In cover, Horst P. Horst, Madame Bernon, corset by Detolle for Mainbocher (Paris, 1939), Courtesy Paci contemporary gallery © Horst Estate/Condé Nast

Un’ironica e dissacrante street photographer e un genio della fotografia di moda. Il Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino (in via delle Rosine 18), fino al 4 luglio, dedica una doppia personale a due maestri dell’obiettivo: Street Life, in onore di Lisette Model, e Style and Glamour per Horst P. Horst. Due punti di riferimento in due stili diversi, ispiratori di intere generazioni.

 

Nonostante l’avvicinamento al mondo dell’obiettivo inizi per entrambi a Parigi negli anni ‘30, il loro atteggiamento nei confronti dei soggetti ritratti è totalmente opposto: se per l’autrice austriaca diventano caricature, emblema di una società goffa e decadente, per l’esponente tedesco le proprie modelle rappresentano un’eleganza senza tempo, dai richiami classici e dalla bellezza statuaria. Anche per questo le mostre si presentano come una doppia occasione per scoprire due grandi protagonisti della storia del linguaggio fotografico in grado di rivelare la ricchezza culturale di un periodo.

Lisette Model, Coney Island Bather (New York, 1939-1941 circa), Courtesy MC2 Gallery © 2020 Estate of Lisette Model, National Gallery of Canada, Ottawa

La mostra dedicata a Lisette Model, a cura di Monica Poggi, è la prima antologica realizzata in Italia. Con una selezione di oltre 130 immagini, l’esposizione ripercorre la carriera dell’artista sottolineando l’importanza che ha avuto negli sviluppi della fotografia tra gli anni ‘50 e ‘60. Un’influenza che ha avuto un raggio d’azione molto vasto, anche grazie alla sua spiccata capacità nel cogliere con ironia e sfrontatezza gli aspetti più grotteschi della società americana del dopoguerra.

 

Nel periodo di maggiore crescita per gli Stati Uniti, dove tutto sembrava proteso verso il più roseo futuro, ha osato descrivere la realtà in tutte le sue forme, anche in quelle meno piacevoli. Le inquadrature ravvicinate, l’uso ricorrente del flash, i contrasti esasperati sono tutti espedienti per accentuare le imperfezioni dei corpi, gli abiti appariscenti, la gestualità sguaiata. Non c’è interazione fra Model e i suoi soggetti, colti tendenzialmente all’improvviso, mentre mangiano, cantano o gesticolano goffamente, trasformati dai suoi scatti in personaggi da osservare e indagare.

Horst P. Horst, Andy Warhol in his “Factory” (New York, 1983), Courtesy Horst Estate © Horst Estate/Condé Nast

Il percorso espositivo su Horst P. Horst, curato da Giangavino Pazzola, presenta invece 150 opere di vario formato in sequenza cronologica. Sessant’anni di carriera del fotografo di moda tedesco, dai primi successi con Vogue France nell’Europa tra le due guerre (1931-1939) all’affermazione negli States, dove nel 1943 ottiene la cittadinanza, fino al termine del suo percorso professionale negli anni ‘80. Le diverse sezioni si articolano in maniera tale da sottolineare alcuni punti salienti della sua produzione: il legame con l’arte classica, che tuttavia non esclude le influenze delle avanguardie, e l’indagine visiva sull’armonia e l’eleganza della figura umana, impreziosita dalla perfetta padronanza dell’illuminazione della scena.

 

C’è poi la proficua e duratura collaborazione con la rivista Vogue, per la quale il fotografo ha firmato decine di copertine e ritratti di personaggi della moda e dell’arte, spesso ambientati nelle proprie dimore. Infine, spazio alle opere realizzate durante la fase parigina e quella newyorchese, periodi influenzati dal romanticismo e dal surrealismo, durante i quali realizza scatti iconici come Mainbocher Corset (Parigi, 1939) e Hand, Hands (New York, 1941).

 

A fare da trait d’union troviamo le sorprendenti immagini d’interni realizzate a partire dagli anni ‘40 e divenute presto una delle occupazioni principali di Horst, anche grazie a Diana Vreeland, direttrice di Vogue dal 1962 al 1972, che gli affida diversi servizi su case e giardini di artisti e celebrità, come quelli che ritraggono Andy Warhol nella sua Factory (New York, 1983) o Marella Agnelli nella tenuta di Villar Perosa (Torino, 1967).

Articolo tratto da La Freccia