Ha lavorato oltre diciassette anni in un centro di accoglienza per persone senza fissa dimora, inanellando esperienze, storie di vite che cambiano, affondano, risorgono. Girolamo Grammatico è l’autore di un importante libro scritto per Einaudi. Si chiama “I sopravviventi”, un collage di storie fortissime che interrogano sul senso, religioso e laico, dell'aiuto e del suo rapporto con le cause più profonde del disagio e dei problemi sociali. Il tutto con gli occhi e con la penna di chi ha conosciuto questo mondo da vicino.
Girolamo, chi sono i “sopravviventi”?
Sono le persone senza dimora che ho incontrato nella mia vita. Sono arrivato a Roma dalla Sicilia nei primi anni duemila e da cattolico ho cominciato a lavorare nel più grande centro di accoglienza di senza fissa dimora della Capitale. Il protagonista del romanzo è il mio alter ego, un uomo convinto che la fede bastasse per supportarlo nella sua attività e invece attraverso una serie di storie scopre l’importanza della competenza e della conoscenza delle dinamiche della società. I senza fissa dimora diventano il simbolo di un mondo che si sta ritirando dalla solidarietà.
L’impressione leggendo le storie del tuo libro è che le vite dei sopravviventi raccontino anche molto di noi. Nel rapporto con i senza fissa dimora, secondo te c’è più pregiudizio o paura di guardare dentro noi stessi?
Entrambe le cose. Da una parte c’è una narrazione dominante che mette al centro i senza fissi dimora solo a Natale, o durante la stagione fredda, dall’altra si parla dei sopravviventi con la lente della colpa, come se la loro condizione fosse meritata o comunque la conseguenza di scelte sbagliate della loro vita. A questo si aggiunge la paura, perché il mondo si sta impoverendo sempre di più, come dicono per esempio di Istat o della Caritas. In questo scenario noi siamo spaventati da un destino che ci terrorizza e la paura rappresenta una sorta di difesa inconscia.
L'autore del libro Girolamo Grammatico
Nell’approccio al fenomeno dei senza fissi dimora c’è anche un altro aspetto che è quello del dominio degli stereotipi. Li immaginiamo tutti trasandati, con buste in mano, barba lunga, caratterizzati dai cattivi odori. È sempre così?
Niente affatto. Coloro i quali hanno quelle caratteristiche sono solo una minuscola percentuale del fenomeno. Fate un esperimento di immaginazione: nessuno nasce per strada, chiunque vive sui marciapiedi ci è finito. Il perché è vario: c’è il paziente psichiatrico, l’ex detenuto, il migrante o anche il ristoratore fallito. Ci sono tante persone come noi, che fino dieci anni fa vivevano in una casa e che hanno perso tutto. Molti dei senza fissa dimora vivono tra di noi, mimetizzandosi, appoggiandosi al sostegno delle associazioni, sopravvivendo appunto. Il fenomeno è complesso non è stereotipizzatile e ha cause molte complesse.
A tal proposito nel libro ti poni una domanda: noi volontari siamo la cura o il problema? Perché questa domanda?
Questo è un quesito figlio di una lunga riflessione interna. È giusto che ci siano i volontari, i centri di accoglienza, la rete di sostegno che non deve fermarsi. Ma la domanda è: come mai tutto questo non basta per fermare una povertà che cresce? La verità è che noi siamo una medicina che allevia il dolore, ma non cura le cause profonde che sono politiche, economiche e insite nella stessa organizzazione della nostra società. Siamo la causa o il problema? La domanda significa cercare di indagare e risolvere le cause reali di questo problema.
In conclusione, noi come Gruppo FS ci occupiamo di viaggi, di treni, di mobilità e ovviamente di stazione, i luoghi prescelti da molti sopravviventi. Ti sei mai chiesto perché proprio le stazioni?
Penso ci siano motivazioni pratiche e non solo. Le risposte credo siano multiple. Intanto perché sono luoghi sicuri, ottimi per il riparo dalle precipitazioni o dal freddo. Sono poi posti sempre frequentati. Il senza fissa dimora, infatti, anche se sembra ritiratosi dalla società ha bisogno di essa, ha bisogno degli altri. E poi c’è la paura: andare in un parco è pericoloso è un posto solitario, le stazioni consolano e la presenza degli altri difende. E i sopravviventi cercano proprio tutto questa protezione.
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