In cover, Platon, Repubblica Democratica del Congo orientale (2012) Serie Infra. Collection Jack Shainman © Richard Mosse

Una luce domata, manipolata e mescolata a colori affascinanti con l’intento di indagare la complessità del pianeta. È la fotografia di Richard Mosse, che da oltre 20 anni si addentra nei luoghi più problematici del mondo per documentarne le sferzate dei conflitti, le razzie, l’inquinamento e le migrazioni.

 

Displaced, al Mast di Bologna fino al 19 settembre, curata da Urs Stahel, è la prima antologica dell’artista irlandese che riunisce 77 lavori di grande formato – oltre a video installazioni immersive – e mappa, con lucidità e cromie alterate, le ferite globali. Senza mai mostrarle in presa diretta. Dai primi lavori sulle rovine in Bosnia, Kosovo, nella Striscia di Gaza o lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti si passa ai progetti nella regione del Kivu Nord, in Congo, martoriata da genocidi e carestie, fino ai campi profughi in Grecia, Libano, Turchia e Berlino.

Sawmill, Jaci Paraná, Stato di Rondônia, Brasile (2020) Serie Tristes Tropiques. Courtesy of the artist and carlier Gebauer, Berlino/Madrid © Richard Mosse

Gli scatti nelle zone congolesi, raccolti nella sezione Infra, sono stati realizzati con Kodak Aerochrome, una pellicola obsoleta d’uso militare sensibile ai raggi infrarossi e capace di catturare la clorofilla della vegetazione. Così, le immagini appaiono alterate nei colori tanto che la foresta pluviale è tinta di rosa corallino o rosso carminio, mentre il panorama, maestosamente artificioso, è abitato da capanne, militari, teschi, fucili, persone in fuga.

 

Un contrasto tra arte e realtà che Mosse utilizza come a voler omettere la retorica, spesso volgare, del dolore e della morte mostrati senza filtro. Il rosa zuccherino emerge dalle foto, stordisce e confonde per poi svelare il dramma che nasconde. Grazie a questa tecnologia, il fotografo forza gli schemi rappresentativi tipici del reportage di guerra e proietta lo spettatore in una dimensione surreale. Sfoggia la tragedia in un teatro senza catarsi.

Mineral ship, fiume Crepori, Stato del Para, Brasile (2020) Serie Tristes Tropiques. Courtesy of the artist and carlier Gebauer, Berlino/Madrid © Richard Mosse

In Heat maps e nell’installazione video Incoming, invece, riflette sul fenomeno della migrazione di massa, sui confini chiusi e aperti, sul respingimento e sull’accoglienza, utilizzando, in entrambi i casi, una termocamera a infrarossi. Il risultato sono immagini scolpite nel nero in cui oggetti e soggetti appaiono iridescenti e astratti, quasi tratteggi a gesso.

 

Nella raccolta Ultra e nei lavori più recenti di Tristes Tropiques è protagonista la natura ritratta nelle sue peculiari varietà minate da cambiamenti climatici e disastri ambientali. Immersioni nel blu zaffiro, nel viola rilucente, nel rosso vivo e nell’arancio bruciato, con l’obiettivo puntato su piccoli e grandi dettagli della selva sudamericana, primi piani scattati a piante carnivore, licheni e orchidee e mappe naturalistiche realizzate con l’aiuto di droni per mostrare la deforestazione dell’Amazzonia.

 

Le foto di Mosse sono attraversate da una luce complessa e percorse da una costante tensione tra etica ed estetica, visibile e invisibile, sussurri e grida di dolore. Lavori acuti che svelano bellezza e disastro.

Articolo tratto da La Freccia