In cover Giulia Lamarca nella foresta di bambù di Arashiyama a Kyoto, in Giappone

Da piccola Giulia Lamarca girava l’Italia in camper coni suoi genitori. A 19 anni finisce nel letto di un ospedale dopo un incidente stradale che le causa una paraplegia. In quei nove mesi di immobilità capisce che solo viaggiare può salvarle la vita.

Come è nata questa consapevolezza?

In quel periodo di fermo mi sono resa conto di quanto l’esistenza fosse breve e quanto conoscessi poco del mondo. Poi, una volta uscita dall’ospedale, il mio ragazzo – che oggi è mio marito – mi ha detto: «Andiamo in Australia!». E da lì è iniziato tutto. Purtroppo spostarsi in carrozzina è complicato e le persone, a volte, scelgono di non farlo per le difficoltà che comporta.

 

Perché hai scelto di diventare travel blogger?

A me i viaggi hanno salvato la vita, quindi aprire un blog mi sembrava un modo per far tornare a vivere anche altre persone.

Come è cambiato il tuo modo di viaggiare dopo l’incidente di dieci anni fa?

Prima non ero una viaggiatrice, ero piccola e giravo principalmente con il camper in Italia, insieme ai miei genitori. Dopo sono diventata una ragazza che attraversava i confini, così mi piace definirmi. Volevo e voglio spingermi più in là, sempre più lontano. Il mio sogno è andare dove ancora non è andato nessuno. Nella mia vita precedente il viaggio era una vacanza, ora è scoperta del mondo e di me stessa. Anche l’organizzazione è diversa: ci sono aspetti a cui adesso devo fare attenzione. È diventato indispensabile portare con me una serie di ausili e di farmaci di prima necessità. Negli spostamenti più avventurosi e spartani devo calcolare anche i giorni in cui devo farmi la doccia. Non è sempre facile trovare hotel o luoghi agibili, quindi devo riuscire a programmare l’arrivo in strutture dove posso rilassarmi e lavarmi con calma.

 

Barriere architettoniche, alberghi non attrezzati e operatori non formati sono problemi complessi per le persone disabili. Secondo te come si può favorire un turismo inclusivo?

Sicuramente servono incentivi da parte dello Stato, ma è essenziale soprattutto lavorare sulla cultura di un popolo. L’accessibilità non è una tematica per pochi, riguarda tutti. Se anche il settore turistico riuscisse a capirlo, avrebbe molti più clienti soddisfatti. Nel concreto, sarebbe utile una legge per aumentare il numero delle camere accessibili nelle strutture ricettive. Come anche norme che regolino l'assistenza alle persone disabili sui voli aerei, prevedendo sanzioni per le compagnie che non le rispettano. Ma ritengo comunque che alcuni cambiamenti da affrontare siano più etici che pratici.

Giulia e il marito Andrea nel deserto di sale a Uyuni, in Bolivia

In base alla tua esperienza, una persona disabile può viaggiare da sola e low cost?

Certe mete in solitaria sono fattibili ma riuscire a visitarle a basso costo credo sia quasi impossibile. A oggi, in quasi tutti i Paesi dove sono stata, se cerchi una struttura accessibile devi scegliere un hotel dalle tre stelle in su e quindi avere un certo budget.

 

Come hai vissuto il periodo di lockdown? E come hai sopperito alla tua voglia di muoverti?

Non bene, i viaggi sono una parte importante della mia vita. Inoltre, stavamo organizzando un giro del mondo e il Covid-19 ha frenato la nostra partenza. Per fortuna quest’estate ho scoperto uno sport che mi ha permesso di svagarmi: il wakeboard, una sorta di fusione tra lo sci nautico e lo snowboard. Ma mi mancano le altre culture, l’odore di cibi diversi, le lingue straniere. Intanto, aspettando il via libera, continuo comunque a programmare le tappe del mio giro del mondo.

Il più bel ricordo di un Natale passato?

In viaggio nei Paesi del Nord, in Interrail. La sera della Vigilia ero a Copenaghen a mangiare in un ristorante cinese. Per me è un ricordo bellissimo perché, come dice mio marito Andrea, ovunque vai nel mondo puoi sempre contare su un locale asiatico aperto.

 

Il viaggio, interiore o fisico, che ti auguri di compiere?

Penso che quest’anno abbia portato a tutti nuove consapevolezze. A me personalmente ha fatto capire che vivere in città, dentro un appartamento, non è quello che voglio. E che il mio giro del mondo non può più essere rimandato, devo farlo. È come una chiamata.

Sperando di lasciarci presto alle spalle il Covid-19, come immagini il 2021? Come sarai, come vorresti essere, come saremo?

Credo che questo sia il momento della svolta, cominciamo a renderci conto che il comportamento di un singolo si ripercuote su tutti gli altri. Quindi spero che il 2021 sia l’anno della consapevolezza, delle scelte ambientali, dei cambiamenti nel mondo del lavoro, della parità di genere, dell’inclusione, della fine delle discriminazioni: insomma un anno in cui si capirà che siamo tutti uguali. Io vorrei la valigia in una mano, una carta dei diritti nell’altra e Andrea al mio fianco. Pronta a partire per un progetto capace di dimostrare che, anche se possono presentarsi momenti difficili, la bellezza del pianeta è un buon motivo per vivere la propria vita appieno.

 

Articolo tratto da La Freccia