In cover, la Nazionale italiana sul Frecciarossa
Ancora in estasi per la vittoria ai Campionati europei di calcio, Rai1 ha proposto, in prima serata agli italiani, l’ultima puntata del docufilm Sogno Azzurro. La strada per Wembley. Oltre a riassaporare, conoscendone già l’esito, i 120 minuti di una gara straordinaria, con un’appendice che ha messo alla prova le coronarie di molti, i telespettatori hanno avuto la possibilità di osservare il dietro le quinte, i momenti della vita quotidiana, il carattere e l’umanità di calciatori e staff tecnico di una Nazionale che ci ha regalato emozioni a non finire.
Rai1 ha offerto così al suo pubblico una lettura inusuale e accattivante dell’impresa sportiva azzurra. Un racconto mediatico innovativo, frutto di un lavoro complesso, anch’esso di squadra. In una chiacchierata virtuale gli ideatori del format, Pierluigi Colantoni, direttore Sviluppo nuovi formati Rai, e Paolo Corbi, capo ufficio stampa della Federazione italiana gioco calcio (Figc) hanno raccontato alla Freccia come è nato questo progetto, le cui puntate sono disponibili su RaiPlay.
Parliamo intanto di un format non usuale che Pierluigi Colantoni inserisce «nel campo della docuserie con una derivazione factual, non soltanto un documentario sportivo o di storia, ma una narrazione che insegue e segue i fatti trasformandoli in un viaggio».
L’idea nasce un po’ per caso, in vacanza, su una spiaggia, nell’estate 2020, poco dopo il primo lockdown, quello più duro, ed è Paolo Corbi a raccontarcela: «Pierluigi e io ci conoscevamo per l’esperienza con la Nazionale femminile di calcio nel 2019 e da quel piccolo teaser è nata l’idea di un prodotto simile per la Nazionale maschile, un qualcosa di unico in 110 anni di storia. Ne abbiamo parlato a lungo, ci siamo ascoltati e confrontati a vicenda, iniziando a buttar giù un po’ di idee. La forza e l’audacia di proporlo in Rai e Figc hanno fatto il resto. Sogno Azzurro è l’unione di un creativo televisivo e di un uomo di campo che hanno voluto osare».
A Coverciano i due autori incontrano il commissario tecnico Roberto Mancini e, come racconta Colantoni, «in quell’occasione abbiamo deciso di dare alla docuserie una chiave umana, provando a differenziarci rispetto ad altri format che negli anni hanno raccontato imprese sportive o calcistiche. Ci siamo ritrovati ad avere lo stesso obiettivo: raccontare una squadra e una strada verso Wembley dal punto di vista umano, caratteriale e di gruppo».
Viene da chiedersi se sia lo sport ad essere adatto per questo format o il contrario. «Se c’è qualcosa che rende lo sport così pertinente a rappresentare i tratti umani e caratteriali dei suoi protagonisti è il fatto che incarna valori come l’amicizia, il coraggio, la paura, l’esperienza», prosegue Colantoni. «Ad esempio nel nostro racconto emergono individualità, come quella di Gianluca Vialli che, per l’età ma soprattutto per i suoi trascorsi sportivi e umani, rappresenta un valore come la saggezza. Insomma avevamo tutti gli ingredienti per lavorare e far emergere questi tratti di umanità e credo questa sia stata una delle chiavi del successo del programma».
A confermarlo sono i numeri, dopo poco più di una settimana dal trionfo di Wembley oltre un milione e mezzo di visualizzazioni su RaiPlay, che si sommano al 21% di share ottenuto quando è andato in onda su Rai1. Un risultato senza precedenti, soprattutto considerato il linguaggio così originale e lontano da quello al quale sono abituati i telespettatori di una tv generalista. Perché le immagini «dal di dentro» sono quelle catturate nello spogliatoio, nel ritiro a Coverciano, o quelle a bordo del Frecciarossa, e mostrano «tanta spontaneità», normalità, amicizia, divertimento.
Da comunicatori sappiamo quanto i media, la telecamera e la tv condizionino e portino a deformare quella spontaneità conducendoti a mostrare non quel che sei ma quel che vorresti che gli altri pensino tu sia. Per raggiungere i risultati ottenuti e raccontare la parte più umana e talvolta più nascosta delle persone, i calciatori e lo staff avevano bisogno di una telecamera sempre presente, ma allo stesso tempo “amica” del gruppo, che non creasse imbarazzi. «Si può superare la barriera fra giocatore e telecamera solo con una persona di cui la squadra si fida», confessa Colantoni, «e in questo difficile lavoro è intervenuto Paolo Corbi che è riuscito, nonostante o forse grazie al suo ruolo, a creare un clima di fiducia, a far crollare quel velo protettivo».
Pazienza e presenza costante finché quella telecamera quasi sparisce, ed ecco venir fuori le parti più nascoste di ciascun giocatore o membro dell’equipe, in modo naturale, eppure frutto di un lungo e abile lavoro organizzativo. «Abbiamo portato all’interno del gruppo due filmmaker che sono diventati parte integrante della squadra ma, al contempo, quasi invisibili. Da settembre 2020 hanno vissuto sempre con noi, viaggiavano con noi, pranzavano con noi, prima e dopo le partite. Solo grazie a tutto questo siamo riusciti a filmare i vari momenti di questa storia», afferma Corbi ricordando le difficoltà iniziali.
«Appena i calciatori hanno visto la telecamera si sono irrigiditi, chiedevano la mia approvazione prima di fare qualsiasi mossa, poi man mano erano loro a cercarla per confidarsi e raccontare stati d’animo ed emozioni. Se non avessimo raggiunto questo amalgama, non saremmo riusciti a far emergere quella che è stata la vera arma di questa vittoria, lo spirito di squadra, l’essere un gruppo affiatato e solidale».
A proposito di gruppo unito e coeso, a renderlo ancora più tale ci ha pensato la musica. Quel cantare in coro – stonature incluse – tanti motivi, da quello di Notti magiche, inno d’Italia ’90, a un altro, importato dal gruppo campano della Nazionale, che ironizza sullo stringente regime alimentare imposto ai giocatori. Lo stesso Paolo Corbi non si è potuto esimere dall’intonare entrambe le canzoni a squarciagola.
«Cantare è un modo di sentirsi gruppo e ha anche rappresentato da sempre una sorta di battesimo a Coverciano, per ogni nuovo convocato, al quale veniva chiesto di salire su una sedia e intonare una canzone a piacere, così, davanti a tutti, per mettersi in gioco e superare l’emozione. È toccato anche a Mancini e De Rossi. Quella napoletana delle polpette e delle cotolette, cantata per la prima volta dopo la partita contro la Turchia sul Frecciarossa di ritorno verso Coverciano, ha conquistato tutti, anche i calciatori nordici, Pessina, Chiellini, Locatelli, Bonucci. È diventata il ritornello per dar sfogo alla gioia dopo ogni vittoria».
Proprio con riprese effettuate sul Frecciarossa, treno ufficiale della Nazionale, il docufilm Rai ha potuto mostrare gli stati d’animo del pre e post partita. I silenzi e la tensione dell’andata e la gioia irrefrenabile del ritorno, quando i giocatori si trasformano in amici in gita, «capaci – come ricorda ancora Corbi – di organizzare, con Salsano e Lombardo dello staff tecnico, un banchetto sul treno a base di lambrusco e prosciutto».
A Pierluigi Colantoni non resta che descriverci uno dei passaggi chiave dell’evento sportivo e del documentario, il momento dei rigori riportato con un montaggio sapiente che alterna quelli reali della finale con quelli provati in allenamento: «Non potevamo semplicemente far rivivere gli highlight agli spettatori, dovevamo dare “nuova vita” a un momento che tutti gli italiani avevano già vissuto. Mostrarne i retroscena, quasi premonitori ma liberi dalla tensione spasmodica della finalissima».
Chiudiamo la conversazione con un pensiero verso il futuro ed entrambi i nostri interlocutori sono concordi sulla voglia di «ripartire a settembre e inventarci qualcosa per il Mondiale in Qatar, in programma fra non molto». Il futuro ci aspetta, e che il sogno continui.
Articolo tratto da La Freccia
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22 luglio 2021