Foto © Gianmarco Chieregato
Solare, energica, bellissima, curiosa e attenta. Natasha Stefanenko ama il mare, tanto da aver scelto di viverci: «L’ho visto la prima volta a 17 anni, un’emozione indescrivibile, mi mancava il fiato, avevo nuotato solo in una piscina di 25 metri e già mi sembrava immensa». Ama la sua famiglia, unita e felice, a cominciare dalla figlia Sasha: «Ho scoperto moltissimo di lei partecipando insieme a Pechino Express. È una motivatrice, stratega e sensibile. Da lei ho imparato e imparo molto, mi rende la mamma migliore del mondo». E poi il marito Luca, con cui sta insieme da 30 anni: «Ci siamo conosciuti sulle passerelle, era modello anche lui, ho pensato che fosse il classico bello con poco cervello ma quando l’ho visto nel backstage che leggeva il Codice civile, perché studiava Giurisprudenza, mi ha colpito».
Ma il primo uomo di cui si è innamorata perdutamente è suo papà Dmitriy, ingegnere nucleare: «Il mio eroe, bello da morire, da bambina volevo sposarlo. Avevo sei anni quando, passando i controlli per entrare nella nostra città, mi faceva recitare una poesia o ballare, d’accordo con i militari di guardia, rendendo quel momento del tutto naturale. Ricordo l’ansia di cantare bene un brano imparato a scuola mentre lui faceva l’occhiolino al militare armato di kalashnikov che faticava a restare serio» (ride con gli occhi pieni di affetto, ndr). L’ingegner Natasha Stefanenko è infatti cresciuta a Sverdlovsk-45, una città segreta in quella che all’epoca era l’Unione Sovietica, dove gli scienziati studiavano l’uranio per le armi nucleari.
Cosa ha significato per te vivere sotto controllo?
Ero in una realtà assurda, con moltissimi militari e confinata dal filo spinato, ma per me è stata una ricchezza. Con il senno di poi penso di averci anche guadagnato. Mi sentivo protetta e sicura, provavo più ansia quando ero a Mosca. Può sembrare inquietante ma ho vissuto un’infanzia felice: ero la bambina più contenta del mondo grazie all’amore che la mia famiglia mi ha sempre regalato e alla capacità di mio padre di sdrammatizzare anche nelle situazioni più difficili. Mi divertivo sempre con lui. Una volta era in televisione per un’intervista in diretta, io lo guardavo seduta sul divano e lo salutavo convinta che mi vedesse. Tornato a casa mi disse: «Ti ho vista sul divano che mi salutavi». E io ci ho creduto per anni. Tanto che, passando davanti al televisore, se qualcuno avesse detto buonasera io avrei risposto. E se fossi passata davanti alla tv in pigiama avrei chiesto scusa. Insomma, grazie a papà ho il ritmo comico che mi ha permesso di fare diversi programmi in televisione. L’autoironia è sempre stata una dote di famiglia.
Nel 1992 sei arrivata in Italia e sei entrata davvero in quella televisione con cui parlavi da piccola.
Una casualità, non credevo che sarebbe accaduto. Vinsi un concorso di bellezza e venni in Italia per fare la modella, ma pensavo che sarebbe durato poco. Mi dicevo: «Sono una ragazza di contenuto, non adatta a una vita frivola da bellona». Poi, una sera, ero a cena nel ristorante La Risacca, a Milano, e il regista Beppe Recchia mi propose di condurre il programma La grande sfida insieme a Gerry Scotti, su Canale 5. Non ci credetti, pensai al solito “provolone” che si faceva avanti. Invece, era tutto molto serio ed esordii senza conoscere una parola di italiano, dicevo solo «da» (sì in russo, ndr) e la cosa faceva molto ridere. Non mi bastava, mi sentivo in imbarazzo, così ho imparato l’italiano con l’aiuto della mia amica Rosalba e ho cominciato a rispondere a Gerry. Da lì, sono rimasta in Italia: adesso la amo, dico sempre che ho due cuori, uno russo e uno italiano.
Quando ti poni un obiettivo sei determinata?
Sarà la scuola russa, forse fin troppo rigida, ma ti insegnano a volere di più e questo mi è rimasto.
La tua vita sembra un film, infatti è da pochissimo uscito per Mondadori il tuo primo romanzo ispirato a quel periodo, Ritorno nella città senza nome.
Sì, è ambientato tra il 1990 e il ‘92, gli anni più difficili, duri e intensi nella mia vita e in quella del Paese. Li ho scelti an che per far capire cosa pensasse la gente, cosa provasse, per far conoscere il popolo russo. Non è un libro scritto di getto: da dieci anni prendo appunti, scrivo le mie sensazioni e i ricordi di quanto ho vissuto. Poteva essere un’autobiografia ma ho pensato che non l’avrebbe letta nessuno. Così ho scelto di scrivere un romanzo quasi thriller, lasciando libera la mia fantasia. Sono molto soddisfatta ed emozionata di avercela fatta, grazie anche a mio marito che mi ha aiutata molto.
Cosa non sopporti nelle persone e cosa invece apprezzi?
Mi piace chi è diretto e non perde tempo in chiacchiere, stimo l’onestà, la correttezza e la fiducia. Non sopporto il contrario di tutto questo.
D’altronde, sei laureata in Ingegneria…
Sì, sono un po’ matematica. Ma col tempo ho imparato ad ammorbidire certi aspetti, a essere meno orgogliosa. Me lo ha insegnato mio marito e ho capito che non abbiamo tempo per tenere il broncio, meglio parlarsi e chiarirsi. Aiuta la coppia a stare bene, a vivere una storia d’amore come la nostra: l’8 luglio festeggiamo 30 anni insieme.
Avete un luogo del cuore?
Sono tanti, in Italia e all’estero, dalle Marche a Mosca. Dal 2004 andiamo a Pititinga, in Brasile, dove Enrico Bertolino, amico e collega, ci ha invitati la prima volta. Ecco, lì, su quelle infinite spiagge deserte, dove corrono i cavalli, ricarichi davvero anima e corpo.
Qual è il profumo della tua infanzia?
Le passeggiate nei boschi, il profumo della neve e quella della mano di mio padre che mi teneva per la sciarpa mentre pattinavo per non farmi cadere.
Che emozioni ti suscita il viaggio in treno?
Vivo in treno fin da ragazza. Dalla mia città per andare a Mosca, dove studiavo, ci si mettevano 36 ore con i treni sovietici. Quindi, per un po’ non ci sono più salita. Da tempo l’ho riscoperto e per andare nelle Marche, dove vivo ora, non uso più l’auto. Oggi sono arrivata in Frecciarossa a Milano, parto per Roma e faccio anche il ritorno. Impazzisco per i paesaggi che vedo dal finestrino e ogni volta che passo per Ancona, dove il treno è attaccato al mare, provo una bella emozione e giro un video. E poi mi piace chiacchierare con le persone che incontro, sono curiosa di sentire come ognuno abbia la propria storia e attraverso quello che mi raccontano mi arricchisco anch’io.
Sei più a tuo agio a tavola o in cucina?
Lo sono soprattutto quando mia suocera, che cucina benissimo, prepara qualcosa e io e Luca ci beviamo un calice di vino. Oppure quando ai fornelli c’è Luca, anche lui è bravissimo, parliamo, assaggiamo e mi vizia. Lo trovo un momento molto sexy.
Una sfilza di successi: sei ingegnere, fai televisione, sei uscita con il tuo primo libro. C’è qualcosa che non sai fare?
Cantare e, soprattutto ballare. Sono di legno.
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