In apertura Giovanni Falcone con la sua scorta © Gerard Fouet/GettyImages
Ci sono delle date, nella storia delle nazioni, che rappresentano fratture. Sparti acque. Punti di non ritorno. Il 23 maggio 1992, per l’Italia, è una di quelle. Un taglio impresso sul tessuto civile che, anche a distanza di 30 anni, lascia in vista i faticosi rammendi. In occasione della ricorrenza della strage di Capaci - dove, sul tratto autostradale poco lontano da Palermo, persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro - lo scrittore Roberto Saviano ha scelto di rendere omaggio all’icona della lotta alla mafia con il libro Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo.
Ascolta il podcast a cura di Aldo Massimi
«Sono nato nel ‘79, quel giorno avevo solo 12 anni, quasi 13. Ricordo mia madre e mia zia davanti alla televisione con le mani sul volto. Iniziavano i primi caldi e, dalle finestre aperte del quartiere, sentivo che le trasmissioni erano state interrotte da edizioni straordinarie del telegiornale. Percepivo che era successo qualcosa di grave, avvertivo un senso di ansia, ma non chiesi nulla. Mi fu spiegato tutto solo in un secondo momento».
Cosa ha rappresentato il 23 maggio 1992 per te?
Potrei dire che lì finisce la mia infanzia, collegando Capaci all’omicidio di don Peppe Diana due anni dopo, a Casal di Principe, nel Casertano, territorio dove sono cresciuto. Forse è solo una riflessione post accadimento un po’ eccessiva, ma certo quei due avvenimenti cambiarono lo sguardo di quel ragazzino sulla realtà che lo circondava.
Roberto Saviano © Mattia Venturi
Che ruolo ha avuto la figura di Falcone nella tua formazione?
Fondamentale, per il suo approccio metodologico e il suo modo di osservare le cose. Ma soprattutto la sua morte ha lasciato, in me adolescente, una traccia indelebile sulla possibilità concreta di poter cambiare le cose. Lo so che è paradossale, ma questo è stato il lascito di Capaci, per me e per moltissimi altri giovani di allora.
Hai mai avuto la tentazione di fare il magistrato?
No, ho sempre pensato di fare lo scrittore.
Come ti sei avvicinato alla sua vita per questo tuo ultimo lavoro?
Con un senso di gratitudine. Volevo ricostruire la sua storia, per questo ho scelto la forma del romanzo. Non mi interessava comunicare delle informazioni. Il mio obiettivo era avvicinarlo alle persone attraverso il racconto del suo quotidiano, cercando di essere più rigoroso possibile.
Che metodo di lavoro hai seguito per scavare dentro una vita già così scandagliata?
Ho provato a dipanare storie complesse per renderle accessibili. A raccontare il rapporto con i suoi maestri, la moglie, gli amici, i sentimenti, il senso di solitudine e la scelta del coraggio. Perché il coraggio è una scelta, non è qualcosa di connaturato alla nostra nascita. Sì, è vero, la figura di Falcone la conoscono tutti, ma in realtà la maggior parte delle persone ne conosce solo i fatti salienti: il maxi processo e l’epilogo di Capaci. Non si ha idea della storia incredibile e inedita che c’è dietro.
Da quanto tempo lavoravi su questo libro?
Cinque anni fa ha iniziato a prendere corpo l’idea di dare una linearità narrativa a una vita così complessa. Poi mi sono accorto che non sarei riuscito a chiuderlo in breve tempo e, alla fine, mi sono dato come scadenza il trentennale.
"Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo" di Roberto Saviano, edito da Bompiani, pp. 512 € 24
Nella tua ricerca hai ritrovato un’immagine aderente a quella che già avevi?
Sì, sicuramente. Il Falcone che ho indagato risponde all’idea che mi ero fatto di lui, anche se ho scoperto degli aspetti sorprendenti, come alcuni tratti di ingenuità, se vogliamo chiamarla così. Era convinto, per esempio, che da Roma avrebbe potuto guidare l’assalto finale alla criminalità mafiosa e alle alleanze politiche. Pensava fermamente che glielo avrebbero lasciato fare, lontano da Palermo, che sarebbe bastato il suo rigore come prova oggettiva. Del resto, se non fosse stato ammazzato, molti che oggi lo piangano probabilmente avrebbero insinuato su di lui e sul suo operato.
Ti chiedi mai quale piega avrebbe preso la storia d’Italia se fosse stato sventato l’attentato?
Continuamente. Temo che il fango che già gli avevano gettato addosso avrebbe finito per sommergerlo. Ma almeno sarebbe stato vivo e avrebbe potuto reagire.
Trent’anni dopo, quali sono le posizioni in campo tra mafia e Stato, rispetto al ‘92?
È mutato tutto. Cosa nostra è un’organizzazione profondamente in crisi, mentre ‘ndrangheta, camorra, e mafia foggiana sono più forti di allora. Sono cambiate le leggi e c’è una consapevolezza del fenomeno che all’epoca non c’era. Purtroppo, va detto anche che il tema della criminalità è scomparso dal dibattito pubblico. E la mafia resta l’economia più florida del Paese.
C’è la possibilità di un’evoluzione del testo in un reading teatrale?
Ci sto pensando, me lo stanno chiedendo in molti. Vediamo.
E Roberto Saviano, 15 anni dopo Gomorra, come immagina il suo futuro?
Libero. E a Napoli.
Articolo tratto da La Freccia
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