L’evoluzione del mondo dell’informazione parla il linguaggio digitale degli algoritmi, dell’Internet of Things, dei Big Data e si concretizza con l’utilizzo di media capaci di trovarti ovunque. Anche davanti al frigorifero di casa dove, mentre ti accingi a prendere il latte per colazione, uno schermo sullo sportello ti mostra l’ultima breaking news. Per proporti, come fa lo smartphone che ogni tanto allontaniamo dagli occhi, gli argomenti preferiti senza dover sfogliare compulsivamente il giornale.
Abbiamo incontrato Giorgio Baglio, country manager e direttore di Upday, un’app che fa questo, e bene. Tanto che in pochi anni ha scalato le classifiche di Audiweb ed è oggi stabilmente tra i primi dieci brand dell’informazione online più letti in Italia, subito dietro corazzate come il Corriere della sera e La Repubblica. Giorgio Baglio, 36 anni, già con importanti esperienze giornalistiche alle spalle, tra cui otto anni all’Agi, è a capo di una redazione composta da altri cinque giornalisti tutti più giovani di lui. Come dire, tutti possono fare tutto, ma fino a un certo punto. Il ricambio generazionale non apporta solo entusiasmo ma anche visioni davvero disruptive e innovative. Nel concreto e non nella retorica di quegli slogan che fanno dell’aggettivo nuovo, paradossalmente, l’attributo più consunto e abusato.
Iniziamo dalla domanda più semplice: cos’è Upday e che fa?
È un’app sviluppata da Axel Springer, il principale editore digitale europeo, preinstallata su tutti gli smartphone Samsung, nata con l’obiettivo di fare giornalismo di qualità e contrastare le fake news. È partita così nel 2016, è arrivata in Italia a febbraio del 2017 e, sempre nel corso dello stesso anno, in altri 16 Paesi europei. Ora siamo in 34 Paesi.
Contrastare le fake news, un nobilissimo obiettivo.
Sì, è stato il nostro filo conduttore, fin dall’inizio. Come ha ribadito in una recente intervista Mathias Döpfner, l’amministratore delegato di Axel Springer. Siamo editori, ci mettiamo la faccia, abbiamo dei giornalisti che ci lavorano, quindi se pubblico una fake news ne ho piena e totale responsabilità.
Insomma, non un semplice aggregatore che, su input dialgoritmi o scelte del lettore, pesca qua e là nel web. Di questi ne esistono da tempo…
Appunto, la novità, l’esperimento iniziale, direi riuscito, consiste nel coniugare l’algoritmo con il lavoro giornalistico, i cui fondamentali restano sempre gli stessi, non cambiano con l’evolversi delle tecnologie. Perché gli algoritmi riescono a scegliere le notizie adatte a ogni singolo lettore ma non a selezionarle e a verificarne l’attendibilità.
Esperimento di successo, perché i numeri vi danno ragione.
Siamo la prima fonte di informazione su dispositivi mobili in Europa. In Italia, secondo i dati Audiweb, abbiamo circa due milioni di lettori. Premiati anche dalla permanenza sull’app, con un indice altissimo che arriva fino a cinque, sei minuti. Quindi da un lato il traffico elevato e dall’altro la lettura attenta dei contenuti. Evidentemente facciamo una buona selezione.
Solo selezione?
No, anche se già questo è un lavoro importante. Perché il compito e la funzione sociale del giornalista consistono anche nel mettere un filtro tra la massa di informazioni e il pubblico. Se togli questa mediazione rischi di essere inondato di fake news che, soprattutto nel delicato momento che stiamo vivendo, sono pericolosissime.
Spiegami allora come siete organizzati, qual è il vostro lavoro.
Ogni Paese ha una sua redazione. In Europa siamo in tutto 55 giornalisti e una cinquantina di persone dedicate a Upday a Berlino, all’interno di Axel Springer, con gli sviluppatori, gli addetti al marketing e alla pubblicità. Qui in Italia siamo in sei e abbiamo dei turni come in un’agenzia di stampa. Apriamo alle sei e chiudiamo intorno a mezzanotte, sette giorni su sette. Selezioniamo le fonti migliori, senza fare un semplice copia e incolla degli articoli scelti, ma presentandoli con un titolo e un testo scritti da noi. Così come per le foto, abbiamo i nostri abbonamenti all’Ansa e a Getty. I giornalisti si occupano della sezione Top News, le prime dieci notizie sull’app. Continuando a scorrere c’è la sezione My News, in cui un algoritmo, sviluppato internamente, seleziona le notizie in base agli interessi e alle preferenze di lettura. Ma siamo anche una testata giornalistica e abbiamo i nostri contenuti, articoli scritti dai nostri redattori che, facendo squadra con gli altri editori, hanno quindi un taglio diverso da quello delle altre testate. Insomma, non facciamo concorrenza alla Repubblica o al Post o al Sole 24 Ore, dai quali scegliamo, per esempio, le breaking news che, cliccate sulla nostra app, portano poi traffico diretto a loro.
Questo è un passaggio importante, da spiegare bene. Non sottraete traffico o, ancor peggio, non vi impossessate indebitamente del lavoro intellettuale altrui, come molti editori lamentano che accada, ma portate traffico avantaggio degli editori vostri partner.
È così. E gli editori che lo ricevono lo monetizzano con le revenue pubblicitarie che vanno al 100% a loro. Insomma, siamo un editore che fa squadra con gli altri editori.
Tutti?
A livello europeo abbiamo tutti i più importanti. In Italia l’unico che manca è il Corriere della Sera, che ha un paywall sul sito e, visionato un certo numero di articoli, richiede di attivare un abbonamento. Abbiamo una partnership molto stretta con Il Sole 24 Ore, il cui paywall è sul modello “freemium”, con alcuni contenuti non accessibili e altri aperti che pubblichiamo sull’app. Poi altri accordi ancora, come con La Repubblica e La Stampa, che ci consentono di rilanciare anche alcuni articoli a pagamento. Upday finora ha scelto di non avere contenuti premium. Per farlo occorre una versione dell’app non più gratuita. Però vediamo, stiamo lavorando su tanti progetti.
Quali?
Per esempio quello di aumentare la nostra produzione editoriale, sperimentando nuovi formati e offrendo contenuti anche sui podcast.
Innovare, non fermarsi mai, restare avanguardia nel mondo dell’informazione digitale.
Sì, l’accordo con Samsung è sempre più forte ma col tempo abbiamo sviluppato anche altre app, come earliNews, disponibile anche per iPhone, ed earliAudio, un’app di podcast preinstallata su Samsung ma disponibile anche su Apple, quindi ci siamo allargati a tutto il mondo mobile. Stiamo puntando sui podcast anche in virtù di un accordo con una nota casa automobilistica tedesca che ci consentirà di essere preinstallati sulle loro autovetture. L’obiettivo è arrivare ovunque, su tutti i dispositivi, dai frigoriferi Samsung ai telefoni, dalle auto agli orologi. Poi c’è l’accordo con Facebook che è molto promettente, anche a livello di immagine. Facebook ci ha scelti per curare il loro speciale sul Covid-19. E qui ha pagato la nostra serietà e attenzione alle notizie che diffondiamo.
Torniamo lì, i fondamentali del mestiere non cambiano.
Il mio primo capo redattore all’Ansa, dove stavo facendo uno stage, davanti a una vecchia tastiera consumata dalle sigarette, quando ancora si fumava in ufficio, mi disse: «Questa tastiera si può trasformare in un AK-47, in un fucile d'assalto, soprattutto se fai la giudiziaria». Quindi, massima attenzione a quello che pubblichiamo.
Con precise indicazioni che da buon direttore darai alla tua giovanissima squadra...
Guarda, fin dai nostri primi passi, quando avevamo ancora poche centinaia di utenti, ho sempre chiesto ai miei di non intasare gli smartphone con le notifiche push breaking e di controllare sempre tutto, anche 200 volte, perché noi arriviamo sui telefoni nelle mani di tutti e dobbiamo essere guidati da un grande senso di responsabilità. Sul Covid-19 abbiamo avuto un’attenzione veramente maniacale, mai replicato o dato risonanza a voci su complotti, farmaci o terapie miracolose. Evitiamo titoli acchiappa click.
Da sinistra, Anna Bigano, Fortunato Pinto, Silvia Giannelli, Biancamaria Simonetti (head of sales Italia), Giorgio Baglio (country manager e direttore), Enrico Codella, Federico Thoman
Che spesso, venendo meno alle buone regole deontologiche, si pongono a servizio del marketing per rincorrere una sostenibilità economica sempre più difficile da raggiungere per tanti prodotti editoriali, sia analogici che digitali.
Il futuro del giornalismo è senz’altro sul mobile. La carta stampata non scomparirà a breve ma è ormai costretta a svendere gli spazi pubblicitari, e le notizie che leggi sono già vecchie. Così come i siti di solo testo. Potranno sopravvivere, ma come strumenti di approfondimento. Resiste ancora un po’ la tv, ma la pubblicità ormai si sta spostando sul mobile e sul digitale. Perché ti permettono di targettizzare i messaggi arrivando a proporre campagne pubblicitarie personalizzate. E non la trovo una cosa negativa o disdicevole, tutt’altro. Se in questo periodo voglio cambiare macchina, e leggo molte news sui motori, non può che interessarmi ricevere la pubblicità di un’auto, magari un native advertising fatto bene, con le caratteristiche del veicolo, un video, belle foto. Mentre diventa irritante, oltre che inutile, se quegli stessi messaggi li riceve un ecologista convinto, che va solo in bicicletta e odia i motori.
Insomma mi vuoi dire che una delle chiavi del successo è la capacità di veicolare pubblicità insita nel medium.
Il nostro modello di business è incentrato sulla pubblicità, il che non va disgiunto dalla qualità dell’informazione che offri. E anche nella pubblicità lavoriamo in coordinamento con Berlino e abbiamo sviluppato formati molto innovativi, come quello che scorre in orizzontale, con le snap story. Così, nonostante il periodo difficilissimo, reggiamo bene e, addirittura in pieno lockdown, abbiamo avuto due campagne advertising di due case automobilistiche. Upday è arrivata al break even l’anno scorso, in tre anni. È qualcosa di estremamente importante per un’azienda editoriale.
Certo, essere preinstallati sui dispositivi Samsung vi ha aiutato molto…
Senz’altro, ma le app si possono anche disinstallare. Un altro parametro per testare il nostro lavoro è il numero di utenti che disattivano il servizio. È una percentuale bassissima. Come quella di chi disattiva le notifiche push, appena il 20%. Poi facciamo sondaggi tra i nostri utenti, a campione, e anche quelli sono molto positivi. L’ultimo lo abbiamo condotto per capire come era percepita la nostra informazione sulla pandemia. Se era troppo invasiva, o non sufficiente. Insomma, curiamo molto il rapporto con i lettori. Una cura che non potrà mai darti nessun algoritmo. Ripeto, la figura del giornalista resta cruciale.
L’hai detto, anche in chiave anti fake news. Ma la storia del giornalismo è ricca di bufale e leggende metropolitane scambiate per verità anche sui giornali blasonati. Quindi il terreno che frequentate è minato…
Proprio per questo, quando esce una notizia, i colleghi di turno la cercano e la leggono su diverse testate, e confrontano i contenuti. Se per esempio viene citato un articolo della stampa americana, il collega va a vedersi la fonte originale. Solo dopo decide se pubblicare o no e sceglie quella che reputa la fonte migliore, indipendentemente dagli accordi che abbiamo con gli editori.
Ecco, le fonti. Devo dire che io sono un costante fruitore della vostra app. Trovo un po’ di tutto, anche articoli di testate semisconosciute e di gossip.
Abbiamo fatto una selezione delle fonti per la sezione My News, quella gestita dall’algoritmo, però c’è davvero un po’ di tutto. È un tema sul quale mi confronto spesso con Berlino, io sono per ridurle, però noi abbiamo lettori di ogni genere quindi, alla fine, bisogna essere il più generalisti possibile. E se abbiamo appassionati di gossip, dobbiamo far sì che possano trovare gli articoli di loro interesse.
Insomma, se oggi molti giornali e periodici cercano un’ancora di salvezza, e di sostenibilità economica, nello schierarsi in maniera netta, nel rivolgersi a una nicchia, nel ritagliarsi un proprio target e nel fidelizzarlo, Upday si apre a ventaglio. Perché tutti hanno uno smartphone in tasca e (presto) uno smart speaker a casa. O, addirittura, un frigorifero che offrirà loro le notizie fresche di giornata, e di loro gusto.
A colloquio con Fabio Insenga, direttore di Fortune Italia
07 luglio 2020