In apertura: Enrico Caruso ©Ansa

Il nostro incontro con Enrico Caruso comincia a Hollywood, lungo la Walk of Fame. Il tenore napoletano è uno dei pochi italiani che ha ricevuto l’onore di una stella a cinque punte infissa nel viale che celebra la gloria dell’arte. Una straordinaria testimonianza d’affetto per un artista che fece innamorare l’America. Alzando poi lo sguardo verso il cielo, in un punto dell’infinito universo, si scorge anche l’asteroide 37573 dedicato proprio a Caruso. Stella del cinema – è stato interprete di due film, Il cugino e The Splendid Romance – stella siderale, stella del Metropolitan di New York, che nei primi lustri del ‘900 consacrò la sua gloria universale. La vita di Caruso è la perfetta rappresentazione del sogno americano: un uomo di umili origini che con il suo talento e le proprie forze riesce a diventare una ricca e acclamata star internazionale.

AMERICAN DREAM

Nasce da una famiglia povera nel popoloso quartiere di San Carlo all’Arena, a Napoli. E il suo destino sembra segnato. È ancora un bambino quando il padre lo conduce a lavorare nella fonderia dove lui stesso era impiegato. Una fatica durissima che però non spegne il talento naturale di Enrico per il bello. Frequenta le scuole serali, nei ritagli di tempo disegna modelli di fontane, cancelli e utensili che poi saranno forgiati in fonderia. Canta nella chiesa di Sant’Anna alle Paludi in occasione di matrimoni e funerali. La sua voce cattura l’attenzione di maestri e mecenati, e la sua vita cambia. Dal Teatro municipale Giuseppe Verdi di Salerno, comincia la scalata al successo in Italia e nel mondo. Tocca proprio a lui, con una Bohème diretta da Arturo Toscanini, inaugurare la stagione 1900 del Teatro alla Scala di Milano. Caruso è all’apice del successo in Italia. È ricco, famoso, circondato da belle donne come la soprano Ada Giachetti, con la quale metterà al mondo Enrico Jr e Rodolfo ma che finirà per tradirlo con l’autista. Proprio come nelle trame operistiche più consuete.

Una sala del museo nella Villa Caruso di Lastra a Signa (FI) © Ansa/Ufficio stampa Comune di Lastra a Signa

Una sala del museo nella Villa Caruso di Lastra a Signa (FI) © Ansa/Ufficio stampa Comune di Lastra a Signa

I FISCHI MAI FISCHIATI

Nel 1901 si segnala un episodio ancora ammantato di mistero e di leggenda. Caruso porta in scena al Teatro di San Carlo di Napoli L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Calato il sipario, si diffonde un pettegolezzo insopportabile: il pubblico avrebbe sonoramente fischiato il tenore. Non ci sono né registrazioni né prove, ma la calunnia è un venticello che presto diventa una tempesta. Caruso è furibondo. Le approfondite ricerche condotte dall’autorevole saggista e sovrintendente Francesco Canessa dimostrano che «i fischi del Teatro di San Carlo non sono stati mai fischiati» e che Caruso, tutt’al più, ha ricevuto qualche recensione non del tutto lusinghiera. Il tenore promette che non avrebbe mai più cantato a Napoli e in Italia.

EMIGRANTE DI SUCCESSO

Come milioni di connazionali tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, Enrico diventa un emigrante. Certo non come quelli descritti nei bastimenti che partono per terre assai lontane. È un emigrante di successo, la cui voce conquista l’America. Per questo a 100 anni esatti dalla morte, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha deciso d’intitolare proprio a lui la Stazione Marittima di Napoli, come omaggio perenne alla sua arte ma anche alla fatica degli emigranti italiani e di tutto il mondo in ogni epoca. In occasione del centenario apre anche il Museo Enrico Caruso nella sua casa natale di Via San Giovanni e Paolo 7, a Napoli. Gli appassionati possono ammirare lettere, foto, caricature, locandine, un grammofono del '900 e un bastone da passeggio molto amato dall'artista. Mentre gli altri cantanti erano diffidenti verso le nuove tecnologie, Caruso intuisce le potenzialità artistiche ed economiche della discografia. I dieci dischi con arie d’opera per conto della casa discografica inglese Gramophone & Typewriter Company lo fanno conoscere in tutto il mondo, moltiplicando gli ingaggi e il cachet. L’aria Vesti la giubba dall’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, incisa negli Stati Uniti per l’etichetta Victor, è il primo disco a superare il traguardo del milione di copie vendute. The Italian voice è richiesto e acclamato in tutto il mondo, da Buenos Aires alla Royal Opera House di Londra, dall’Opéra di Parigi a New Orleans. È molto generoso, aiuta connazionali in difficoltà e durante la Guerra tiene concerti per i soldati. Ama la buona tavola ed è golosissimo di bucatini, che divora conditi con salsa di pomodoro, verdure, ortaggi e quanto detta la fantasia dell’oste di turno. Dopo la pasta alla Norma, ecco quindi i bucatini alla Caruso. Nella sua vita è entrata “una fanciulla del west”, Dorothy Benjamin, che sposerà e dalla quale avrà la figlia Gloria.

Villa Caruso, Lastra a Signa (FI) © mauro paolo cascasi/AdobeStock

Villa Caruso, Lastra a Signa (FI) ©Mauro Paolo Cascasi/AdobeStock

IL PARADISO DI VILLA CARUSO

Per lui l’Italia non è più un palcoscenico, ma un buen retiro. Nel 1906 acquista una villa meravigliosa a Lastra a Signa (FI). Un giardino incantevole e tante stanze nelle quali esprime i suoi sentimenti, la sua personalità, le sue passioni. Questa villa oggi è uno splendido museo multimediale. Un percorso emozionante che stanza dopo stanza permette un incontro ravvicinato con l’artista. La sala delle Arti figurative raccoglie disegni, acquarelli, autocaricature; quella dei Teatri internazionali espone locandine e programmi realizzati in tutto il mondo. Più intima la sala della Famiglia, con foto e corrispondenze degli amori della sua vita. Magiche le sale della Memoria, della Discografia e della Musica, con l’esposizione di grammofoni e fonografi e la colonna sonora delle sue arie restituite dal vinile. Nella Camera Caruso c’è un’immagine a sbalzo della Madonna di Pompei, alla quale era molto devoto. In questo luogo meraviglioso la commozione diventa struggente quando si diffondono le note di Vesti la giubba. È l’aria nella quale il tenore esprime il culmine della sua arte con una nota di tristezza autobiografica, perché la sua storia è molto simile a quella del protagonista Canio. Gli tocca andare in scena anche davanti a un «duol che t’avvelena il cor». E certamente pensano a queste note coloro che ancora oggi, con fiori e preghiere, gli rendono omaggio presso la tomba dov’è sepolto, nel cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli, a pochi metri da quella di Totò.

SUL GOLFO DI SORRENTO

Estenuato dagli impegni artistici e colpito da una grave forma di pleurite, Caruso torna definitivamente in Italia verso la fine del secondo decennio del secolo scorso. Trascorre un periodo di convalescenza a Sorrento, dove giunge a visitarlo persino il “medico santo” Giuseppe Moscati. La malattia, però, è giunta al suo epilogo. Il tenore muore a Napoli il 2 agosto 1921. A quel soggiorno in Penisola sorrentina Lucio Dalla ha dedicato una delle sue canzoni più belle, composta proprio nella suite del Grand Hotel Excelsior Victoria di Sorrento, dove Caruso aveva soggiornato.

Articolo tratto da La Freccia di agosto 2021