© Marco Barbaro, gioielli di Caterina Murino Jewellery, capelli di Cotril
Il countdown per l’80˚ edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia è ufficialmente iniziato. Tra un rumor e l’altro sui film che potrebbero gareggiare alla kermesse, c’è una sola grande certezza: la madrina sarà Caterina Murino. L’attrice cagliaritana, che avrà il compito di condurre la serata inaugurale, mercoledì 30 agosto, e quella di chiusura, sabato 9 settembre, vanta una partecipazione a Miss Italia, qualche apparizione in tv e diverse pellicole di successo. A dirigerla sono stati in tanti, da Luis Sepúlveda a Pappi Corsicato, da Oliver Parker a Renzo Martinelli. In Francia è uno dei volti di punta dello star system e sul panorama internazionale si è imposta nel 2006 grazie alla pellicola Casino Royale, per la regia di Martin Campbell e con Daniel Craig, che l’ha vista nei panni di Bond girl. Negli ultimi anni ha illuminato il grande schermo anche grazie a pellicole come Agadah di Alberto Rondalli e Se son rose di Leonardo Pieraccioni. Adesso la aspetta il red carpet più glamour che c’è.
Come sei diventata madrina della Mostra del cinema?
È come se avessi sostenuto il provino per un film: c’è stato un incontro con il direttore artistico Alberto Barbera e il suo staff, una chiacchierata durata mezz’ora. Non immaginavo che mi avrebbero scelta ma lo speravo tanto. A un certo punto mi hanno chiamata comunicandomi di essere nella rosa delle papabili. E poi, alla fine, è andata bene.
Contenta?
Da tempo non tornavo nel mio Paese e per me è un grandissimo onore farlo per un evento così importante.
Che madrina sarai?
Innanzitutto, cercherò di essere glamour indossando quasi solo brand italiani. È un grande onore vestire gli abiti di aziende che ci fanno grandi all’estero. Ma, con la mia presenza, spero anche di portare un po’ di internazionalità.
Già, perché tu sei una star oltralpe.
Diciamo che faccio parte del panorama del cinema francese, sì.
Come è cominciata quest’avventura?
Nel 2003, 20 anni fa, al primo provino per Il bandito corso, con Jean Reno e Christian Clavier. Non parlavo una parola di francese ma in tre mesi ho imparato la lingua. Ho studiato tanto e passato quattro provini. Durante le riprese di questo film mi hanno chiamata per un’altra pellicola e poi, nel bel mezzo del secondo set, mi è arrivata la richiesta per un terzo lungometraggio. Proprio mentre stavo girando quest’ultimo, è uscito nelle sale Il bandito corso, che è stato un enorme successo in patria e il motivo per cui sono famosa in Francia.
E poi?
Ho cominciato a vivere qui, mi offrivano ruoli uno dopo l’altro. È arrivata la tv con alcune serie e ora sto facendo teatro. Solo quattro giorni dopo la fine di Venezia ho la prima dello spettacolo Piège pour un homme seul, diretto da Michel Fau, al Théâtre de la Michodière di Parigi (ride, ndr).
Cosa ti lega alla Francia?
Mi ha adottata. E anche se gli italiani continuano a pensare che i francesi li detestino non è così: loro ci amano. Bisogna vivere nel Paese per capirlo: sono pazzi per l’Italia a partire da Venezia, per continuare con la Puglia, la Sardegna, la Sicilia e la Toscana. Mi hanno addirittura dato una menzione al premio César per come avevo imparato la loro lingua. E poi la Francia ha un cinema ecclettico perché registi e attori vengono da tutte le parti del mondo. È molto inclusiva.
Se ti dico Italia a cosa pensi?
Alla mia Sardegna, che vive in me. E poi al cibo che mi manca tantissimo, insieme al nostro spirito, più leggero e gioioso rispetto a quello dei francesi, che sono sempre un po’ in collera.
Davvero?
Già. E non dovrebbero: vivono in un Paese meraviglioso che ha molti meno problemi rispetto ad altri. Dico questo perché gli stessi francesi ammettono che lo sport nazionale d’oltralpe è lamentarsi. Noi italiani abbiamo una marcia in più che, nonostante i problemi, ci fa risollevare.
È difficile sfondare come attrice?
Sempre e tanto. Alcuni miei colleghi hanno una gang di amici con cui lavorano
spesso. Io sono un cane sciolto ma ho avuto un agente straordinario, quasi un secondo padre, che però mi ha lasciato un paio di anni fa. Era un manager d’altri tempi: ti “creava”. Tornando alla domanda, nel mio mestiere non bisogna abbattersi: è necessario trovare la forza anche quando non c’è.
Il momento più duro?
Ci sono sempre alti e bassi, in continuazione. La cosa più difficile è imparare a stare su quando si ha il morale a terra e a rimanere con i piedi per terra quando si è in alto, per non farsi male quando si tornerà giù. Bisogna sempre mantenere un equilibrio. Un giorno sei richiestissimo e poi rimani tre anni senza lavorare: per me questa è un’altalena che dura da 25 anni. È molto complesso ma per fortuna, oltre al mio straordinario compagno, ho la mia famiglia. Mia mamma dice sempre che non devo avere paura dei miei periodi bui perché dopo passano. Lei è fondamentale. Senza il suo appoggio non sarei diventata una Bond girl.
Ah no?
Ero caduta da cavallo, stavo a letto senza muovermi e mia mamma mi ha detto: «Su, su, muoviti e vai a fare il provino». Non rientra tra le madri che spingono le figlie, ha sempre rispettato il mio volere, ma per Casino Royale mi ha lavata, mi ha messo le scarpe da tennis e mi ha portata al casting. Non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia straordinaria al proprio fianco.
I tuoi luoghi del cuore a Parigi?
Ho la fortuna di vivere a Montmartre, in un’oasi di verde e di pace. Sono un po’ sedentaria ma, grazie agli scioperi dei bus, ho scoperto che mi piace visitare la città a piedi. Cammino tanto sugli Champs-Élysées, verso il Beaubourg e il Louvre. Amo Parigi anche se nel tempo è molto cambiata. Il traffico ora è allucinante e, onestamente, sono un po’ contro i monopattini e chi li guida, spesso male: come pedone mi sento sempre in pericolo.
E se parliamo dell’Italia a quali posti sei legata?
A Cagliari, dove sono nata: è bellissima, a misura d’uomo e non bisogna essere miliardari per viverci. E poi a Venezia, che ho conosciuto approfonditamente durante il primo periodo della pandemia: in città c’erano solo due set, tra cui quello di Veneciafrenia, il film di Álex de la Iglesia a cui stavo lavorando. Mi sono trovata sul ponte di Rialto da sola, me la sono goduta ed è stato davvero straordinario. Non credo che nei dieci giorni del festival potrò girarla molto ma già solo l’idea di essere lì è un’emozione. In questa città ho recitato anche al Teatro Goldoni e in piazza San Marco ho girato alcune scene della fiction Il giovane Casanova, dove interpretavo Zanetta Farussi, la madre dell’avventuriero. Sono stata anche alla Mostra del cinema per presentare la pellicola Il seme della discordia, di Pappi Corsicato. Tornare è un’emozione straordinaria. Ancora non riesco a crederci.
Hai nominato due registi cult. Com’è stato lavorare con De la Iglesia?
Ha un carattere molto particolare ma quando mi ha scelta mi sono messa a ballare. Lo trovo un genio. Stavo a Milano e lo amavo per Crimen perfecto - Finché morte non li separi. Sua moglie, Carolina Bang, ora è una produttrice straordinaria. Il film girato con lui, Veneciafrenia, è molto bello e ha costumi pazzeschi. Lo hanno criticato per i tagli ma sono stati eliminati quasi 45 minuti perché era troppo lungo. Dovrebbero, comunque, fare un altro montaggio con tutto ciò che non è entrato. È stata un’esperienza unica: girare a Palazzo Pisani era come vivere un sogno, Venezia rende tutto più magico.
Caterina Murino e Leonardo Pieraccioni nel film Se son rose © Angelo Trani
E con Corsicato com’è andata?
Lo chiamavo Spugnetta, perché diceva sempre di asciugare. Pappi ha dentro un mondo pazzesco e complicatissimo. Anche la coach che mi aiuta da 25 anni lo ha incontrato più volte per comprenderne l’universo. Con lui non si poteva fare nulla di naturalistico: voleva che recitassi come se stessi interpretando una telenovela venezuelana sotto acidi. Ma è fantastico, ti fa entrare in una dinamica totalmente diversa e ti costringe a uscire dalla comfort zone.
Dopo Venezia che farai?
Sarò in Generazione Neet, di Andrea Biglione, e in Good Vibes di Janet De Nardis. Nel primo interpreto un ministro dell’Interno che rimette la naja in Italia per gli esponenti della generazione Z che non fanno nulla. Se trovano un lavoro entro un mese la scampano, in caso contrario devono fare il militare per un anno. La seconda pellicola racconta di uno smartphone che consente, inserendo il numero di telefono di una persona, di conoscerne tutti i segreti. Sto girando anche The Opera, il primo film del regista teatrale Davide Livermore. È la storia di Orfeo ed Euridice in opera pop e girata su un set virtuale. Gli interpreti sono tutti cantanti d’opera tranne me, Vincent Cassel, Fanny Ardant e Rossy De Palma.
Che ruoli ti piacerebbe avere in futuro?
A teatro vorrei essere Lady Macbeth, al cinema Mata Hari. Ma ho la fortuna di ricevere copioni sempre molto diversi, quindi non potrei chiedere più di quello che sto già vivendo.
A Sanremo ci andresti?
Ahia (ride, ndr)! Me lo hanno proposto tanti anni fa ma non saprei che fare. Non è il mio ruolo.
Il viaggio più bello che ricordi?
Io sono anche una gemmologa e creo gioielli in filigrana che vengono venduti in Place Vendôme, a Parigi, per aiutare gli artigiani della Sardegna. Per questa mia attività sono andata nelle miniere dello Sri Lanka. È stato stupendo. Poi, per la promozione di Casino Royale, ho girato l’Asia e l’Australia insieme a mia madre e, nonostante qualche litigata, è stato bellissimo averla vicina.
Come ti definiresti?
Una che non si ferma mai. Oltre al mio impegno per l’Africa, con l’ong Amref, supporto la causa della tutela degli animali. Voglio dare voce a questo tema, perché molti di loro vengono maltrattati e uccisi dagli esseri umani. È la mia nuova sfida. Per questo sono testimonial della campagna Resta con me contro gli abbandoni e sto anche diventando vegana. Le nuove generazioni saranno sempre più inclini a non trattare gli animali come oggetti. Rileggendo Il Cantico delle creature capiamo che noi non siamo migliori: San Francesco ha detto cose importanti, voleva rispettare tutto quello che il Signore ha creato.
Visto che sei gemmologa, se fossi una pietra preziosa quale saresti?
Lo zaffiro, perché è molto scuro e solo quando lo si guarda con una lente si capisce che l'inclusione ottenuta incidendo la composizione interna è, il più delle volte, a forma di farfalla.
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