dato in pasto al pubblico di massa volti iconici come quelli di Marilyn Monroe e Che Guevara, e anticipato di mezzo secolo la rappresentazione bulimica ed effimera proposta ora dai social.
Tra pittura, fotografia, video, scultura e installazioni, la corposa testimonianza della multiforme produzione artistica americana presente a Palazzo Strozzi punta all’indagine estetica e storiografica, ma inquadra anche temi senza tempo come il femminismo e le lotte per i diritti civili e sociali. Oltre a Warhol, di cui sono presenti 12 opere, le nove sezioni allestite ospitano, solo per citarne alcuni, maestri come Donald Judd, Robert Morris, John Baldessari, Sol LeWitt e grandi installazioni dedicate a Merce Cunningham, padre della danza contemporanea.
Black Power (1998) © Kerry James Marshall. Courtesy the artist and the Walker Art Center, Minneapolis
Bruce Nauman è presente con una video installazione oversize a quattro scene, Art Make-Up: No. 1 White, No.2 Pink, No. 3 Green, No. 4 Black, mentre con le opere di Cindy Sherman si indagano gli anni ‘70 dove la figura della donna, sulla scia dei movimenti femministi, è esplorata a partire dai ruoli stereotipati nel cinema di metà‘900.
Robert Mapplethorpe e Félix Gonzàlez-Torres incarnano, invece, la poetica degli Eighties, tra Aids e colori fluo, mentre nel decennio successivo spicca Matthew Barney.
Le più recenti ricerche del 2000 sono rappresentate dai lavori di Kerry James Marshall e Glenn Ligon, artisti di riferimento perla comunità afroamericana, e da nomi come Paul McCarthy e Mike Kelley, che analizzano in maniera originale l’identità americana affrontando, con taglio sociale e critico, i temi della discriminazione razziale, di cui la cronaca statunitense è purtroppo ancora piena.
L’installazione è esposta all’ADI Design Museum, dal 7 al 13 aprile.
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